Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza sta entrando nel vivo. Finora l’Italia ha avuto dall’UE 24,8 miliardi di acconto; verso febbraio 2022 dovrebbe riceverne altri 21. Il presidio dei risultati concreti richiede meno comitati guida o cabine di regia e più responsabilità manageriale diretta, competente e autorevole.
Gli apparati amministrativi del nostro Paese sono attesi a dare prova di buona amministrazione. Per certi versi, sono chiamati a una vera e propria rivoluzione etica e culturale. Anche perché una delle preoccupazioni che accompagna l’attuazione del PNRR è di evitare che il Piano diventi occasione per condotte corruttive, ossia che parte delle risorse pubbliche vengano distratte dalle finalità di interesse pubblico cui sono destinate. L’attenzione deve essere massima, a tutti i livelli, perché l’Italia ha ancora un gap da recuperare in tema di corruzione percepita (1).
L’attuazione del PNRR arriva a 10 anni dai provvedimenti in materia di trasparenza amministrativa e prevenzione della corruzione (L. 190/2012, D.lgs. n. 33/2013, D.lgs. n. 97/2016). È il momento giusto per fare un “tagliando” all’impianto normativo posto a presidio di legalità e integrità. Diventa cruciale, a tal fine, alimentare un dibattito sull’efficacia delle misure fin qui adottate, per capire se la strategia su trasparenza e anticorruzione stia solo attraversando un momento di stanca, che necessita di essere rilanciata, o semplicemente sia una moda passeggera e, come tale, destinata a passare.
Sulla necessità di riformare l’impianto normativo, nonché di rilanciare le politiche di prevenzione, si sono alzate più voci, secondo le quali «dal momento che le iniziative di prevenzione della corruzione necessitano di una ampiezza temporale incompatibile con la gestione del consenso elettorale, la politica ha progressivamente ridotto il suo impegno» (2). C’è chi sostiene, peraltro, che ci sarebbe una scarsa propensione a includere la società civile nei processi di formazione e di monitoraggio della spesa, con uno «scivolamento verso un modello sui controlli interni al sistema amministrativo, dall’anticorruzione-trasparenza all’audit-compliance, in un disegno più centralistico e meno aperto» (3). Le analisi convergono su un punto: la prevenzione della corruzione è diventato un sistema chiuso di procedure e controlli autoreferenziali, destinato esclusivamente agli addetti ai lavori.
Il Presidente della Corte dei Conti, Guido Carlino, ha sostenuto che «interventi di anticorruzione formale o di facciata, di difficile e talvolta impossibile applicazione, hanno finito per vanificare in radice l’efficacia deterrente e preventiva delle norme» (4). Ma il problema non si limiterebbe solo a questo. Quante volte ci sarà capitato di leggere sulla stampa di un sindaco, un presidente di Regione, amministratori o dirigenti, che hanno causato considerevoli danni erariali accertati, anche con sentenze passate in giudicato, che non incontrano alcuna limitazione al loro diritto di elettorato passivo, oppure che rimangono a gestire risorse pubbliche, o che possono essere investiti di tali incarichi. Come non vedere in questa lacuna un vulnus che incide nel rapporto di fiducia tra amministrazione e cittadini. Un deterioramento che spinge molti cittadini a disinteressarsi della politica e allontanarsi dall’impegno civile.
In un recente articolo (5), Anna Corrado ha giustamente sottolineato il ritardo accumulato nell’emanazione del disegno di legge delega di modifica della disciplina anticorruzione e della trasparenza. Una riforma contemplata dal PNRR, che doveva essere presentata a giugno 2021, poi slittata a settembre, che al momento è sparita dai radar. Ma non è solo il ritardo con cui si sta dando attuazione a una riforma del PNRR a preoccupare. L’impressione è che l’intera strategia di prevenzione della corruzione abbia smarrito la centralità che merita. Il Piano integrato di attività e organizzazione (PIAO), previsto dall’articolo 6 del DL n. 80/2021, per esempio, rischia di depotenziare i processi di prevenzione. Se da una parte è apprezzabile lo sforzo del legislatore di semplificare la lista di documenti richiesti negli ultimi 15 anni, che non hanno certamente contribuito ad aumentare l’efficienza delle amministrazioni, dall’altro l’aver ricondotto il Piano triennale di prevenzione della corruzione e della trasparenza a una “sezione” del PIAO, invischiandolo nella giungla degli adempimenti burocratici e dei cicli delle performance, sembra andare nella direzione di alimentare ulteriore inutile burocrazia difensiva. Una gestione dove l’importante è che sia rispettato il formalismo delle carte, per cui tutto il resto non conta.
Anche la mancata adozione, alla data del 17 dicembre 2021, delle regole europee per tutelare chi segnala violazioni e reati, appare come un segnale di indebolimento generale. L’Italia non ha rispettato la data entro la quale l’Unione Europea ha previsto, per tutti i Paesi membri, il recepimento della direttiva (2019/1937) sul whistleblowing, che amplia la normativa sulla protezione delle persone che segnalano illeciti, compresa una stretta sulle sanzioni per punire con maggiore efficacia le ritorsioni nei confronti dello “spifferatore”. Recepire la direttiva vuole dire regolare meglio la segnalazione di reati, trovare le forme più adeguate di tutela del lavoratore che trova il coraggio di denunciare. Il suo recepimento è urgente.
