L’Alleanza atlantica dalla nascita alla prima azione militare (1949-1999)
In cinquant’anni, dal 4 aprile 1949 al 10 giugno 1999, la NATO ha visto mutare il suo principio fondativo.
In cinquant’anni, dal 4 aprile 1949 al 10 giugno 1999, la NATO ha visto mutare il suo principio fondativo.
Istituita per rispondere al pericolo di un’invasione comunista in quella parte di Europa sotto l’egida degli Stati Uniti, in cinque decenni è stata militarmente operativa solo a partire dal 1999 con la guerra nel Kosovo per respingere la Serbia.
L’Alleanza atlantica è sopravvissuta al suo primario antagonista, l’Unione Sovietica, la quale, a capo del Patto di Varsavia, intendeva diffondere la sua influenza oltre la spartizione geografica stabilita dalle conferenze di pace dal 1943 al 1945.
Sorta sulle basi dell’Unione Europea Occidentale (UEO), l’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico – dopo la fine della guerra fredda – ha inglobato anche i Paesi europei della ex sfera sovietica (dopo lo scioglimento del Patto di Varsavia la maggior parte di quei Paesi è entrata a far parte, nel tempo, dell’Organizzazione di boulevard Leopold III a Bruxelles).
La NATO è «il prodotto di due rivoluzioni, entrambe nate dalle ceneri della Seconda Guerra mondiale» (1): la fine dell’isolazionismo statunitense e l’intento dell’Europa occidentale di superare le sue antiche conflittualità. Il 9 maggio 1950 il ministro degli Esteri francese Robert Schuman pose le basi superare la rivalità tra la Francia e la Germania, che segnò l’avvio dell’integrazione europea.
L’Alleanza nasce come «cane da guardia della Germania» (2), e come «contenimento» del comunismo in Europa, sviluppandosi «in una vera e propria alleanza diplomatica per la difesa comune […] ancorata alla garanzia data dagli USA» (3): un «impero ad invito» (4), dove la libertà si contrapponeva alla repressione propria nel blocco rivale con l’impiego di circa 11,9 milioni di soldati nei primi cinquant’anni (5).
Punto nevralgico della NATO è il famoso articolo 5, nel quale «le Parti convengono che un attacco armato contro una o più di esse in Europa o in America del Nord sarà considerato come un attacco diretto contro tutte […] (e) convengono che […] ciascuna di esse […] assisterà la Parte e le Parti attaccate» (6).
Il rifiuto comunista dell’European Recovery Plan (Piano Marshall), il colpo di Stato comunista in Cecoslovacchia, il “blocco” di Berlino ovest, furono tutti eventi che spinsero la parte filo-statunitense ad organizzarsi in chiave anti-sovietica: nacquero i cosiddetti “due campi” (7) nelle relazioni internazionali.
L’Alleanza ha superato nelle attese il patto di Bruxelles dell’UEO, la fallimentare prima alleanza europea di difesa tra Francia, Regno unito e BENELUX (8). L’Europa, da sempre al centro delle questioni mondiali, dal 1945 necessitò dell’aiuto degli USA. Il 4 aprile 1949, dodici Paesi dell’area nord atlantica (9) stipularono il Patto atlantico, premessa della Nato.
Il Patto atlantico non fu all’inizio una vera e propria alleanza, ma un’unione di intenti, per poi militarizzarsi secondo lo spirito della successiva guerra di Corea (1950-1953), che pose fine alle illusioni di “contenimento” sovietico e che acuì la guerra fredda: fu, di fatto, il conflitto coreano a stimolare effettivamente la NATO, ponendo l’atlantismo come “cemento pseudoideologico” (10) di coesione.
La “coesistenza pacifica” prevalse, nonostante le superpotenze furono in due occasioni vicine all’impiego di armamenti nucleari (11), ma a partire dal 1975, con l’Atto finale della conferenza di Helsinki, la minaccia sovietica cominciò a rallentare.
