Dopo aver assistito ad innumerevoli celebrazioni dei più grandi interpreti della cultura italiana – artisti, scrittori, scienziati – possiamo affermare che “le rappresentazioni mitizzanti” non hanno mai reso loro un buon servizio. Tra le righe lo fa intendere Pier Davide Accendere, curatore di «Leonardo filosofo», raccolta di due testi di Benedetto Croce e di Giovanni Gentile, apparsi rispettivamente nel 1910 e nel 1919.
Non è un caso se tra i più citati a commento delle due opere vi sia Eugenio Garin che, in tempi non sospetti, così scriveva: «Ricondurre Leonardo al suo tempo, alle sue concrete dimensioni storiche, alla sua misura umana, fuori d’ogni mito, è, forse, il modo più conveniente da onorare un uomo che della misura ebbe talora un senso che oserei chiamare castissimo» (p. 92).

Questi scritti affrontarono la questione se Leonardo Da Vinci si potesse definire o meno filosofo a tutti gli effetti, oppure se, in virtù della sua straordinaria produzione intellettuale e artistica, fosse possibile rintracciare nelle sue opere una qualche forma di filosofia.
Croce, proprio a inizio secolo, quando iniziava a manifestarsi un vero e proprio culto leonardesco, volle approfondire la personalità di Leonardo con un certo spirito di demitizzazione, che naturalmente non significa affatto minimizzarne la figura. Rilevò le sue caratteristiche di anticipatore di molte delle conquiste della scienza moderna e non soltanto come uomo racchiuso nella sola definizione di artista. Sotto questo aspetto le sue sarebbero state riflessioni prive di pulsioni metafisiche, di discorsi sull’interiorità dell’uomo e quindi proprie degli autentici filosofi; semmai tutte intese all’esaltazione del calcolo e dell’osservazione. Così Croce, con molta chiarezza: «Leonardo anela al possesso del mondo esterno: se i filosofi celebrano la potenza dello spirito, egli celebra quella dei cinque sensi; e si potrebbe dire che ciò che veramente adora, non è lo spirito, ma l’Occhio: il più nobile, il più degno dei sensi» (p. 19).
Insomma, nel discorso crociano, Da Vinci appare pervaso da un sostanziale agnosticismo e, in questo modo, la sua figura viene sottoposta ad una vera e propria contestualizzazione, senza alcun indugiare ad ingannevoli glorificazioni.
Anche Gentile, nel suo breve saggio, inizialmente sembra disconoscere un Leonardo filosofo, poiché di certo non aveva mai affrontato specifici problemi filosofici e nemmeno ha lasciato in eredità una scuola di filosofia. Ad altra conclusione però giunge considerando un concetto di filosofia diverso da quello stabilito dai “filosofi di mestiere”: «Ma egli, al pari di ogni uomo ha la sua filosofia; al pari di Dante, ha una sua filosofia dentro a quella forma in cui il suo spirito grandeggiò […] si comporta da artista e da scienziato di fronte al contenuto filosofico del proprio pensiero, che non svolge perciò in adeguata e congrua forma filosofica e afferma con la dommaticità dello scienziato. La sua filosofia, in questo senso, non è un sistema, ma l’atteggiamento del suo spirito» (p. 53). Un approccio scientifico quello di Leonardo che, di fatto, assumeva un particolare aspetto filosofico – pervaso da un atteggiamento matematico visto come determinazione di una legge naturale accessibile mediante l’esperienza – e che quindi lo pone in netto contrasto con «i filosofanti del suo tempo (e di ogni tempo) che davano del meccanico al sapere partorito dall’esperienza» (p. 62).
Leonardo, che pure non era filosofo in senso stretto, in qualche modo filosofo lo diventa appunto in virtù del suo intendere la scienza: «una ricerca instancabile; una brama inesauribile di vedere in uno sforzo costante sostenuto tutta la vita dal senso della propria ignoranza e del campo illimitato del sapere» (p. 56).
La conclusione di Gentile è chiara e con suggestioni meno intese ad una demitizzazione del Leonardo agnostico; incentrata semmai sulla stretta relazione di scienziato e artista, o per meglio dire, sul «divino occhio mentale che scorre per l’universo e lo idealizza» (p. 82). Da questo punto di vista, proprio questa osservazione sullo sguardo, sull’occhio che «commanda alle mani», e che vede quindi nella pittura l’apice dell’espressione artistica, ci rimanda alle osservazioni di Croce sui cinque sensi leonardeschi.
Malgrado si sia detto che questi testi siano stati un esempio di storicizzazione e di parziale demitizzazione, alla fin fine lo stesso Gentile non può che inchinarsi alla grandezza di Leonardo: «nella lingua di Leonardo è il pensiero dell’uomo, è l’uomo che acquista nel Rinascimento il senso profondo del suo valore, e splendidamente lo dimostra nello stesso Leonardo, creatore di bellezza immortale e fondatore di una molteplice scienza signoreggiatrice della natura» (p. 84).
B. Croce, G. Gentile (a cura di P. D. Accendere), Leonardo filosofo, La Nave di Teseo, Milano 2021, pp. 128, € 12,00.
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