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Affrontare una riflessione sulla riforma della Costituzione italiana, analizzando la  tematica dei diritti e doveri di cittadinanza, comporta, saggiamente, di non esimerci da alcune considerazioni sul Testo approvato dalla UE in materia di Costituzione Europea, in quanto, a proposito di diritti, è venuto a mancare il diritto primario e fondamentale al riconoscimento della religione cristiana.

1. Affrontare una riflessione sulla riforma della Costituzione italiana, analizzando la  tematica dei diritti e doveri di cittadinanza, comporta, saggiamente, di non esimerci da alcune considerazioni sul Testo approvato dalla UE in materia di Costituzione Europea, in quanto, a proposito di diritti, è venuto a mancare il diritto primario e fondamentale al riconoscimento della religione cristiana. L’Europa senza Dio non piace al Vaticano, al Papa, ma non convince neanche noi. I 25 Paesi a Bruxelles hanno deliberato lo storico documento, ma i nodi principali restano irrisolti, anche se gli ottimisti si sentono sollevati per una crisi evitata. E i complicati problemi, oltre alla questione dei non voluti riferimenti alle radici cristiane, sono tanti e particolarmente pasticciati. L’obiettivo più importante insieme all’abolizione della presidenza semestrale e alla creazione di un ministro unico degli esteri, andati a segno, era il superamento dell’unanimità per decidere più speditamente sulla politica estera, la difesa, il fisco, giustizia, affari sociali. Tutte le decisioni saranno prese a maggioranza, ma con sbarramenti che saranno difficili da superare, e dunque sarà impossibile decidere in tempi rapidi, visto che basteranno cinque voti per bloccare tutto. Ma non basta. Per battere le resistenze dei piccoli paesi recentemente entrati nell’Unione che si sono sentiti sacrificati nelle percentuali della doppia maggioranza, e per dare prova di democrazia esasperata, si è deciso di aumentare a 6 il numero minimo di eurodeputati per ogni paese e di concedere che una legge che non piaccia ai partners minori, possa essere riportata in Consiglio. Contemporaneamente nel processo di ratifica della nuova Costituzione Europea, si consuma lo spettro del Referendum, già richiesto da più parti e non disdegnato neanche in Casa Nostra. Una Europa sbiadita, una Comunità sottomessa e pasticciona, che non affronta i problemi veri e che preferisce essere accusata di laicismo, piuttosto che ammettere che ha cestinato le radici cristiane, per paura di mettersi contro le comunità musulmane (e dunque Bin Laden), non ci piace. È una Europa frantumata, debole, che non riuscirà a pesare tanto nel mondo economico e, soprattutto, inchinandosi alla terribile minaccia esterna ed interna del fondamentalismo islamico, ha abbandonato la sua identità e il suo progetto di diventare una Comunità di destino e di popoli che puntavano a costruire una economia sociale di mercato, indispensabile al raggiungimento del progresso sociale.

2. Ma veniamo all’Italia dove, archiviato il risultato del referendum sulla riforma della Costituzione, è necessario riprendere il cammino verso una riforma condivisa del dettato costituzionale vanamente rincorsa per un quarto di secolo, contrastando la tentazione di una immodificabilità per alcuni decenni a venire. Infatti è tutt’ora molto forte nel nostro Paese l’area dei conservatori istituzionali ad oltranza, persone che legittimamente ritengono la Costituzione vigente la migliore possibile e che, per difenderla, non esitano a rispolverare l’ideologia resistenziale: sembra infatti che per costoro il primariato sia una specie di tradimento dei valori resistenziali, l’apertura delle porte al fascismo. Inoltre nella maggioranza del centro sinistra ci sono gruppi contrarissimi al premierato e questi gruppi faranno valere il ruolo che svolgono ai fini della stabilità del governo per bloccare nuovi tentativi di riforma. Il miglior modo per iniziare la ricerca di intese più larghe è mettersi d’accordo sulla necessità di un Assemblea Costituente, l’unico luogo deputato alla riscrittura delle regole condivise. Per rifondare su nuove basi il sistema politico, per modernizzare le istituzioni, per contrastare un federalismo lacerante e moltiplicatore di costi e ritrovare la strada dello sviluppo economico, facendo prevalere il senso della responsabilità e la promozione dell’interesse dei diritti e dei doveri di una nazione. L’assemblea Costituente è lo strumento per l’esame e l’approvazione di una legge di revisione della Costituzione, escluso l’art 139.  Possono essere assegnati alle competenze dell’Assemblea tutte le proposte e i disegni di legge presentati alle Camere nelle stesse materie e l’assemblea approva una legge di revisione costituzionale, sottoposta poi a referendum popolare. 

