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Abbiamo visto perché insegnare filosofia ai bambini. Ora vediamo come fare.

Innanzitutto, dobbiamo capire che fare filosofia con i bambini significa stravolgere fisicamente l’ordine della classe, la disposizione dell’aula.

Si allestisce uno spazio circolare in cui tutti i bambini si guardano l’uno con l’altro. Il docente è parte di questo cerchio, e a volte è meglio che tutti, docente compreso, siedano per terra (coprendola, naturalmente, in qualche modo), magari in uno spazio all’aperto come un prato o un cortile, se la scuola ne dispone. Questo, perché? Per creare un ambiente totalmente differente, che i bambini non sono abituati a vivere. Ed è molto importante che tutti siano più vicini fra loro: il contatto fisico è molto importante. In questo contesto, i bambini tengono tra le mani un filo di spago: rappresenterà il filo del discorso, e ciascuno di loro dovrà cercare di non farlo cadere. Il filo deve “restare su”, sostenersi e deve scorrere e proseguire seguendo quanto ha detto il compagno precedente. Se dovesse verificarsi che qualche bambino, di solito i più timidi o coloro che non sanno ben esprimersi, resti senza parlare, tutti insieme occorre dire, senza creare imbarazzi: «ora parla il silenzio».

Cosa dire, all’inizio? Chiedere a ciascuno, senza un ordine, di presentarsi con tre cose o aspetti che lo caratterizzano: nome, cognome e tre “cose preferite” che lo definiscono. Di solito inizia il docente, dando il via alla presentazione, costruendo un’allegra ragnatela che via via si compone seguendo l’ordine sparso di coloro che intervengono. Poi si invitano gli allievi a guardare l’intreccio e si chiede loro cosa sembra: se forme geometriche, un intreccio, un arcobaleno che unisce e si continua a dialogare dicendo loro che i pensieri uniscono le persone. L’insegnante inizia, a quel punto, a leggere una storia senza, però, concluderla. L’insegnante leggerà la conclusione della storia solo dopo che ciascuno dirà tre cose speciali su di sé, in aggiunta alle prime.

I pensieri dei bambini, le loro opinioni, se non vengono subito giudicate, negativamente o anche positivamente, fanno venir fuori mondi meravigliosi. Le domande che ci poniamo, di solito, sono domande “ordinarie” di cui conosciamo già, nella maggior parte dei casi, la risposta. Le domande innovative, invece, sono quelle che mettono in discussione l’ordinario e apparente punto di vista sulle cose, lo status quo. Queste domande spronano a pensare in modo differente, sono interrogativi che costringono il pensiero a compiere un salto in nuove direzioni. In quest’attività non si vince, non si perde, non si hanno voti, non si è giudicati da nessuno. Uno dei motivi per cui questa metodologia è tanto amata dai bambini è che si sentono veramente liberi. Non c’è competizione, ma scambio e arricchimento di opinioni. Guardarsi in viso, essere tutti uguali, alla pari, senza gerarchie di alcun tipo valorizza le personalità di ciascuno di loro.

I bambini non si pongono il problema della distanza, del ruolo, della posizione, fanno domande di costruendo e stravolgendo immagini e significati. Loro sono semplici, sono capaci dell’impossibile, perché l’impossibile è all’inizio, quando tutto è possibile. Con questi semplici atti già si è nel mondo della filosofia.

© Sintesi Dialettica – riproduzione riservata

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