Il processo di totalizzazione della violenza nella Prima Guerra Mondiale
Con la Prima Guerra Mondiale l’esercizio della violenza e dell’odio fanno un salto di qualità. Il fenomeno non si spiega solo con l’aumentata potenza delle armi, ma risiede nello scatenarsi degli istinti più reconditi dell’uomo contro i propri simili, le cui cause sono state studiate, senza peraltro arrivare sempre ad una comprensione abbastanza completa di quei fatti. Nazioni apparentemente civili si abbandonano per la prima volta a condotte bellicoso-criminali che non si erano mai osservate in associazione a eventi militari regolati da patti scritti e non si dalla più lontana antichità. La violenza e l’odio si abbattono sugli eserciti, sui singoli, e per la prima volta su vasta scala,anche sui civili con episodi non del tutto conosciuti ancora oggi e cià accade oltre ogni ragionevole necessità strategica. Perché? Abbiamo il dovere di capirlo, o almeno di non dimenticarlo; e, si spera, di non ripeterlo.
Come ci ricorda il professor Luigi Bonanate, le nostre conoscenze sulla guerra, per quanto appaia difficile crederlo, sono straordinariamente limitate e tanto più scarse di quanto invece sembrerebbe importante riuscire ad approfondire quello che è, nella storia dell’umanità, l’evento più intimo e totalizzante in assoluto (1).
Questo appare particolarmente grave quando si parla di Prima Guerra Mondiale, una guerra nuova rispetto alle precedenti di cui vanno esaminati tutti gli aspetti; per la prima volta infatti il conflitto diviene totalizzante. Citando Karl Von Clausewitz, definito il padre della moderna strategia, è interessante notare come nel primo libro di Della guerra egli sottolinei che la stessa è un atto di forza, considerata come prodotto della violenza originale intesa come cieco istinto (2). Ed è proprio da questo punto che si vuol partire.
Dalle guerre imperiali fino ai più recenti conflitti si sono spese numerose parole per raccontare la violenza connessa, invece, c’è sempre stata reticenza da parte degli storici del passato (3). Come è facile intuire, non tener conto di un aspetto cosi importante equivale a sviare dal proprio cammino; eludendo il problema inoltre non lo si elimina, anzi rimangono oscure molte realtà che potrebbero aprirci gli occhi sulla società e sull’uomo stesso. Anche per ciò che riguarda i combattenti, le loro testimonianze a volte sembrano colpevolizzare gli stessi storici: molto pochi sono stati infatti i soldati che hanno preso atto della realtà e hanno descritto le brutalità e le pratiche svolte (4). In quelle descrizioni veniva trasgredito un comandamento fondamentale, quello di non uccidere, ma l’esaltazione “galoppante” era riscontrabile anche in individui che in tempi normali avrebbero trovato ripugnante ogni idea di violenza fisica (5). Si è taciuto inoltre sugli spaventosi danni fisici provocati dal combattimento moderno e prolungato, e sui successivi episodi di suicidi. La violenza messa in atto durante la Grande Guerra, ha sicuramente dato luogo a interdizioni, una delle quali concerne senza dubbio la sessualità. Quelle comunità di uomini separati dal mondo vissero uno svilimento delle norme morali abitualmente osservate in tempo di pace. Pratiche che sono rimaste nel silenzio impenetrabile dei soggetti. Silenzio che ha coinvolto oltremodo la storiografia del tempo, che invece avrebbe dovuto e deve evitare tutto questo. Citando Pierre Chaunu “la memoria serve a dimenticare”. A dimenticare la violenza soprattutto. Proprio ciò che non dovrebbe accadere, cercando di illuminare questo aspetto.
A partire dagli anni venti e trenta ci sono stati degli storici di matrice anglosassone che hanno svolto un notevole lavoro sulla storia militare e hanno superato l’ostacolo dell’”asettizzazione”. Di estremo interesse risulta l’analisi di Keegan che valuta la guerra come un atto culturale, interrogandosi su cosa avvenga sul campo di battaglia per ciò che riguarda le violenze interpersonali (6). Di notevole impatto è invece il tentativo di Davis Hanson, che, per necessità, non ha esitato a bruciare campi interi, per comprendere cosa davvero comportasse la distruzione.
