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La pace e la guerra nella concezione dei nostri Padri Costituenti; il senso attuale delle norme della Costituzione italiana alla luce dell’evoluzione del fenomeno bellico dopo la fine della Guerra Fredda;il tentativo di elaborare nuove categorie giuridiche per definire le forme di intervento adottate negli ultimi anni al livello sovranazionale; tutti questi argomenti e tendenze non scalfiscono il senso dei principi contenuti nel nostro testo costituzionale, ma ci portano anche a riflettere sul rapporto tra ordinamenti sovranzionali, efficacia degli stessi e principi dei singoli Paesi.

La guerra è antica quasi quanto l’uomo, e arriva nei recessi più segreti del cuore umano, recessi dove il sé dissolve lo scopo razionale, dove regna l’orgoglio, dove l’emozione è predominante, dove l’istinto è re e l’orrore diventa normalità.

Così dalla fine della Guerra fredda abbiamo visto le vittime di un genocidio dissepolte in Europa centrale, fiumi africani pieni di cadaveri mutilati, adolescenti armati che tengono in pugno le città del Terzo mondo dal retro di camion scoperti, dittatori sconfitti che si rifiutano di accettare la loro sconfitta e terroristi che colpiscono con efficacia mortale dove uno meno se lo aspetta, nel cuore dell’America. (1)

L’introduzione della violenza bellica e terroristica negli scenari del mondo globalizzato porta all’interruzione di ciò che è stato definito “presente esteso”, ossia quella percezione del tempo che è tipica della globalizzazione.

Mentre l’Illuminismo ci aveva abituati all’idea della storia come progresso, e dunque di un presente che era prevalentemente proiettato verso il proprio futuro, questo rapporto si è come invertito con la globalizzazione: questa, alimentando un insaziabile circolo tra innovazione tecnologica e crescita economica, ha enormemente accorciato le scale temporali dando vita ad una concezione vorace del presente, ossia ad un presente che avoca a sé più che può le scelte del futuro, condizionandolo pesantemente con le proprie opzioni. (2)

In questa stagione di disorientamento nelle relazioni internazionali in cui valori morali e convinzioni da tempo consolidate sembrano in crisi e rimessi in discussione è quindi inevitabile richiamarsi ai principi iscritti nella nostra Carta fondamentale che ancor oggi rappresentano un’imprescindibile bussola non solo per le istituzioni ma anche per i singoli cittadini.

La Costituzione italiana richiama sia la pace che la guerra : in primo luogo l’articolo 11 contiene un chiaro bando della guerra , pur se attenuato dalla autorizzazione di quella difensiva, ed ad un tempo impegna ad attuare un ordinamento che assicuri la pace, prevedendo le necessarie limitazioni di sovranità e le iniziative dirette a promuovere organizzazioni internazionali finalizzate alla pace. In secondo luogo gli articoli 78 e 87 della Costituzione prevedono le procedure costituzionali relative alla delibera e dichiarazione dello stato di guerra . (3)

In particolare l’istanza pacifista nell’ordinamento costituzionale italiano trova il suo riconoscimento nei due enunciati fondamentali, entrambi contenuti nell’art. 11: a) il ripudio della guerra come strumento di risoluzione di controversie internazionali o di oppressione di altri popoli; b) la costruzione di un ordinamento internazionale di “pace e giustizia” fra le nazioni, anche a costo di veder limitata di propria sovranità (“a parità di condizioni con gli altri stati”).

La pace è vista come valore costituzionale nettamente preminente e indiscutibile, elemento di riferimento per la politica nazionale, auspicandosi dunque un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni attraverso la promozione e lo sviluppo di organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.

E’ utile sottolineare però che la guerra ripudiata dalla Costituzione italiana non è la guerratout court bensì quella intesa come «strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali»; in altri termini, come strumento di aggressione.

Il riferimento alle controversie internazionali ha carattere generale e, quindi, attiene tanto a quelle di natura politica quanto a quelle di natura giuridica. Inoltre, la prima ipotesi è pacificamente considerata una species del più ampio genus costituito dalla categoria “controversia internazionale” che il costituente ha espressamente indicato per dare maggiore enfasi al rispetto della libertà e della dignità dei popoli e per proiettare e promuovere tale rispetto anche nell’ambito della comunità internazionale.

