Ricordare l’incidenza urbanistica della provincia nostrana sull’intero territorio nazionale può essere un valido deterrente per chi ironizza spocchiosamente sul provincialismo italico.
Alcuni dati statistici ripresi da un rapporto di Legambiente risalente al 2016 appaiono, infatti, eloquenti: in Italia l’85% dei comuni conta meno di 10.000 abitanti, con un fenomeno di popolamento di un territorio che conta oltre 22.000 centri abitati, quasi 33.000 nuclei insediativi, oltre a tanta parte del nostro sistema agricolo composto di “case sparse”. Inoltre, esistono 5.627 comuni al di sotto di 5.000 abitanti, piccoli comuni pari al 69,9% del totale dei comuni del Belpaese (8.047), la maggior parte dei quali molto piccoli: quelli con una popolazione tra 0 e 2.000 abitanti sono il 43,8% di tutti i comuni italiani e il 62,6% dei piccoli. Circa poi la distribuzione regionale emerge una sostanziale parità fra Nord e Sud, poiché le regioni con la presenza più significativa di piccoli comuni sono il Piemonte (1.068), la Lombardia (1.061), la Campania (335) e la Calabria (323).
Da qui, dunque, si possono prendere le mosse per alcune considerazioni circa l’urgenza politica, civile e culturale nei confronti della salvaguardia dell’integrità dei piccoli paesi nonché l’incentivo a scandagliare le cause dei fenomeni di scomparsa urbanistica e a proporne le soluzioni più credibili.
Sicché, all’interno di una tendenza generalizzata di decremento demografico e di invecchiamento diffuso, si può affermare che alla base del rischio di scomparsa dei paesi si colloca il problema delle opportunità di lavoro spesso legata al mancato sfruttamento delle risorse e delle vocazioni territoriali, non ultima l’agricoltura e tutte le potenzialità manifatturiere ad essa connesse; lo smantellamento di infrastrutture e servizi che scoraggiano le scelte abitative; in ultimo, ma non in ordine d’importanza, le lacunose iniziative politiche di ricostruzione successive alle calamità naturali, questione strettamente legata alla logistica della messa in sicurezza dei territori esposti a scosse sismiche. Ed è abbastanza spontaneo che la memoria corra non solo ai fatti più recenti che hanno toccato non solo il centro dell’Italia, in particolare l’Abruzzo (l’Aquila e dintorni) e il Lazio (Amatrice), ma purtroppo anche all’inveterata questione del post-terremoto che ha colpito l’Irpinia fin dal 1980, sulle cui ferite ancora aperte pare sia calato per sempre un colpevole sipario mediatico.
Tuttavia, se alcune questioni a livello di informazione di massa non hanno ancora guadagnato la loro giusta dimensione – se non purtroppo all’indomani delle macabre spettacolarizzazioni della conta dei morti sotto le macerie – si può notare l’attenzione che ad esempio il cinema ha posto sul fenomeno attraverso la pellicola di Pippo Mezzapesa, regista de Il bene mio (2018) con Sergio Rubini nei panni di Elia, ultimo abitante di Provvidenza, un paese meridionale distrutto dal terremoto, che combatte come l’ultimo dei Vietcong per mantenerne viva la memoria. Un film, che al di là di qualunque giudizio critico, ha avuto il merito di far conoscere uno dei tanti paesi-fantasma presenti in Italia, Apice, un borgo spettrale del beneventano più negletto. Per fortuna anche la cultura accademica si è mobilitata con l’impulso impresso alla paesologia – ovvero lo studio dedicato alla dimensione dei paesi nella loro concretezza economica, geografica urbana e culturale – dando vita ad un pionieristico progetto culturale pubblicato da Donzelli, con il primo di tre studi dedicati al ripopolamento, intitolato Riabitare l’Italia. Le aree interne tra abbandoni e riconquiste (2018), a cura dell’architetto Antonio de Rossi, un nutrito dossier nel quale la desertificazione urbana dei piccoli centri è filtrata con le lenti dell’architettura, dell’economia, dell’antropologia, del diritto. Una prima diagnosi della questione, cui poi è seguita un’altra iniziativa editoriale intitolata Manifesto per riabitare l’Italia (2020), a sua volta completata, infine, da una terza, ovvero Metromontagna, un progetto per riabitare l’Italia a cura di Filippo Barbera e Antonio De Rossi (2021), dove appunto il concetto di “metromontagna” esprime la prospettiva di un’integrazione armoniosa fra contesti abitativi e paesaggi rocciosi, di intersezione coscienziosa fra città-pianure-montagne. Anche la poesia ha fatto sentire la sua voce attraverso le parole di Franco Arminio autore del commovente Lettera chi non c’era, parole dalle terre mosse (Bompiani, 2021), nonché fondatore nel suo paese irpino di origine (Bisaccia) della Casa della paesologia, uno spazio comunitario dove il “paese” diventa oggetto non di canto retorico ma di studio conservativo della sua presenza. Con buona pace dei talebani della metropoli.
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