«Ma se lei sa con sicurezza che il colpevole è Raffaele Palizzolo, perché non lo fa assassinare?». Queste le parole rivolte all’onorevole Palizzolo, attribuite al presidente del Consiglio del tempo, il marchese di Rudinì, peraltro citate anche da Enzo Ciconte ed evidenziate nel libro «Una lunga trattativa» di Giovanni Fasanella. Parole che, di primo acchito, è difficile definirle dettate se «più da arroganza o realistica accettazione dello stato di cose».
Leggendo il libro di Fasanella viene da pensare che questa frase sia stata dettata soprattutto da una cinica presa d’atto di come, fin dagli albori dell’unità d’Italia, si erano determinati i rapporti tra mafia e Stato. Libro che, volendo usare le parole di Pietro Grasso, si propone di svelare, insieme con metodo giornalistico, storiografico e dell’indagine parlamentare, quanto la mafia in realtà sia stata una sorta di «risorsa decisiva per lo Stato italiano sin dai suoi albori unitari, offrendo appoggio anche militare a chi vigilava sul controllo democratico del paese e talora a chi sosteneva veri e propri disegni eversivi».
Fasanella trascura le ultime vicende giudiziarie, quelle che vedono implicati noti politici, ma è una scelta che si può comprendere leggendo “La fragilità della verità giudiziaria”, dove l’autore sottolinea l’inadeguatezza di un solo metodo «per sbrogliare una matassa sanguinosa, la cui radice affonda nella storia del paese e delle sue anomalie».
Un quadro desolante che, come anticipato, viene raccontato fin dagli aiuti mafiosi allo sbarco dei Mille, tanto che da lì a poco la stessa mafia, stabilito di fatto un regime di impunità, si poteva trovare nella condizione sia di alleata, sia di competitrice con il potere legale. Anche il racconto sul prefetto Cesare Mori, in epoca fascista, non fa che confermare questa sorta di scambio di interessi tra Stato e mafia, ovvero la storia di una resa dei conti tra stuppagghieri e fitusi: un pugno di ferro che «in qualche caso era servito anche per i regolamenti di conti tra le varie famiglie mafiose, faide in cui i fascisti si erano inseriti per far emergere nuovi equilibri, a loro più graditi».
La situazione si complica durante la seconda guerra mondiale quando entrano in gioco gli alleati. Fasanella, a partire dal capitolo “Il patto di sangue tra mafia e angloamericani”, ricorda il tentativo, a quanto pare riuscito, «di staccare la mafia italoamericana dal regime fascista e utilizzarla per creare condizioni logistiche, politiche e psicologiche favorevoli allo sbarco alleato in Sicilia». Una modalità che poi, in “La mafia nell’equilibrio della guerra fredda”, sarebbe stata riconfermata con una poco nota clausola al trattato di pace (Parigi, 10 febbraio 1947) nel quale venne inserito un elenco – tuttora segreto – di cittadini italiani che avevano aiutato gli angloamericani dal giugno 1943 al febbraio 1947, ai quali fu assicurato di non essere perseguiti. Secondo Fasanella fu da quel momento che boss mafiosi di altissimo rango, ex fascisti si riciclarono nell’esercito, nei servizi segreti e nell’alta burocrazia. In questo contesto anche la realtà di Gladio, o per meglio dire di una realtà ancor più segreta rispetto alla rete internazionale Stay-behind e sconosciuta agli stessi gladiatori, andrebbe letta in maniera diversa rispetto alla vulgata degli ultimi trent’anni; soprattutto se vista dalla Sicilia, regione nella quale la rete della guerra clandestina contro il comunismo aveva proprio nella mafia e nelle organizzazioni segrete neofasciste il suo braccio militare. Si sarebbe quindi stabilito un regime di convivenza con la mafia, imposto dagli angloamericani col trattato di pace del 1947; ma poi, soprattutto quando venne meno il “pericolo comunista”, alcuni esponenti della maggioranza di governo ritennero che fosse giunto il momento di recidere quel sanguinoso legame. A quel punto, come ben sappiamo, arrivò la stagione degli omicidi di influenti politici, i depistaggi, il ricatto sull’art. 41 bis, gli omicidi di Falcone e Borsellino, le stragi.
«Una lunga trattativa» è il racconto di una pace insanguinata, fortemente condizionata dalla volontà di controllare il Mediterraneo, da servizi segreti stranieri, spesso in conflitto tra loro nel loro stesso paese, che potrebbe dare l’impressione di una favola complottista e niente più. Sicuramente è una ricostruzione delle vicende italiane basate spesso sul rigor di logica, senza che vi siano state delle sentenze passate in giudicato tali da condannare i protagonisti di trattative dove l’interesse personale si confondeva con una presunta ragion di Stato; ma bisogna dare atto a Fasanella di aver condotto questo suo lunghissimo viaggio, all’interno dei più sciagurati intrighi ad opera delle istituzioni italiane, basandosi su studi storici e memoriali di tutto rispetto. Un racconto, o per meglio dire la rappresentazione di fatti acclarati, in cui, come si legge in quarta di copertina, appare «una partita a scacchi che ci vede di volta in volta spettatori fragili e passivi, collaboratori interessati o eroi coraggiosi, fino alla morte».
Giovanni Fasanella, Una lunga trattativa, Chiarelettere, Milano 2021, pp. 222, euro 10.
© Sintesi Dialettica – riproduzione riservata