Di particolare rilievo è, infine, il riferimento al concetto di popolo e non di Stato, cui consegue la illiceità di una guerra condotta contro la libertà di un popolo assoggettato alla sovranità di uno Stato, ossia privo dei requisiti della sovranità e della indipendenza.

Il ricorso alla guerra è, infatti, consentito in alcune ipotesi, come è facilmente deducibile non solo dallo stesso articolo 11, prima proposizione, ma anche da una analisi complessiva del testo costituzionale e, in particolare, dalle previsioni contenute negli articoli 78 e 89, 9° comma Costituzione che, non a caso, disciplinano il procedimento di instaurazione dello stato di guerra . In tal senso, la guerra consentita, l’uso giustificato della forza armata, si ritiene essere esclusivamente quella di legittima difesa, intesa cioè come necessaria risposta armata ad un attacco altrui. (4)

Proprio per questo motivo quando la realtà dei rapporti internazionali hanno cominciato a coinvolgere l’Italia in episodi che comportavano l’impiego all’estero di corpi armati dello Stato ci si è sempre preoccupati di esorcizzare la sola idea di un conflitto armato precisando che si trattava di missioni di pace, come se il fine del mantenimento della pace o della imposizione della pace non potesse implicare il ricorso a procedure comportanti l’uso di una forma di violenza che, senza dar luogo a una guerra , tale per il diritto internazionale, fosse quella tipica dei conflitti armati.

E’ necessario evitare ogni forma di ipocrisia, che si occulta in giochi linguistici, riconoscendo che il titolo di guerra infatti non spetta solo ai conflitti in cui a fronteggiarsi con le armi sono Stati o coalizioni di Stati, ma tale definizione spetta ad ogni conflitto armato, prolungato nel tempo, fra due o più organizzazioni politico-militari.

Il fatto che da Westfalia in poi la maggioranza delle guerre abbia visto coinvolti Stati su entrambi i fronti, non impedisce il fatto che le organizzazioni politiche impegnate in una guerra possano non essere tra loro non omogenee : in questo senso il conflitto interstatale è solo uno fra i tipi possibili di guerra . (5)

In questo quadro si inserisce anche il concetto di guerra umanitaria che è stato utilizzato soprattutto con riferimento alla crisi del Kosovo. Tale tipo di guerra, pur giustificata dall’esigenza di tutelare i diritti fondamentali dell’uomo all’interno di un ordinamento di altro stato, quindi con un livello di ingerenza che altrimenti non sarebbe stata consentita dal diritto internazionale, comporti non soltanto un profilo difensivo ma un profilo aggressivo.

Il richiamo alla esigenza di tutelare i diritti umani da gravi violazioni come giusta causa di guerra è agevolmente comprensibile dal punto di vista politico, in quanto costituisce una delle possibili motivazioni attraverso cui legittimare agli occhi della opinione pubblica il ricorso alla forza e addirittura alla guerra .

Dal punto di vista giuridico è semplicemente il tentativo di offrire giustificazione per un comportamento che rivela la violazione del principio di non ingerenza nella sfera territoriale dello stato sovrano cui si addebita la violazione. La guerra umanitaria è svolta soltanto da quella potenza che ha la capacità tecnologica e le risorse economiche e militari sufficienti all’impresa, sia singolarmente sia utilizzando organizzazioni regionali di sicurezza o coalizioni formate ad hoc. In questi casi non si può certo escludere in linea di principio che il ricorso alla tutela dei diritti come giusta causa sia fondato. Resta il fatto che la guerra appare conseguenza di una valutazione unilaterale che può non essere fondata da preventive determinazioni degli organi delle Nazioni Unite, come nel caso dell’attività bellica in Kosovo.