3. Revisioni di portata robusta al Testo vanno fatte con la partecipazione più ampia delle forze politiche e strappi compiuti da entrambe le coalizioni, prima e dopo, hanno prodotto guasti notevoli. Il primo strappo lo ha consumato il centro sinistra, con la riforma del Titolo V alla fine della XIII legislatura causando danni ingenti; il centro destra dal canto suo ha proseguito ha tentato una procedura – quella della revisione dell’art.138 – del tutto impropria per revisioni di portata così vasta. Un ordinamento della Repubblica radicalmente riformato nel disegno dei suoi organi fondamentali, comporta una responsabilità ampia e costruttiva. Per ragionare in maniera costruttiva verso l’attuazione del Federalismo fiscale è importante premettere che a proposito di devolution qualsiasi intervento in questo campo che eluda aspetti fiscali, è tempo perso: se si confrontano i due testi, il titolo V riformato dal centro sinistra oggi in vigore e il testo della riforma del centro destra, si scopre che la devolution 1 -centro sinistra – è assai più confusa e pasticciata della devolution 2-centrodestra. Quest’ultima, infatti, definisce meglio le competenze esclusive delle Regioni e ricentralizza (reintroducendo il principio dell’interesse nazionale), materie che, insensatamente, il centro sinistra ha attribuito alla competenza congiunta di Regioni e Stato.

4. La materia fiscale nel dibattito italiano, tende a vedersi assegnata una posizione particolare: l’ultima. Einaudi ne attribuiva la responsabilità a Giovanbattista Say, che, nel suo trattato di economia, dove la produzione era trattata come creazione ed il consumo come distruzione, avendo poco da dire nel capitolo riguardante il consumo, vi inserì il fisco. Da qui l’immagine negativa. Nel dibattito attuale su spazio di Stato e mercato, il ruolo politico è giocato dalla spesa pubblica, mentre al fisco spetta un ruolo principalmente tecnico e gregario.Anche nelle impostazioni in cui al sistema tributario è assegnata una funzione fondamentale,la creazione di giustizia, il primato del fisco rimane sulla carta,come associazione puramente estrinseca( più pressione fiscale sul PIL uguale giustizia) perché vi è sì un ampio dibattito sui modi concreti di riduzione delle disuguaglianze per via tributaria, ma  il confronto è relegato a pochi tecnici… Il federalismo fiscale può avere tutt’altro segno : può portare il fisco a giocare un ruolo di primo piano nelle scelte tra spazio pubblico e privato dell’economia, attraverso la “scoperta “ e l’implementazione della sussidiarietà fiscale accanto alla sussidiarietà nell’assegnazione delle funzioni pubbliche. Può esaltare il ruolo politico dei tributi,promuovendone nuovi assetti,in cui emergono le valenze relative ai principi di correlazione e responsabilità,oltre che di giustizia. Può rinsaldare la democrazia, promuovendo la trasparenza e forme di mercato virtuale in comparti strategici delle decisioni pubbliche, dove ora imperversa il dominio delle lobby assai più che della politica.