Furono gli USA a guidare l’Alleanza e dal 1955 la loro «l’influenza […] raggiunse il suo culmine» (12), essendo l’unica potenza in grado di gestire la rivalità con i sovietici.
Nei primi cinquant’anni la Francia ha generato una dialettica all’interno all’Alleanza, soprattutto nel periodo 1958-1969, coincidente con la presidenza del generale Charles de Gaulle, il quale vedeva non di buon grado la predominanza statunitense nella NATO e anche nell’ambito della nascente “forza nucleare europea”.
Per questa ragione, il 29 marzo 1966 fu ritirato il contingente militare di Parigi dal “Comando integrato”, pur rimanendo la Francia un Paese membro.
L’anno successivo, la NATO entrò in una nuova fase con il rapporto Harmel, che promosse «con successo pieno una politica di distensione, da affiancare a quella di difesa» (13), dando da allora maggior peso alla piccole nazioni aderenti, con un ruolo più attivo, e promovendo la dottrina della “risposta flessibile“ di kennediana memoria, a scapito della “rappresaglia massiccia” teorizzata da John Foster Dulles. La nuova dottrina intendeva rispondere ad attacchi avversari proporzionalmente alla loro forza, piuttosto che esercitare invariabilmente la superiore forza militare ed atomica americana.
L’avvio della Ostpolitik di Willy Brandt fece il resto, distendendo i rapporti all’inizio fra RFT e RDT, successivamente con la Polonia e con altri Paesi del blocco orientale, oltre agli accordi SALT del 1972 per la limitazione della crescita di armamenti atomici e l’apertura della CEE al Regno Unito; l’URSS e il suo blocco erano entrati in una fase calante mentre la NATO entrava in una crescente.
Il dispiego dei missili russi SS-20 verso l’Europa occidentale e la risposta atlantica coi Pershing II e Cruise acuirono la tensione, ma la NATO, con la “politica del doppio binario”, negoziando e dispiegando missili, ne uscì ancora vincitrice, a scapito di una direzione sovietica in difficoltà.
Dopo la caduta del comunismo, il ruolo della NATO andava ridisegnato: il Mondo cambiava, la geopolitica cambiava, il nemico storico si era dissolto.
L’Organizzazione atlantica è sopravvissuta alla guerra fredda, ha aperto le sue porte ai Paesi vicini a Mosca e nell’aprile 2009, nel piazzale della sede europea sono state issate le bandiere di Albania e Croazia, portando la NATO a 28 Stati membri (14), evento impensabile durante la stesura degli accordi di Washington.
È l’ex Jugoslavia il teatro delle prime due azioni militari della NATO dalla sua fondazione, ma è ciò che avvenne dal 24 marzo al 10 giugno 1999 a far scalpore: la prima azione militare dell’Alleanza contro uno Stato sovrano con l’operazione Allied Force. In quella occasione la NATO scavalcò le Nazioni unite sulla base dell’ “emergenza umanitaria” a Pristina , causata dalla pulizia etnica messa in atto dalla Serbia di Slobodan Milosevic.
La guerra, l’ennesima nei Balcani, ha modificato il panorama geopolitico, anche se ha generato a un tempo ampio consenso e aspre critiche, come quella per cui l’Alleanza atlantica avrebbe scavalcato il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni unite, l’unico organo, sula carta, preposto dal 1945 a decidere sulle guerre e sugli interventi.
La NATO da euro-atlantica ha adottato uno spirito più “mondiale” (15), andando ad inglobare anche i Paesi, che erano un tempo i nemici, dell’Est europeo ed uscendo dal “confine” occidentale.