L’altro concetto di guerra , la cosiddetta guerra al terrorismo, si riferisce all’esempio dell’Afghanistan e dell’Iraq, ed è effettivamente una figura di grandissimo interesse dal punto di vista internazionalistico, ma di riflesso anche costituzionale. Il terrorismo, che può essere interno (il caso dell’ETA nel Paese Basco) o internazionale (il caso di Al Qaeda), ha come obiettivo primario di destabilizzare la comunità internazionale.

La guerra al terrorismo è una ipotesi di guerra che può comportare anche profili di guerrapreventiva, concetto che per il modo tradizionale di interpretare giuridicamente questi eventi rappresenta dei profili estremamente problematici.

È una guerra di difficile inquadramento rispetto a quella consolidata nel diritto internazionale. È un tipo di guerra contro un nemico non individuato, almeno all’inizio, o che verrà individuato in un successivo momento. Deve svolgersi in luogo non determinato, è quindi ubiquitaria. Deve svolgersi a tempo indeterminato è infinita. L’idea di una guerra con condizioni così vaghe, contro un nemico indeterminato, in un luogo indeterminato, per un tempo indeterminato, è una guerra a tutto tondo abbastanza nuova.

È una forma di guerra che manifesta una certa disponibilità ad un conflitto quasi perenne nei confronti di soggetti che si definiranno e in luoghi non individuati con precisione.

Si tratta di conflitti che hanno posto in evidenza come sia stato superato il regime della messa al bando della guerra , legittimando il ricorso dello ius ad bellum con evidente abbandono della convinzione della assolutezza di principi che sembravano consolidati nel diritto internazionale e di riflesso in quello costituzionale.

Ciò ha portato alla ribalta le tesi che tendono ha rimodellare l’art. 11 della Costituzioneadattandolo alle esigenze della “modernità liquida”.

Dal punto di vista della struttura dell’argomentazione queste tesi sono raggruppabili in due tipi. Alcune fanno leva su un’interpretazione estensiva dell’art. 11 della Costituzione , altre su una sua interpretazione letterale. Le prime possono a loro volta essere distinte in due gruppi. Alcune tendono ad estendere la portata implicita del suo primo comma, e cioè la legittimazione del diritto di difesa (ricomprendendo nella guerra di difesa anche quella volta non a difendere il territorio dello Stato, ma i valori di cui esso è portatore: in primis i diritti umani, come a proposito del Kosovo; oppure ad ampliare il concetto di autotutela – anche in riferimento all’art. 51 della Carta ONU e 5 del Trattato Nato – come a proposito della “guerra al terrorismo”). Altre tendono invece ad estendere la portata del suo secondo comma, ampliando le fonti – e le ipotesi – delle limitazioni di sovranità: facendole derivare, come obblighi prevalenti sul divieto costituzionale, da trattati internazionali di contenuto militare, il cui collegamento finalistico con la pace tra le nazioni può ovviamente, con un po’ di disinvolta dialettica, essere sempre sostenuto.

Un’altra linea di interpretazione dell’art. 11 della Costituzione fa leva non sulla sua interpretazione estensiva, ma su quella letterale, combinata con l’argomento “della pietrificazione dei concetti”. E’ il caso dell’interpretazione rigida e riduttiva del termine “guerra ”, che porta a rendere inapplicabili le disposizioni costituzionali che lo contengono a tutti gli impieghi di forze militari che non si svolgano nelle forme classiche: dalle operazioni di “polizia internazionale” alle ipotesi di “conflitto armato” o di “grave crisi internazionale” (codificate, queste ultime, nel nostro ordinamento sub-costituzionale); ed è anche il caso della “ guerra in difesa dei diritti umani” presentata come ipotesi sopravvenuta, sostenuta da una nuova – presunta – consuetudine internazionale, e dunque non vietata dall’art 2.4 della Carta ONU. (6)

Rispetto a queste tesi vi è chi non ha mancato di denunciare lo scacco al diritto costituzionale che esse sottendono, mettendo in crisi il divieto della guerra e il ruolo irrinunciabile dell’ONU. Da questo punto di vista infatti si rende immediatamente percepibile la contraddizione che caratterizza lo stesso diritto costituzionale, ossia l’apparente paradosso per cui la sua debolezza è sintomo della sua necessità. Da un lato, in quest’ambito, «le leggi sono simili alle ragnatele: se vi cade dentro qualcosa di leggero e debole, lo trattengono; ma se è più pesante, le strappa e se ne va». (7)

