Gli esami di Stato appena conclusi erano iniziati tra polemiche sul ritorno a una formula pre-pandemia, fortemente contrastata dagli studenti stessi, che non volevano un trattamento differente da chi li aveva preceduti negli ultimi due anni. Non si sentivano pronti ad affrontare una prova analoga a quelle di prima del 2020 perché il loro percorso scolastico era stato anch’esso scandito dal lockdown, dalla didattica a distanza, da quella mista presenza/distanza alternate, dai turni in presenza e dalla necessaria rimodulazione della prassi didattica. Pertanto, moltissimi chiedevano che fossero seguite le stesse modalità del 2021.
Il ministero dell’Istruzione ha sciolto la riserva su come dovessero essere svolti gli esami solo in fase molto inoltrata dell’anno scolastico: la prima prova ministeriale, di italiano, la seconda, specifica di ciascun indirizzo, predisposta dalle singole commissioni, un orale multidisciplinare basato sui contenuti svolti ed indicati nel documento del 15 Maggio, fondamentale riferimento per maturandi e docenti coinvolti.
Tutto ciò ha innescato tensioni che si sono aggiunte a quelle naturalmente connesse ad un importante rito di passaggio, ma ciononostante le operazioni si sono concluse in modo fluido.
Ciò che si è potuto constatare in sede d’esame apre interessanti spunti di riflessione su cosa esso rappresenti per gli studenti attuali e su cosa si stia delineando riguardo a contenuti, modalità e senso stesso della ‘maturità’. La paura, le sensazioni da notte prima degli esami, il vociare teso prima di entrare in aula, l’indecisione sulla traccia da svolgere e lo smarrimento di fronte a compiti pur simulati più volte, la timidezza che si scioglie nel procedere dell’esposizione, elementi attesi, ci sono stati tutti. Nessun cambiamento apparente rispetto al passato. Tuttavia, agli orali si è notato qualcosa di lievemente diverso. Per pochi, una sorta di distacco dal momento, come se lo stesse vivendo qualcun altro, per moltissimi la fatica di mettere insieme concetti senza scadere in banalità, a tratti anche foriere di vistosi errori di senso.
Il primo elemento può probabilmente avere due cause: difesa emotiva e/o disabitudine al mettersi alla prova. Il secondo invece va ricondotto, con buona probabilità, alla modalità stessa della prova orale: un’esposizione argomentata su nodi concettuali ed “intersezioni” tra materie e programmi svolti, indicati nel già richiamato documento del 15 maggio. Pur nell’indicazione dell’autonomia e personalizzazione di tale richiesta, ne è venuta spesso fuori una compilazione di contenuti presi da sintesi tutte uguali e messe insieme alla meglio, con pochissimo lume critico e scarsa robustezza intrinseca, tranne ovvie eccezioni.
Sarebbe estremamente riduttivo e scorretto addossarne le responsabilità ai soli studenti, liquidare la cosa con inadeguatezza della docenza, molto deleterio ritenere che poco importi ai destini dei tempi cosa avvenga all’esame di maturità.
Come in tutte le progettazioni, si dovrebbe ripartire dalla meta per costruire il percorso. I docenti e gli studenti ne sono consci e mai la scuola si sottrae a sé stessa. Se ne dovrebbe tenere conto, come del resto della necessità di formare e promuovere il pensiero complesso, per non finire in questo aforisma del filologo Giorgio Pasquali, del 1948: «a forza di guardare gli alberi noi corriamo il pericolo di non veder più il bosco».
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