La recente crisi in Ucraina rende opportuna una riflessione sulle singolari ambiguità dell’Unione Europea, tanto più in un contesto da neo-guerra fredda che potrebbe rappresentare un’importante occasione per affermare una sua incisiva azione diplomatica. Ma tutto questo pare appartenga ormai all’utopia.
L’Europa occidentale nel secondo dopoguerra si aggregò attorno al comune interesse della ricostruzione, grazie agli aiuti americani del Piano Marshall; con questa strategia, gli Stati Uniti crearono una vasta area di contenimento geopolitico rispetto all’Unione Sovietica. Il processo di integrazione europea ha quindi implicato sin dalla sua nascita la creazione di un ambito territoriale con cui non solo si sarebbe arginato il comunismo sul piano geopolitico, ma anche ideologico. La cooperazione tra i vari Stati europei fu il mezzo con cui gli USA hanno contribuito a propagandare in modo efficace i propri valori anche nel vecchio continente, che è diventato uno spazio di libera circolazione delle persone, delle idee, delle merci e dei fattori produttivi. Non si può certo negare che tutto ciò abbia portato un lungo periodo di convivenza pacifica e una conseguente crescita economica; ma ha anche legato indissolubilmente le sorti politiche europee a quelle dell’alleato d’oltreoceano.
La domanda è questa: un cammino verso un autonomo rilievo internazionale europeo sarebbe oggi possibile? In altre parole, l’odierna UE potrebbe perseguire una “terza via” diplomatica a partire dalla crisi ucraina? Naturalmente, non si vogliono evocare gli spettri di un passato fortunatamente lontano. La prospettiva “imperiale”, tanto per intenderci, che vorrebbe un’Europa militarizzata è tramontata con la fine delle guerre mondiali, lasciando spazio a una leadership condotta nell’Unione dalla Germania insieme alla Francia. Invece, il ritorno ai nazionalismi del passato oggi trova terreno fertile nel malcontento che nasce proprio dalla percezione negativa delle istituzioni e delle politiche comunitarie. L’Europa è infatti formata anche da periferie e da regioni penalizzate dai processi collegati alla globalizzazione, come il decentramento produttivo e l’immigrazione. In queste aree, la coabitazione con le etnie extraeuropee è diventata problematica, e al quadro si aggiungono anche disoccupazione giovanile e crisi delle imprese medio-piccole, aggravate ulteriormente dalle conseguenze della pandemia.
La questione si può comprendere rivolgendo uno sguardo al passato: molto prima del processo di integrazione, si può rintracciare, a partire dall’età classica, una conflittualità interna ai vari soggetti geopolitici. Questa rivalità, già presente nelle città-stato greche, o nelle guerre di religione dell’età moderna, sembra ancora oggi rivivere nelle recenti rivendicazioni di alcuni stati membri. Ungheria e Polonia, ad esempio, ultimamente costituiscono un blocco tendenzialmente conservatore che si oppone all’UE, e idealmente anche agli Stati che appoggiano le sue politiche in termini di riferimenti ideologici. Il rovescio della medaglia è rappresentato proprio dalla potenziale capacità di collaborazione spontanea che i popoli europei hanno saputo mettere in atto nei momenti più difficili della storia, lottando contro un pericolo esterno: basti pensare all’assedio di Vienna nel 1683. In questo senso, la diversità tra gli europei può trasformarsi in risorsa, se si individua la minaccia, ma essa oggi non è esterna, né di carattere militare. La questione, inoltre, è non usare una “minaccia” come leva per costruire un’idea di Europa chiusa e ostile, rinserrata nei confini angusti di una presunta identità in difesa. Il vero nemico, in questo momento, è spirituale e culturale: si tratta della polarizzazione tra una visione dell’UE appiattita su un’economia finanziaria che finisce per mortificare le identità nazionali e locali, contro le opposte rivendicazioni di alcuni Stati membri. Ma farà in tempo l’UE a restituire sé stessa ai suoi cittadini, e a recuperare una dignità che le attribuisca un significativo ruolo diplomatico nella risoluzione della recente crisi ucraina? I tempi sono stringenti: occorre accelerare per ottenere risultati positivi per l’Unione Europea e per la pace stessa.
© Sintesi Dialettica – riproduzione riservata