Lo dice il famoso «Democracy Index», pubblicato annualmente dall’«Economist Intelligence Unit», che valuta lo stato della democrazia in 167 paesi. Il punteggio varia da 1 a 10 e divide i paesi in quattro categorie: democrazie complete, democrazie imperfette, regimi ibridi, regimi autoritari.
“Regimi ibridi”, come Turchia e Venezuela, si avvalgono solo formalmente di strutture democratiche e perpetrano costanti violazioni dei diritti e delle libertà fondamentali.
L’Italia, al 34º posto nel «Democracy Index», con un punteggio di 7.7, è superata da Malta e (sic!) Botswana.
La definizione di democrazia è molto articolata e riguarda un piano istituzionale, un piano politico e uno culturale.
Riguardo al dibattito pubblico, in Italia, la democrazia è alquanto confinata nel semplificato discorso mediatico, nel quale l’annunciato, ma in realtà inesistente approfondimento viene scambiato con la libertà di esprimere opinioni, le quali sono solo opinioni senza informazione, cioè, sono frutto di ideologismi (neanche di ideologie) o opportunismi di varia gradazione. I talk show televisivi sono emblematici, e anche i social media. Rarissimi i contributi positivi. Due esempi: il “data room” di Milena Gabanelli e «Limes» di Lucio Caracciolo.
Sul piano istituzionale e politico, non ci può essere libertà e fiducia in un futuro se molto meno del 50% della popolazione partecipa al piano politico. Inoltre, dobbiamo ricordarci che la democrazia non è un diritto scontato, ma una conquista da difendere ogni giorno. “Democrazia” non è un termine finito, ognuno di noi è il tassello per renderla compiuta. Perché il futuro è nelle nostre mani – lo dico con un po’ di retorica – e non dobbiamo rinunciare a migliorare le cose, anche quando tutto sembra logorare questa fiducia.
© Sintesi Dialettica – riproduzione riservata
Credits Ph Fred Moon