L’ex cancelliere tedesco Helmut Schmidt aveva detto che la nuova Alleanza atlantica si sarebbe dovuta espandere, poiché il pericolo arrivava oltre la “cortina di ferro”, e che si doveva evolvere in quanto «non (c’era) più la minaccia russa e del Patto di Varsavia» (16). Al tempo stesso doveva mantenere la sua capacità prevista da quell’art. 5 che la caratterizza superando l’aggressione classica, ma questo avrebbe comportato un aggiornamento della NATO.
È il 1999 l’anno della svolta (17): la NATO entrava, come si disse, in action. La guerra kosovara ha mostrato «le differenti prospettive, le incertezze dei governi, le oscillazioni delle opinioni pubbliche e i gravi limiti operativi delle forze armate […]» (18). L’Alleanza ha scelto di agire in un’area del Mondo che dalla fine del XIX secolo, se non da prima, era una polveriera, soprattutto dopo la morte di Josip Broz “Tito”, avvenuta nel maggio 1980, quando emersero i differenti nazionalismi nell’unica Nazione comunista che un tempo aveva detto “no” a Stalin, la Jugoslavia; nazionalismi che portarono alle guerre dal 1991 al 1995, al massacro di Srebrenica e alla divisione della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia in sette Stati indipendenti (19).
L’azione atlantica fu, secondo molti, politicamente poco lungimirante, anche se apprezzabile dal punto di vista umanitario, ma, come ebbe a commentare anche Silvestri, fu guidata senza «obiettivi politici e strategici […] coerenti» (20).
Nonostante le due risoluzioni ONU 1160 e 1199 sul ripristino della diplomazia e della politica, a Pristina c’era un serio problema di pace e sicurezza che sfociò presto nella guerra e nella crisi umanitaria (21). A causa di ciò, la NATO, presieduta da Javier Solana, decise di intervenire: il 25 marzo iniziarono le prime incursioni, il giorno dopo lo scoppio del conflitto. Si decise di effettuare raid aerei (gli attacchi “terrestri” avrebbero causato più vittime) riducendo così le spese di una guerra che avrebbero poi avuto un costo di oltre 2 milioni di dollari giornalieri.
La NATO ha aggirato l’ONU, agendo senza suo esplicito mandato, in quanto si è posta come unica risolutrice della situazione: i risultati hanno tradito le attese, agendo la NATO talvolta controvoglia, come ricordava Silvestri (22), ed in maniera poco coesa dal punto di vista strategico-politico, visto anche il successivo acuirsi delle operazioni di pulizia etnica.
A sostegno della NATO sta il fatto che sono spesso le democrazie ad essere attaccate per prime dai regimi dittatoriali, che agiscono con intenti preventivi e per i quali la guerra è un dovere e non l’ultima chance.
I vertici militari guidati dal generale Wesley Clark furono poco lungimiranti e i due livelli dell’ “organizzazione interregionale” NATO hanno visto un forte condizionamento dell’opinione pubblica, arrivando ad ottenere effetti controproducenti, infilandosi in un vicolo cieco, visto che la penisola balcanica è, da oltre un secolo, nel caos politico e quindi zona non certo ideale per un’Organizzazione internazionale che sta ponendo le basi della sua nuova legittimazione.
Sicuramente Allied Force ha posto fine alla pulizia etnica serba, ma sono stati commessi errori nei bombardamenti colpendo civili ed infrastrutture che potevano anche non essere coinvolti.
Al termine del conflitto, nel giugno 1999, dopo 78 giorni di fitte azioni militari, la NATO contò mille caduti su una forza di 12mila militari impiegati.
La presenza americana è stata senza dubbio un valore di unione sin da quando la NATO aveva dodici membri, cosa che invece non riesce altrettanto a realizzare l’istituzione “amica” del futuro, l’Unione europea. L’Alleanza potrebbe puntare sul “rafforzamento del (suo) pilastro europeo” (23): si dovrebbe ora parlare di “USA più UE”, creando un nuovo tipo di dialogo. La strada sembra tuttavia ancora in salita.