Tornando all’analisi della Grande Guerra si può notare come per la prima volta in un conflitto si raggiungano livelli di violenza inauditi e senza precedenti, non solo sui campi di battaglia, ma anche nei confronti di prigionieri e civili (7). Il conflitto si evolve, si combatte come nelle guerre precedenti ma le armi sono più sofisticate e più potenti, dunque è facile comprendere cosa questo abbia significato a livello di uccisioni. La brutalità si mostrò già dai primi giorni e dalle prime settimane, tanto che riguardo le perdite umane, il periodo 1914-1918 può essere paragonato solamente ai ventitre anni di scontro tra il 1792 al 1815 (8). La morte divenne principalmente “morte violenta”, anche se il numero di malati restò comunque elevato.
Come si accennava precedentemente, le armi usate avevano una capacità distruttiva moltiplicata. Le granate di grosso calibro, ad esempio, erano in grado di polverizzare i corpi, mentre le schegge più grandi potevano tranciare in due un uomo. La medicina diveniva fondamentale e numerosi furono i progressi, che comunque vennero fortemente controbilanciati dall’aggravarsi delle lesioni. I danni riportati dai soldati erano anche psichici, anche se in questo caso la psichiatria era ancora ad uno stadio primitivo e coloro che soffrivano di questi disturbi, la maggior parte delle volte, venivano curati approssimativamente (9). Fino alle battaglie della Grande Guerra la disumanizzazione dello scontro non era mai stata così totale, questo si nota anche dalla grande sproporzione che esisteva tra i mezzi difensivi e i mezzi offensivi, molto più numerosi.
Sfuggire al fuoco era divenuto più che altro una questione di fortuna. In più la devastazione dei luoghi assediati era assoluta, si sconvolgevano migliaia di chilometri che divenivano terreni impraticabili.
Una certa forma di guerra è pertanto morta con il secolo XX, o perlomeno lo è in quello spazio occidentale che aveva creato tante atroci innovazioni nell’attività bellica e dove si erano svolti, a partire dalla fine del secolo XVIII, all’incirca più di centocinquanta conflitti e di seicento battaglie (10). I soldati del Primo Impero, malgrado la straordinaria brutalità delle campagne napoleoniche, potevano ancora spontaneamente parlare del “campo della gloria” per designare il luogo dove i loro compagni erano morti, mentre nelle campagne di Verdun o la Somme i territori risultavano devastati e impraticabili. E’ interessante notare come la trasformazione risultasse globale rispetto al passato, ed elementi come l’estetica, l’etica dell’eroismo, il coraggio siano stati spazzati via con esso (11). Resta da capire quale sia stata l’evoluzione storica che ha portato al cambiamento.
Le guerre rivoluzionarie e imperiali costituiscono una prima frattura perché si accentua il ruolo della massa e dell’urto. Poi si prosegue con le campagne napoleoniche, dove la tattica dell’urto frontale provoca in Europa i tassi di perdite più alti del secolo XIX. Un secondo stadio fu superato durante la guerra di secessione americana e in quella franco-prussiana del 1870-71, dove appaiono segni di totalizzazione, sia nelle modalità di scontro fra combattenti, sia nel trattamento riservato ai civili. Rimangono comunque operanti le limitazioni alla violenza con la fine del conflitto, cosa che scompare definitivamente con la Prima Guerra Mondiale, dove si bombarda fino a completa distruzione (12). Qui è doveroso sottolineare che non furono solo le innovazioni materiali, ma anche l’inasprimento dell’odio, che fecero crollare di colpo il sistema delle limitazioni vigente precedentemente (13).
In base a quanto emerge dalla maggior parte degli storici, quello che successe nel 14-18 dovrebbe costituire un’obiezione di non poco conto al concetto di lento riflusso della violenza sociale teorizzato da Norbert Elias (14). Da quanto si evince dal saggio di Johanna Bourke, sembra però che la Prima Guerra Mondiale non costituisca un ostacolo alla civilizzazione dei costumi, poiché fondamentalmente lo scontro armato e la violenza non distrussero definitivamente i sistemi di norme sociali, o almeno non nelle loro totalità. Sorprende per esempio la persistenza di un culto dei morti. Le comunità combattenti, seppur in condizioni di urgenza, spesero numerose energie per organizzare cerimonie funebri, mantenere sepolcri, informare le famiglie. I soldati britannici continuarono a giocare a calcio e a organizzare spettacoli musicali (15).