5. Molti degli interventi pubblici nati nel segno di un welfare a carattere nazionale( la sanità,l’istruzione,l’aiuto verso le nuove povertà, il welfare to work, le infrastrutture e le iniziative per lo svolgimento di una vita civile al di fuori della famiglia che non sia solo nel segno del self interest) tendono ad avere sempre più carattere complesso e articolato,svolgendosi nel segno di attività /impresa,la cui rispondenza ad enti decentrati è tecnicamente e politicamente opportuna. Sul versante fiscale è opinione diffusa che ci deve essere accompagnamento del processo di decentramento,eventualmente con innovazioni della struttura del sistema tributario. 

Tre sono i principi sui quali si può ragionevolmente procedere su una riforma condivisa che abbia come baricentro la promozione dei diritti  e dei doveri di cittadinanza :  la sussidiarietà fiscale; la correlazione ; la responsabilità. La sussidiarietà fiscale può essere sviluppata lungo tre direttrici. La prima costituisce il pendant del concetto di sussidiarietà applicato a funzioni pubbliche,e implica l’uso della leva fiscale per agevolare l’effettuazione di certe attività a carattere sociale da parte di strutture private e semiprivate : entra in campo la deducibilità diretta in sede irpef, o di altri tributi territoriali,di forme di bonus a favore della famiglia-anziani, scuola-disabili-ecc. la cui diffusione è ostacolata da forti difficoltà burocratiche. La seconda direttrice è simile alla prima,ma coinvolge le imprese. Si tratta di riportare dentro la fiscalità molti dei trasferimenti ad esse mirati,che oggi si traducono in spesa pubblica ad alto impiego di burocrazia. L’imposta candidata alla ricezione di tali incentivi è l ‘irap,la cui riduzione potrebbe così avvenire nel contesto di forti semplificazioni e di trasparente rilancio della produzione,nonché di sostegno all’inserimento e al consolidamento delle forze/lavoro.La terza fondamentale direttrice riguarda l’attività di accertamento fiscale,che dovrebbe essere attribuita ai livelli di governo superiori solo quando quelli decentrati mostrano inadeguatezze. La valorizzazione delle imposte reali agevola il federalismo fiscale,rendendo possibile la responsabilizzazione degli enti decentrati anche nel campo dell’accertamento. 

Il secondo principio ,la correlazione, è piuttosto nuovo nella formulazione,ma è antico nella sostanza,rimandando al principio del beneficio,caro a Einaudi. L’imposta diviene un mezzo di finanziamento degli interventi pubblici specifico e non generico,nonché uno strumento di intervento essa stessa. Torna attuale ora, quando la moltiplicazione dei livelli di governo tende ad indicare specializzazioni: la regolazione della produzione tende a svolgersi ai livelli di governo alti; la regolazione dei redditi tende ai livelli intermedi; la fornitura dei servizi alle persone-tipo consumo- tende a svolgersi ai vari livelli locali e nel contempo il fisco si struttura a seguito delle imposte personali,sui tre livelli, cioè, produzione nazionale ,redditi fondati sul territorio,consumi e servizi.Le indicazioni possibili sono varie : emerge l’opportunità di accentrare l’irap e decentrare l’iva e molte accise; oppure di territorializzare molto di più di quanto avviene oggi prelievi specifici ,quali quelli sugli immobili, auto,tabacchi,giochi;oppure di puntare sui prelievi diretti sui servizi,riducendo la fiscalità generale pur nella salvaguardia dell’equità.  

Il terzo principio, la responsabilità,discende in buona parte dai due precedenti ma necessita di innovazioni,tra questi : una notevole autonomia nella fissazione delle aliquote,con coinvolgimento anche dei cespiti a carattere personale e non solo di quelli a carattere reale; una perequazione responsabilizzante,che paradossalmente è tale quando la perequazione è alta e non bassa,arrivando a estendersi anche ad una parte delle flessibilità di aliquota. Una flessibilità fiscale fortemente sperequata sarebbe infatti impercorribile dagli enti più poveri,e farebbe inevitabilmente tornare in campo le spinte assistenzialistiche. A danno di qualsiasi processo di promozione di una nuova stagione di diritti e doveri di cittadinanza di cui l’Italia  ha assolutamente necessità per garantire sviluppo ed efficienza.

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