Dall’altro, però, le stesse vicende dimostrano la profondità della lacerazione provocata dalla violazione (o meglio, dalla negazione indifferente) di un principio – quale il divieto della guerra – da altri ritenuto fondamentale. E’ diventato un dato dell’esperienza comune il fatto – apparentemente paradossale – che proprio la violazione (o meglio, l’indifferente abbandono) delle norme giuridicamente più disarmate, più sottili, meno garantite da apparati sanzionatori, può provocare le divisioni più profonde, i contrasti più radicali, il riemergere più intransigente di quelle posizioni non negoziabili che sono all’origine delle identità politiche.

Quella che tali norme offrono è una protezione fragile, perché la loro effettività è altamente critica, ma la funzione che svolgono è simbolicamente efficace perché il loro comune riconoscimento (malgrado la loro criticità, o proprio a causa della loro criticità) è sintomo di un’unità politica che ricomprende anche la minoranza che vede in esse un principio irrinunciabile. Se questa “protezione” viene apertamente violata, se è contestata in radice, o peggio, se cade nell’indifferenza, se il velo è stracciato e gettato dietro le spalle, significa che una parte sociale è diventata, e si sente, estranea all’altra: che non ha interesse a rimanere suo interlocutore politico e morale. In questo senso l’indifferenza per una norma di principio, fino a ridurla a ragnatela lacerata, può generare una forma estrema di inimicizia politica. E in questo stesso senso le norme apparentemente più esposte ad essere lacerate come ragnatele sono sintomo di una realissima necessità costituzionale. (8)

Il richiamo alla centralità delle disposizioni costituzionali in materia (e alle diverse interpretazioni delle stesse) appare quindi ancor più evidente in una stagione in cui la posizione degli organi nazionali è tanto più importante e decisiva in quanto i parametri internazionali tradizionalmente accettati sembrano rimessi in discussione da alcuni Stati e da nuove dottrine di politica internazionale e di strategia militare. La scelta di mantener fermi valori e parametri consolidati di convivenza internazionale o di optare per orientamenti nuovi (con effetti non ancora del tutto chiari, ma certamente rivoluzionari rispetto ad alcuni dei principi cardine dell’esistente equilibrio), spetta dunque ad ogni Stato ed ai suoi organi competenti in materia di relazioni internazionali.


Note

1) J.L. Gaddis, Living in Candlestick Park, in The Atlantic Monthly, 4, 1999;

2) M.A.Ferrarese, La globalizzazione ferita, in Il Mulino, 6, 2001, 1015;

3) G. De Vergottini, Guerra e attuazione della Costituzione , Relazione al convegno “ Guerrae Costituzione ”, Roma 12 aprile 2001, Università degli Studi Roma Tre; Id., Guerra e Costituzione, in Quaderni Costituzionali, 1, 2002, 19 ss.;

4) A. Sarandrea, La guerra e i singoli ordinamenti costituzionali: il caso dell’Italia, in Appendice di documentazione al convegno “ Guerra e Costituzione ”, Roma 12 aprile 2001, Università degli Studi Roma Tre;

5) A. Panebianco, Di fronte alla guerra , in Il Mulino, 6, 2001, 1000;

6) M. Dogliani, Il valore costituzionale della pace e il divieto della guerra , Relazione al convegno “ Guerra e Costituzione ”, Roma 12 aprile 2001, Università degli Studi Roma Tre;

7) Diogene Laerzio, Vitae philosophorum, I, Miroslav Marcovich ed., Teubner, Stuttgart-Leipzig 1999, p. 40 (Solon, I, 58), cit. da Bice Mortara Garavelli, Le parole e la giustizia, Einaudi, Torino 2001, p.XI;

8) M. Dogliani, Il valore costituzionale della pace e il divieto della guerra , cit;

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

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