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Walter Friedrich Otto, proponendo venti tesi sull’essenza del mito, della civiltà degli antichi e sul divino, è tornato sull’idea di grecità come sintesi perfetta di natura e spirito: ne consegue che l’orizzonte classico appare tuttora la chiave per interpretare il presente.

Nell’introduzione al “Volto dei déi”, edito da Fazi, Giampiero Moretti, invitando a cogliere “una drastica inversione di sguardo nei confronti dell’antichità”,  sintetizza efficacemente il contenuto profondo delle tesi di Walter F. Otto sul cosiddetto “mito”: secondo lo storico e filologo tedesco il mito non è «un’invenzione felice dell’umanità più o meno antica, e men che meno primitiva, bensì una rivelazione originaria dell’essere» (pp.14). Il saggio, pubblicato per la prima volta nel 1951, non intendeva quindi limitare la nozione di mito a un modo per fare ordine e  per decifrare il caos ; ma voleva interpretarlo in stretta relazione con altre parole chiave come legge e archetipo, e prendendo atto della presenza diretta degli déi nella storia dell’uomo.

Gli argomenti di Walter F. Otto ripercorrono suggestioni già presenti in Hölderlin, Keats e Goethe, come del resto l’idea di una cultura e di una realtà greca antica in grado di amalgamare l’elemento naturale e quello spirituale: in questo senso si poteva dire che nella notte dei tempi gli déi camminavano accanto agli uomini.

Non a caso Otto scrive di una “divina folgorazione dell’archetipo” proprio riguardo la scoperta del linguaggio nel bambino: «dinanzi al modello tutto si compie come in autonomia  […] ciò non avviene tramite volontà o impegno, bensì solo grazie al potere del modello, in cui si ripete il miracolo originario della rivelazione della verità» (p.45).

In altri termini gli esseri umani agirebbero, coscienti o meno, indipendentemente dalla legge fondamentale kantiana, ma appunto secondo modelli e archetipi; portando avanti azioni e immagini che «non sono riconducibili a nessun pensiero, a nessuna esperienza, a nessuna volontà rivolta ad uno scopo» (p.62). La legge semmai diventa forma intellegibile dell’archetipo e rimane vera fin tanto rimane connessa all’archetipo; «ma quanto più la volontà si sostituisce all’intuizione, quanto più l’uomo si considera un essere dotato di volontà, la cui virtù può essere solo la libera obbedienza, tanto più l’archetipo si nasconde dietro la legge e gli dèi si ritirano dal mondo della moralità, oppure diventano essi stessi legislatori che non pretendono altro che l’incondizionata sottomissione alle legge della loro volontà» (p.62).  Gli argomenti di Otto svelano la forza creatrice del mito, coincidenza di parola e fatto: una forma dello spirito che va intesa come visione, ascolto e presenza degli dèi. Da qui l’idea di atto culturale come necessaria risposta dell’uomo alla presenza del divino, mentre il fatto che gli dèi abbiano davvero “camminato con gli uomini” si coglie dalle affermazioni secondo cui «l’atto culturale originario, che si ripete in tutti i successivi, non aveva bisogno di essere preceduto da alcuna fede nel divino: quest’ultimo era, infatti, immediatamente presente nei comportamenti e negli atti culturali» (p.87). Se prendiamo atto di questa vicinanza del divino allora il culto diventa consustanziale al mito: “nel culto come portamento e atto, nel mito come parola vera» (p.88). Senza però dimenticare alcune fondamentali differenze: nel culto l’uomo è innalzato al divino e agisce insieme ad esso, mentre nel mito il percorso è inverso, il divino si incarna come parola in una forma affine all’uomo.

Come ha evidenziato Giampiero Moretti, l’attenzione di Otto non è tanto rivolta all’esperienza razionale di derivazione kantiana, semmai ad una razionalità che ha incontrato il divino nel sensibile e poi lo ha conosciuto nel mito. Possiamo quindi comprendere perché lo storico tedesco abbia sempre riaffermato l’eccezionalità del pensiero greco antico e dei suoi miti: uno anche strumento per «sondare la facoltà umana di conoscere misticamente il divino (e così di incontrarlo); riattivare una capacità sopita, non tratteggiare empaticamente un’astratta categoria del pensiero» (p.13).

Nonostante la complessità degli argomenti, le pagine che Walter F. Otto ci ha lasciato si caratterizzano per uno stile chiaro, che non intende fare sfoggio di linguaggio accademico, ed anche per una grande capacità di sintesi: venti tesi sulla cultura greca, sulle eredità del passato, sulla vicinanza del divino; e, di conseguenza, la comprensione di parole chiave come Legge, Archetipo e Mito, al di là di «qualsiasi spiritualismo, più o meno di maniera» (p.9).

Walter F. Otto, (Hechingen, 1874 – Tubinga, 1958) filologo e storico delle religioni, è stato uno dei più originali pensatori tedeschi del secolo scorso. Fu amico di Martin Heidegger (insieme hanno curato l’edizione critica dell’opera di Friedrich Nietzsche), con cui condivise la passione per il poeta tedesco Friedrich Hölderlin, e maestro del grande studioso delle religioni Károly Kerényi.

F. Otto, Il volto degli dèi, Fazi, Roma 2016, pp. 94, € 15,00.

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