L’analisi di Sergio Romano sull’aggressione dell’Ucraina esamina gli errori e gli azzardi, non solo di Putin, ma anche degli “occidentali”, e inquadra i fatti denunciando, inoltre, l’involuzione sempre più dispotica del sistema politico russo.
Fermo restando che «ci sono circostanze in cui la politica deve farsi da parte per lasciare spazio alla psicologia», questo saggio fa comprendere cosa può essere passato per la testa di Putin, uomo descritto come non comunista fin dalle sue origini e semmai un fervente nazionalista, sebbene proclamatosi “conservatore liberale”. Un’analisi che parte da lontano, da Pietro il Grande, passando per la dissoluzione dell’URSS – evidenziando la frettolosa imperizia di Boris El’cin nel liquidare l’esperienza sovietica «consegnando il patrimonio economico del paese a uno stuolo avventurieri e di spregiudicati capitani d’industria che divennero rapidamente noti col il nome di oligarchi», fino ad una Russia che ricorda quasi con orgoglio il periodo della guerra fredda. Dissoluzione che, in tutta evidenza, poteva dare luogo a rapporti diversi con l’Occidente, se non fosse stato – sempre a detta di Romano – per qualche sussulto imperiale di troppo da parte degli Stati Uniti che, a loro volta, avrebbero così incrementato la storica diffidenza tra la Russia e le democrazie occidentali.
A complicare i rapporti, ormai da molti anni si è inserita la questione dell’Ucraina in un contesto in cui, quasi fosse un paradosso, «America e Russia sono entrambe orfane della Guerra Fredda». Ma il paradosso più grande è che l’Ucraina risultava «troppo storicamente legata alla Russia per diventarne un potenziale nemico, e troppo orgogliosamente nazione per diventarne un satellite». Paradossi messi in evidenza dai brevi accenni dedicati alla storia dei due nazionalismi, ucraino e russo, nonché dal ruolo della Chiesa ortodossa russa che oggi, durante la guerra in Ucraina, sostiene un cristianesimo retrivo «che sembra essere la religione preferita di Putin».
Ma, oltre la grande capacità di sintesi di Romano, un aspetto rilevante del suo libro è la totale assenza di retorica, soprattutto in tempi in cui ci si accusa, con troppa disinvoltura, di intelligenza col nemico o di bellicismo atlantista.
Romano, infatti, premettendo che non sarebbe giusto attribuire ogni responsabilità per i mediocri rapporti con la Russia agli Stati Uniti e alla NATO, fin dall’inizio scrive della sottovalutazione europea sulle mire della superpotenza (USA) e della potenza di medio livello (Russia), ovvero della loro «convinzione che vi è sempre un nemico e che occorre continuamente preparare il Paese ad affrontarlo».
«La scommessa di Putin» ritrae un mondo molto più complesso rispetto a quello che generalmente ci propongono i media e, sulla base di precedenti esperienze, esprime serie perplessità sull’effettiva efficacia delle sanzioni.
Questa complessità si riversa sull’ipotesi (sperata) di un trattato di pace che contenga, realisticamente, alcune concessioni reciproche e un progetto comune per il futuro, sperando, intanto, che l’Europa non diventi una sorta di «Svizzera disarmata e impotente».
S. Romano, La scommessa di Putin. Russia-Ucraina, i motivi di un conflitto nel cuore dell’Europa, Longanesi, Torino 2022, pp. 96, € 18,00.
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