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La violenza è un problema di salute pubblica: risale al 1996 la dichiarazione [1] formulata in tal senso dalla 49ma Assemblea Mondiale della Sanità, sul tema «Prevention of violence: a public health priority». In quell’occasione, a 50 anni dalla nascita dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, il suo organo decisionale partiva da tale assunto per richiedere agli Stati membri che fosse rafforzata la collaborazione internazionale nella pianificazione, nell’attuazione e nel monitoraggio di programmi di prevenzione e di riduzione della violenza. Gli addetti al settore che vissero quel momento storico potranno ricordarlo come un passaggio epocale. Un anno dopo, il 13 maggio 1997, lo stesso organo, nell’esprimere soddisfazione per il rapido progresso nello sviluppo di detti piani con la risoluzione WHA50.19, riferendosi espressamente anche al bullismo nelle scuole e nelle istituzioni, riconosceva l’opportunità di darvi esecuzione attraverso i propri meccanismi di collaborazione.

Dando seguito agli obiettivi individuati, il 3 ottobre del 2002, l’OMS pubblicava il «Word Report on violence and health», primo rapporto mondiale sulla violenza e sulla salute, che funzionò da catalizzatore per il dibattito e le azioni da parte della comunità internazionale anche in tema di bullismo.

A distanza di 20 anni, le parole introduttive al Report, scritte da Nelson Mandela ed evidenzianti il peso della sofferenza di chi, quotidianamente, è vittima di ogni forma di violenza, non hanno perso di attualità: particolare il riferimento al passaggio in cui il premio Nobel ha voluto citare proprio i «giovani tiranneggiati da altri giovani». Sono parole estremamente aderenti alla realtà contemporanea. Mandela, nella medesima occasione, ha parlato di «cultura della violenza».

Oggi, il ricordo di quelle parole ricche di tensione morale, in questo spot incentrato sul tema del bullismo, vuole essere un rinnovamento del dovere morale che ciascuno deve onorare, in qualità di unicum di quella collettività. Proiettandoci verso tale impegno da una prospettiva più ampia, si possono cogliere le diverse sfumature che caratterizzano le attività delle istituzioni impegnate a rendere concreto il progetto internazionale di lotta al bullismo sul territorio italiano. Basterebbe prendere in considerazione i molteplici interventi finalizzati a diffondere la conoscenza del fenomeno della «violenza tra i giovani», punto di partenza imprescindibile, perché solo dal seme della consapevolezza può nascere la determinazione all’azione comune. Ci si riferisce, in particolare, alla famiglia e alla scuola, luoghi educativi ed affettivi, ove fanciulli e adolescenti acquisiscono le competenze e i sistemi valoriali che li accompagneranno nel corso della vita. Sono gli stessi luoghi dove i giovani, nel «fare esperienza di relazione» possono sperimentare anche il bullismo nel duplice, e in ogni caso pericoloso, ruolo di vittima e di carnefice.

Le istituzioni hanno operato in tante altre direzioni, finanche di natura legislativa. Solo da ultimo, si cita la norma che ha definito il cyberbullismo [2], finalizzata ad arginare la nuova emergenza sociale della violenza giovanile perpetrata attraverso l’utilizzo dei sistemi informatici. Di grande importanza, ma di più difficile comprensione nei suoi effetti, è il monitoraggio operato in maniera standardizzata nelle scuole, non solo quale strumento conoscitivo del fenomeno ma soprattutto per la sua funzione di orientamento, per le stesse istituzioni preposte all’adozione di risposte adeguate all’evoluzione del fenomeno, nell’allocare efficacemente ed equamente le risorse economiche utili a combatterlo. Si cita, per ultima in ordine temporale, la piattaforma ELISA, sviluppata all’interno di un progetto di formazione e-learning degli insegnanti sulle strategie antibullismo sorto grazie alla collaborazione tra il Ministero dell’Istruzione – Direzione generale per lo studente e il Dipartimento di Formazione, Lingue, Intercultura, Letteratura e Psicologia dell’Università di Firenze. Essa, da una parte, ha rappresentato un canale privilegiato di rilevazione di dati idonei a valutare l’estensione del fenomeno tra gli studenti e la sua percezione da parte di docenti e dirigenti e, dall’altra, ha costituito uno strumento utile nella selezione degli istituti scolastici a cui attribuire i fondi stanziati ad hoc per la lotta al bullismo [3].

