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Il 2023 è stato l’anno peggiore per i bambini che vivono in zone di guerra. Lo dichiara l’ultimo rapporto di Save the Children «Stop the war on children: a pathway to peace».

Nel mondo, sono 473 milioni (1 su 5) i bambini costretti a vivere in questi contesti. Ogni 24 ore, 31 minorenni vengono mutilati e ammazzati: i casi documentati sono 31.721, circa 86 crimini al giorno che includono violenze sessuali, reclutamento nelle formazioni militari (statuali e non) ed uso dei bambini come scudi umani. I numeri continuano a peggiorare.

Nei conflitti in corso, Palestina ed Ucraina, ma senza dimenticare l’Africa (Burkina Faso, Repubblica Centro Africana, Repubblica democratica del Congo, Mali, Somalia e Sudan) vengono sferrati, intenzionalmente, aspri attacchi che hanno come bersaglio scuole ed ospedali e vengono negati gli aiuti umanitari per consegnare medicine e beni essenziali. 

Questi numeri ci lasciano, ancora una volta, inorriditi e ci impongono una presa di coscienza seria sulle morti invisibili di questi bambini che non è più ammissibile definire “effetto collaterale”, ma vanno chiamate per quello che sono: crimini.

 Per quanto ancora possiamo, come umanità, causare o tollerare una tale tragedia?

Prima di tutto, dobbiamo ricordare che i diritti umani vanno concretamente rispettati, specialmente quando si parla dei più deboli. Proteggere i bambini non è solo un dovere morale ma anche un interesse comune.

Lo sdegno per la morte dei bambini, come anche le privazioni e le violenze che essi subiscono, deve essere collettiva, al di là di interessi o opinioni differenti, altrimenti come possiamo pretendere dai governi un maggiore impegno per permettere agli aiuti umanitari di raggiungere chi è in difficoltà? Soprattutto, se non riusciamo ad unirci davanti alle tragiche morti di queste vittime innocenti, che valori vogliamo dare, oggi come in futuro, alla democrazia?


© Sintesi Dialettica – riproduzione riservata

Credits Ph Ahmed akacha

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