Molto spesso il ricordo della Grande Guerra, ha quasi esclusivamente identificato il conflitto con la violenza di cui furono vittime i combattenti, dimenticandosi delle sopraffazioni subite dalla popolazione. Il massacro degli armeni, definito genocidio, rappresenta la punta massima dei crimini di guerra durante la prima guerra mondiale. L’impero ottomano decise di deportare e di lasciar morire di fame e di sfinimento più di un milione di uomini, donne, bambini. Già dai primi giorni vennero perpetrati atti di crudeltà contro i civili. Dal rapporto sulle atrocità redatto dal criminologo svizzero Reiss, appaiono numerosi casi di mutilazioni del naso e delle orecchie, lesioni ad organi genitali soprattutto alle donne (16). Emerge l’impulso di bestia selvaggia insito in ogni uomo. Una volta scoppiato il conflitto, i numerosi episodi di razzismo, disprezzo etnico e sociale, sono elementi che in qualche modo probabilmente liberano dalla paura. Dopo le brutalità commesse contro le strutture spirituali, si arrivò a pensare addirittura che la civiltà stessa fosse in gioco, nella battaglia tra bene e male (17). Inoltre occupazione, lavoro forzato, deportazioni, genocidio, hanno accompagnato la radicalizzazione del combattimento. Tutto quello che è successo in questo ambito è parte del processo totalizzante della guerra del XX secolo. Ma la memoria del conflitto ha annullato molto spesso tali realtà.
Come ci ricordano Audoin-Rouzeau e Annette Becker “l’amnesia sul trattamento delle vittime civili del primo conflitto mondiale, offrì in seguito l’impunità a coloro che vollero reiterare queste azioni”. Riferimento non casuale a ciò che poi avvenne nel secondo conflitto mondiale. E’ bene dunque che la memoria rimanga viva nel ricordo.
Note
1) Luigi Bonanate, La guerra, Laterza, 2005
2) Cfr. K. Von Clausewitz, Della guerra, Einaudi, 2007
3) Cfr. Stephane Audoin-Rouzeau e Annette Becker, La violenza , la crociata, il lutto. La grande Guerra e la storia del novecento, Einaudi, 2002
4) Cfr. Stephane Audoin-Rouzeau op. cit., p. 15
5) Cfr. Johanna Bourke, Le seduzioni della guerra. Miti e storie di soldati in battaglia, Carocci, 2001
6) Cfr. John Keegan, Il volto della battaglia, Net, 2005
7) La violenza contro la popolazione civile nella Grande guerra. Deportati, profughi, internati, a cura di Bruna Bianchi, Unicopli, 2006
8) Cfr. Audoin-Rouzeau e Annette Becker
9) Cfr. Eric J. Leed, Terra di nessuno. Esperienza bellica e identità personale nella prima guerra mondiale, il Mulino, 1985
10) Cfr. John Keegan, La prima guerra mondiale, una storia politico-militare, Carocci, 2004
11) Cfr. Daniel Pick, La guerra nelle cultura contemporanea, Laterza, 1994
12) Per ulteriori informazioni consultare, John Keegan, La grande storia della guerra, Mondatori 1996
13) Cfr. Johanna Bourke, Le seduzioni della guerra. Miti e storie di soldati in battaglia, Carocci, 2001
14) Cfr. Audoin-Rouzeau op. cit., p. 22
15) Per ulteriori informazioni si veda Johanna Bourke, Le seduzioni della guerra, cap. amore e odio
16) Cfr. Audoin-Rouzeau op. cit., p. 39
17) Cfr. Bruna Bianchi op. cit., p. 63
Bibliografia
Daniel Pick, La guerra nella cultura contemporanea, Laterza, 1994
Eric J. Leed, Terra di nessuno. Esperienza bellica e identità personale nella prima guerra mondiale, il Mulino, 1985
Johanna Bourke, Le seduzioni della guerra. Miti e storie di soldati in battaglia, Carocci, 2001
John Keegan, Il volto della battaglia, Net, 2005
John Keegan, La grande storia della guerra, Mondatori, 1996
John Keegan, La maschera del comando, il Saggiatore, 2003
John Keegan, La prima guerra mondiale, una storia politica-militare, Carocci, 2004
Karl von Clausewitz, Della guerra, Einaudi, 2007
Luigi Bonanate, La guerra, Laterza, 2005
La violenza contro la popolazione civile nella Grande guerra. Deportati, profughi, internati, a cura di Bruna Bianchi, Unicopli, 2006
Lezioni napoleoniche sulla natura degli uomini, le tecniche del buon governo e l’arte di gestire le sconfitte, a cura di Ernesto ferrero, Mondatori, 2005
Stephane Audoin-Rouzeau e Annette Becker, La violenza, la crociata, il lutto. La Grande guerra e la storia del Novecento, Einaudi, 2002
Sun Tzu, L’arte della guerra, Barbera, 2006
Victor Davis Hanson, Il volto brutale della guerra, Garzanti, 2005
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Foto: Prigionieri Austro-Ungarici della Prima guerra Mondiale – Wikimedia Commons