Premettendo che la breve disamina dei più attuali interventi istituzionali in materia di bullismo non debba ritenersi esaustiva, va nondimeno riconosciuto che il fenomeno, a fianco della delineata responsabilità socioculturale, presenta i chiari profili di una responsabilità individuale, se considerato quale insieme di condotte attribuibili a ogni singolo autore, al di là dei ruoli ricoperti dagli individui nelle dinamiche di gruppo.

In assenza di una definizione giuridica di bullismo nella normativa nazionale, per comprendere in cosa consista un comportamento bullizzante si richiama lo studio, edito nel 1993, dallo psicologo norvegese Dan Olweus [4], tra i primi ad essersi occupato del fenomeno sin dagli anni Settanta del secolo scorso. Olweus, fornendone una definizione fenomenologica, indicava che «uno studente è oggetto di azioni di bullismo, ovvero è prevaricato o vittimizzato, quando viene esposto, ripetutamente nel corso del tempo, alle azioni offensive messe in atto da parte di uno o più compagni». In concreto, nei procedimenti penali relativi a comportamenti riconducibili al bullismo, l’accertamento del fatto reato si dirige verso singole condotte penalmente rilevanti di diverso tipo le quali, per trovare una rispondenza giuridica, non necessitano né della caratteristica della continuazione, né della ripetitività, né della disparità di forza e/o potere tra la vittima e l’autore di reato, elementi questi che identificano il fenomeno nelle scienze sociali; in particolare, la continuità dà invece luogo all’aggravante della persistenza e, quindi, ad un sostanziale inasprimento delle pene.

Entrando più nello specifico delle norme che si applicano in caso di bullismo e tenuto conto delle diverse aggressioni che possono aver luogo (materiale, psicologica diretta o indiretta), esse sono volte alla tutela di più beni giuridici della persona offesa, quali l’incolumità personale, la tutela dell’onore, della libertà – anche sessuale – e del patrimonio. Ecco, quindi, che in caso di aggressioni fisiche e verbali, il giudice potrebbe ravvisare l’ipotesi delittuosa delle percosse (art. 581 c.p.), delle lesioni personali (art. 582 c.p.), dei reati di natura sessuale (art.609 bis e seguenti c.p.), nonché della minaccia (art. 612 c.p.), ovvero di diffamazione che diventa aggravata laddove commesse per mezzo di strumenti informatici di cui gli adolescenti fanno ormai un utilizzo quotidiano (artt. 594 e 595 c.p.).

Per riallacciarci alla rilevanza penale delle condotte bullizzanti perpetrate mediante la rete, gli illeciti possono manifestarsi nello scambio di messaggi offensivi su chat o social media che coinvolgono direttamente anche la vittima; l’invio di messaggistica minatoria od offensiva attraverso mail o sms; la pubblicazione o la diffusione per via telematica di foto o videoclip, anche modificate, attinenti alla sfera personale della vittima, finalizzate a violare la sua riservatezza o ad offenderla; la videoregistrazione di aggressioni fisiche, o anche verbali, a cui può seguire la condivisione e/o la pubblicazione su social, attraverso chat o e-mail. Non da ultimo, la sostituzione di persona mediante l’utilizzo di profili relativi all’identità digitale della vittima, senza averne ottenuto il suo preventivo consenso, o la creazione di falsi profili al fine di colpirla. In tutti i casi, l’elemento afferente alla sfera sessuale può costituire una componente del reato stesso. Nei fatti di cyberbullismo [5], oltre alle ipotesi delittuose valide per il bullismo tout court, si potrebbero configurare la sostituzione di persona (art. 494 c.p.), la detenzione di materiale pedopornografico [6] (art. 600-quater c.p.), la diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti (art. 612-ter c.p.), le interferenze illecite nella vita private (art. 615 c.p.), l’accesso abusivo a un sistema informatico (art. 615 ter c.p.).

