C’è poco da dibattere: in Italia, giovani e politica sono due mondi completamente separati. Tra scetticismo reciproco e mancanza di dialogo; da un lato, una classe politica vecchia e chiusa, non raramente corrotta e restia a qualsiasi apertura se non controllata e coordinata, dall’altro, ragazzi volutamente lasciati allo sbaraglio in un mondo senza conoscenza del passato e senza speranza nel futuro.
Assistiamo a un costante (e pericoloso) allontanamento di noi giovani, soprattutto dei ragazzi delle scuole superiori, dal mondo politico. Ma perché nel “Bel Paese” i giovani guardano alla politica con diffidenza, odio e, ancora peggio, indifferenza? È questa, infatti, la parola chiave del cortocircuito che oggi viviamo: indifferenza. Parlo di un’indifferenza indotta dalla lontananza che la “casta” politica suscita tra le più giovani generazioni, soprattutto nelle “periferie” del nostro Paese, in quelle aree cioè meno connesse alle grandi metropoli e dove la presenza dello Stato, tra scuola e altre istituzioni, risulta marginale, se non del tutto assente. Sebbene un certo riavvicinamento tra questi due poli opposti sia ravvisabile nelle giovanili politiche, spesso esse non si fanno promotrici di una vera e propria formazione a livello politico e socio-economico, bensì diventano strumenti dei partiti stessi per indottrinare i pochi volenterosi che a essi si avvicinano. A contribuire a questo allontanamento troviamo poi i continui tagli che negli ultimi anni sono stati perpetrati a danno dell’istruzione e dei servizi pubblici: una scuola malfunzionante e i “palazzi del potere” percepiti lontani, estranei e incuranti sono gli ingredienti perfetti per l’attuale cortocircuito sociale.
Con l’avvento poi della Seconda repubblica, la partitocrazia italiana si è via via concentrata in una grande e più o meno polarizzata compagine di centro, priva di veri e sostanziali ideali politici. Questi, gli ideali appunto, trovano invece terreno fertile proprio nei giovani, dai quali possono fiorire vere alternative al pensiero comune. Oggi viviamo infatti in un’epoca basata sull’omologazione, cioè sull’incapacità di concepire una valida alternativa al presente. Per questo si preferisce accantonare noi giovani, mettendoci da parte: noi rappresentiamo la rottura dello status quo, noi rappresentiamo il cambiamento, la crisi, in questo immobile e granitico sistema. Il cortocircuito sopra citato sta nel non considerare, nel futuro dell’Italia, chi quel futuro è destinato a forgiarlo: noi siamo il domani di questo Paese, che piaccia o meno, e staccarci a forza dalla sfera politica, convincendoci che “qualcun altro”, qualche (non)laureata testa canuta, abbia il ruolo di “decidere per noi”, determinerà solo un peggioramento delle nostre già precarie condizioni.
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