Mimmo Lucano, eletto tre volte sindaco tra il 2004 e il 2018, ha realizzato, a Riace, un modello di accoglienza diffusa finalizzato all’effettiva integrazione dei richiedenti asilo nella comunità locale e rivolto al contrasto dello spopolamento di alcuni borghi calabresi.
La gestione degli interventi veniva affidata a cooperative e associazioni del luogo e finanziata con fondi statali e dell’Unione Europea.
Quello di Riace è un modello che ha ottenuto riconoscimenti internazionali. A marzo 2016, Lucano è incluso nella lista dei 50 leader più influenti al mondo stilata dalla rivista «Fortune»,e il regista tedesco Wim Wenders, nel mediometraggio «Il volo», si è ispirato alla sua storia.
Ad un certo punto, tuttavia, iniziano i controlli, le inchieste, le accuse, il processo, la sentenza di primo grado.
Domenico Lucano viene condannato dal Tribunale di Locri a 13 anni e 2 mesi di carcere per associazione per delinquere, truffa, peculato, falso e abuso d’ufficio, con una condanna addirittura superiore alla richiesta del pubblico ministero (7 anni e 11 mesi). Con lui vengono condannate altre 17 persone.
Oltre 900 pagine di motivazioni hanno descritto Lucano come «dominus indiscusso di un sodalizio che ha strumentalizzato il sistema dell’accoglienza a beneficio della sua immagine politica».
In appello, quasi tutte le accuse contestate all’ex sindaco di Riace sono crollate.
Nonostante la Procura generale avesse richiesto una condanna di 10 anni e 5 mesi, i giudici della Corte d’appello di Reggio Calabria lo hanno condannato ad un anno e sei mesi di reclusione, con pena sospesa, restando in piedi soltanto un falso in atto pubblico per una delle numerose delibere contestate in uno dei capi di imputazione.
Assolti altri 17 imputati, collaboratori di Lucano. Revocate confische e sanzioni civili.
La decisione ha smontato le accuse contenute nei rapporti della Prefettura di Reggio Calabria e nell’inchiesta Xenia della procura di Locri che nel 2018 aveva portato Lucano agli arresti domiciliari – convertiti due settimane dopo nel meno grave divieto di dimora a Riace – con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
Quello che maggiormente rileva, ai fini della comprensione del modello Riace, è il venir meno, in conseguenza della sentenza d’appello, dell’accusa contestata a Lucano di essere stato il promotore di un’associazione a delinquere finalizzata alla gestione illecita dei fondi destinati ai progetti Sprar e Cas e di aver conseguito vantaggi patrimoniali o politici dal sistema di accoglienza.
Si attendono le motivazioni della statuizione della Corte d’appello che illustreranno le ragioni del ribaltamento della sentenza di primo grado, mentre gli avvocati del sindaco promettono battaglia sui capi rimasti ancora in piedi.
La Corte di Cassazione sarà sicuramente chiamata a fornire un responso definitivo sul Caso Riace, attese le enormi divergenze di valutazioni nei due gradi di giudizio.
L’unica certezza, allo stato, è che del modello Riace non residua più nulla.
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