Note
1) Cfr. L. Kaplan, I primi cinquant’anni della NATO, Rivista della NATO, suppl. al n°1, Bruxelles 1999.
2) M. Mazower, L’Europa ricostruita. Democrazie e totalitarismo nel XX secolo, Garzanti, Milano 1998, p. 210.
3) F. Romero, Storia internazionale del Novecento, Carocci, Roma 2006, p. 73.
4) Ivi, p. 74.
5) P. Kennedy, Ascesa e declino delle Grandi Potenze, Garzanti, Milano 2001, p. 687.
6) “Trattato del Nord Atlantico firmato a Washington il 4 aprile 1949”, in C. Focarelli, Digesto del diritto internazionale, Ed. Scientifica, Napoli 2008, p. 315.
7) E. Di Nolfo, Dagli imperi militari agli imperi tecnologici, La politica internazionale del XX secolo, Laterza, Bari 2008, pp. 212-213.
8) Area doganale comprendente Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo.
9) I Paesi firmatari del Patto atlantico furono Belgio, Canada, Danimarca, Francia, Islanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Norvegia, Portogallo, Regno unito, Stati Uniti d’America. In seguito, si aggiunsero: 1952 Grecia e Turchia, 1955 Repubblica Federale di Germania, 1982 Spagna, 1999 Polonia, Ungheria e Repubblica ceca. L’adesione della Germania federale, avvenuta il 6 maggio 1955, portò – dopo pochi giorni – alla stipula del Patto di Varsavia.
10) D. W. Ellwood, L’Europa ricostruita. Politica ed economia fra Stati Uniti ed Europa (1945-1955), Il Mulino, Bologna, 1992, p. 235.
11) La crisi di Suez (ottobre 1956 – marzo 1957) e la crisi dei missili di Cuba (13-28 ottobre 1932).
12) L. Kaplan, cit., p. 11.
13) Ivi.
14) I successivi allargamenti avvennero nel 2004 aprendo a Bulgaria, Estonia, Lituania, Lettonia, Romania, Slovacchia, Slovenia e, appunto, nel 2009 alle repubbliche albanesi e croate.
15) La NATO, dall’aprile 2003, ha assunto il comando dell’International Security Assistance Force (ISAF) in Afghanistan. La decisione fu presa su richiesta della Germania e dei Paesi Bassi, che guidavano l’ISAF al momento dell’accordo. Il progetto fu approvato all’unanimità. Il passaggio del controllo alla NATO avvenne in agosto. Fu, nella storia della NATO, la prima missione al di fuori dell’area nord-atlantica. Nel 1990 nacque il North Atlantic Cooperation Council, organismo creato per sostenere i Paesi europei ex-comunisti. Nel 1994 la NATO avviò la Partnership for Peace. Il NACC fu sostituto nel 1999 dall’Euroatlantic Partnership Council.
16) H. Schmidt, L’alleanza transatlantica nel 21° secolo, Rivista della NATO, n° 1, Bruxelles 1999, pp. 20-24.
17) Cfr. J. Solana, Il vertice di Washington: la NATO entra con decisione nel XXI secolo, Rivista della NATO, n° 1, Bruxelles 1999, pp. 3-6; S. Silvestri, NATO, la sfida del’incertezza, in AA.VV., La pace e la guerra: i Balcani in cerca di un futuro, Il Sole 24 ore, Milano, 1999, pp. 97-116.
18) R. Menotti, Che cosa resta della NATO, Limes, vol. 1, Roma 1999, pp. 123-124.
19) Tali Stati furono Slovenia, Croazia, Bosnia-Erzegovina, Serbia, Repubblica di Macedonia, Montenegro e Kosovo.
20) S. Silvestri, cit., p. 17.
21) Sul sito www.un.org si trovano i testi delle due risoluzioni.
22) S. Silvestri, cit., p. 107.
23) M. Telò, Europa potenza civile, Laterza, Bari 2004, p. 83.
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