Chi sono gli oligarchi russi? «Uomini d’affari che hanno accumulato enormi ricchezze, a volte a partire dagli anni delle privatizzazioni selvagge dell’èra di Boris Eltsin, ma l’hanno fatto (o le hanno potute conservare nell’ormai pluriventennale regno di Putin) grazie al fatto di agire sempre più come “proxy” del potere politico».
I sedici capitoli di questo saggio si leggono come un romanzo di spie tra finanza, storia, arte e politica. Non è però un saggio in cui spiccano le ideologie, anzi. Se c’è una cosa che si fa sentire è quanto scarso ideale politico ci sia alla base delle speculazioni internazionali operate da questi signori e dalle loro società con l’aiuto di studi di consulenza, avvocati, istituzioni, politici compiacenti e banche, russe e internazionali.
Ciò che infatti resta addosso è la capacità arbitraria di come uomini nati per la maggior parte in epoca sovietica usino con disinvoltura il più spregiudicato affarismo. Se di ideologia si può parlare, l’unica di cui gli oligarchi si fanno ambasciatori è quella del potere così come inteso dal presidente russo, Vladimir Putin, in molti casi amico o ex collega. Molti di loro (i padri) sono infatti siloviki ovvero ex agenti dei servizi segreti, come Igor Sechin, ceo della Rosneft, gigante petrolifero di proprietà statale, nel Kgb fin dagli anni Settanta poi divenuto vice di Putin. Sanzionato come molti altri fin dal 2014 sia dall’Unione Europea che dagli Stati Uniti, non ha avuto però nessun problema a tessere con l’Italia una solida e proficua rete di contatti per operazioni e affari, Eni e Pirelli, tra gli altri.
Come lui i Lebedev, padre e figlio – quest’ultimo nominato membro della House of Lords da Boris Johnson – proprietari di testate inglesi come The Independent e di castelli e proprietà in Umbria, così come Vladimir Yakunin, altro nome familiare nel nostro Paese, proprietario di numerosi immobili di lusso in Italia, riconducibili a società registrate in paradisi fiscali secondo un sistema collaudato di incastri e scatole vuote che – sebbene chiaro nel meccanismo – è molto difficile da inchiodare e rendere imputabile relativamente ad operazioni di accumulo e riciclaggio di denaro.
Denaro e potere sono del resto lo scheletro di questo libro; le cifre sono difficili anche solo da immaginare, come i patrimoni personali, il valore delle operazioni. Per capire: il denaro che comincia a diventare privato in occasione del colpo di stato dell’agosto del 1991 quando circa 8 miliardi di dollari di asset russi, detenuti dalla Bank Rossaya controllata direttamente dal partito comunista sovietico, vengono “magicamente” trasferiti all’estero dalla nomenklatura comunista per spogliarli del titolo pubblico e tramutarli in beni privati di un piccolo gruppo di persone.
Acquisto di beni immobili, conferenze e riunioni pubbliche con politici, banchieri e amministratori locali attraverso i quali accreditare le proprie società (esempio migliore è l’associazione Conoscere Eurasia che ogni anno organizza il Forum economico eurasiatico di Verona), opere di sponsorizzazione e iniziative di mecenatismo culturale, la presenza in Italia degli oligarchi e delle loro creature è capillare, salda, pacifica.
Oltre ad essi c’è la presenza sempre più invasiva dell’intelligence russa per spingere la sfera d’influenza fino ai livelli istituzionali e militari più alti; un terreno melmoso che anche in questi giorni di guerra in Ucraina sta emergendo sempre di più e con cui dovremo fare i conti per molto tempo. Ogni fatto contenuto in questo libro è stato verificato, è frutto di ricerche e inchieste durate anni che fanno riferimento a «documenti dell’intelligence, interviste con fonti politiche e finanziarie, documenti societari [..] ma anche fonti aperte, inchieste giornalistiche, libri, atti di commissioni parlamentari italiane e straniere». Un esempio di ottimo giornalismo.
J. Iacoboni; G. Paolucci, Oligarchi. Come gli amici di Putin stanno comprando l’Italia, Laterza, Roma 2021, pp. 216, euro 18.
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