Non va poi dimenticato che il bullismo, lo apprendiamo dolorosamente non solo dai giornali ma anche dalle statistiche disponibili sul tema [7], è un importante fattore di rischio di suicidio. Qualora si dimostri che il decesso sia determinato dalle condotte bullizzanti, l’autore del reato risponderà di istigazione al suicidio (art. 580 c.p.) ovvero di morte come conseguenza di altro reato (art. 586 c.p.). Qualora le condotte bullizzanti vadano a colpire anche i beni patrimoniali della vittima, potrebbero configurarsi il danneggiamento (art. 635 c.p.), la rapina (art. 628 c.p.) o l’estorsione (art. 629 c.p.).

Per concludere, aiutano a comprendere la reale portata lesiva del fenomeno le recenti sentenze – successive all’introduzione del delitto di atti persecutori (art. 612-bis c.p.), meglio conosciuto come stalking, avvenuta per effetto del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11, convertito con legge 23 aprile 2009, n. 38 – che hanno visto condannare per atti persecutori imputati coinvolti in alcuni episodi di bullismo. Per comprendere tale interpretazione basti pensare che le condotte persecutorie, se pur non necessariamente censurabili se guardate individualmente, acquistano nella reiterazione una reale efficacia lesiva se considerate nel loro complesso, poiché idonee a «cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita» [8].


Note

1) Assemblea Mondiale della Sanità, Risoluzione WHA49.25 del 25 maggio 1996.

2) Art. 1, comma 2, legge n.71/2017: «Ai fini della presente legge, per «cyberbullismo» si intende qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, in-giuria, denigrazione, diffamazione, furto d’identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito di dati personali in danno di minorenni, realizzata per via telematica, nonché la diffusione di contenuti on line aventi ad oggetto anche uno o più componenti della famiglia del minore il cui scopo intenzionale e predominante sia quello di isolare un minore o un gruppo di minori ponendo in atto un serio abuso, un attacco dannoso, o la loro messa in ridicolo. » Trattasi di norma priva di portata incriminatrice perchè non introduce una ipotesi delittuosa, rinviando ad altre fattispecie già rubricate per delimitare l’ambito applicativo degli strumenti cautelari-ripristinatori e preventivi introdotti dalla norma.

3) Esercizio Finanziario 2022-2023, Ministero dell’Istruzione, Decreto Direttoriale n. 1176 del 18 maggio 2022.

4) Olweus D. (1993). Bullyng at school: What we know and what we can do. Malden, MA: Blackwell Publishing.

5) Il Servizio Analisi Criminale della Direzione Centrale della Polizia Criminale ha registrato un aumento di casi del 13% tra il 2020 e il 2021.

6) Secondo i dati del Servizio Analisi Criminale, in Italia nel 2021 sono stati commessi 688 reati di pornografia minorile.

7) Bullying Victimization and Suicide Attempt Among Adolescents Aged 12–15 Years From 48 Countries. Ai Koyanagi, MD, MSc, PhD, Hans Oh, PhD, Andre F. Carvalho, MD, Lee Smith, PhD,Josep Maria Haro, MD, Davy Vancampfort, PhD, Brendon Stubbs, PhD, Jordan E. DeVylder, PhD. Journal of the American Academy of Child & Adolescent Psychiatry, Volume 58, number 9, pp. 907-918, September 2019.

8) Cfr. Art. 612 c.p. La pena è aumentata se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici o a danno di minore.

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