La delega con la quale il Parlamento chiedeva al Governo di trasporre la direttiva nel nostro ordinamento è scaduta ai primi di agosto; ora andrà trovato un altro veicolo legislativo nel quale inserire il recepimento. Con tutta probabilità, niente di fatto fino alla prima metà del 2022. «Non rischiamo una procedura d’infrazione ed è già previsto un periodo di proroga, ma è un brutto inizio di fronte ai miliardi che il PNRR è pronto a immettere nell’economia nazionale, con i conseguenti rischi legati a corruzione e infiltrazioni criminali e la necessità di contare su persone che di fronte a un illecito non si voltano dall’altra parte, ma segnalano alle autorità», ha commentato Giorgio Fraschini, responsabile per l’attività di whistleblowing di «Transparency International Italia». Ma non si tratta solo del ritardo.
Quello che maggiormente preoccupa «è il mancato coinvolgimento degli stakeholder, dalle organizzazioni ai sindacati, dalle associazioni delle imprese agli stessi whistleblower», spiega il direttore di «The Good Lobby», organizzazione non profit che si impegna affinché anche la società civile sia in grado di influenzare i processi decisionali e legislativi. Ecco allora che ritorna il tema della partecipazione. Quando è opportunamente ingaggiata, la società civile gioca un ruolo fondamentale a livello educativo, comunicativo, rappresentativo e cooperativo, attraverso iniziative formative, di studio e di ricerca sui fenomeni di monitoraggio civico, di advocacy e lobbying, di mobilitazione e rafforzamento della consapevolezza.
E se a controllare le spese del PNRR mettessimo associazioni e società civile?
Con le ingenti risorse pronte a entrare nel circuito economico, avere un monitoraggio civico capillare e attento è un’idea tutt’altro che eccentrica. Fare le pulci al sistema, andando a vedere delibera dopo delibera, come le amministrazioni locali spenderanno i fondi europei. D’altronde, è a livello locale, non a Roma, che si dovranno fare le cose. La maggior parte degli enti attuatori è rappresentata dai Comuni, un livello decisamente decentrato, dove giocheranno un ruolo chiave le associazioni locali, insieme ai protagonisti del territorio.
In tal senso, è da registrare una bella notizia: la nascita di LIBenter, acronimo di “L’Italia BEne comune Nuova Trasparente Europea Responsabile”, presentata a giugno dalle istituzioni promotrici: CNEL, Università Cattolica, Libera/Gruppo Abele e Fondazione Etica. Sul sito dell’iniziativa si può leggere che «LIBenter vuole adempiere, tramite strumenti concreti, a quello status di cittadinanza che dà diritti, doveri e responsabilità: la responsabilità di accompagnare il lavoro cui sono chiamate le pubbliche amministrazioni con gli strumenti di controllo e di vigilanza sociale diffusa, al fine di contrastare sprechi di risorse».
Il tema della legalità è risuonato forte nelle parole usate da don Luigi Ciotti in occasione del lancio dell’iniziativa. Il suo invito è stato a elaborare un «pensiero nuovo, radicale, rigeneratore» dato che la presenza criminale è dentro le «fessure» della nostra società. «La lotta alle mafie e alla corruzione richiede adeguate misure giuridiche e repressive, ma perché siano incisive è necessario un grande impegno culturale, educativo, sociale». Oggi, ha avvertito Ciotti, «riscontriamo un pericolo strisciante: c’è tanta disattenzione che porta alla normalizzazione di questi fenomeni, cioè il fingere che il problema sia meno grave di quel che sembra o che addirittura non esista, complice il suo manifestarsi in forme anche nuove e meno aggressive».
La lotta alle mafie e alla corruzione, perciò, non può essere una questione solo delegata agli addetti ai lavori, come se fosse un settore estraneo della vita pubblica: è necessario allargare a tutti questa battaglia, attraverso percorsi di partecipazione. Se la corruzione, in senso lato, configura la violazione del principio di economicità nell’azione amministrativa, conseguentemente l’anticorruzione diviene l’insieme dei presìdi per il contrasto, preventivo e repressivo, di tutti i fenomeni di spreco delle risorse pubbliche.
Ecco allora che è arrivato il momento di pretendere norme coerenti ed efficaci, dicendo basta al “mascariamento”, quell’azione di delegittimazione delle norme, con conseguente declassamento a fastidioso adempimento burocratico, che qualcuno vuole perpetuare. È ora il momento giusto di porre un argine a fenomeni di malaffare, anche con norme più incisive.
Per questo diventa urgente varare una riforma organica del settore, dando alla trasparenza e alla prevenzione della corruzione quella centralità che merita. Una strategia complessa, che necessita di un coordinamento tra diversi attori, che deve coinvolgere attivamente gli apparati amministrativi, a tutti i livelli di governo, senza dimenticare il ruolo cruciale del monitoraggio civico, riscoprendo il piacere della costruzione di un «noi» e di un cammino insieme.
Il rilancio della normativa, anche attraverso azioni di conoscibilità ex-ante dei bandi di gara del PNRR e di semplificazione su trasparenza e anticorruzione, è cruciale ma è altrettanto cruciale non perdere l’occasione di favorire una governance inclusiva e trasparente, adottando un approccio relazionale nuovo, più vicino al metodo del Governo Aperto (Open Government). Si darebbe al Paese un segnale importante: che l’anticorruzione sta a cuore alle istituzioni e alla politica. Sarebbe il segnale più evidente che la lotta alla corruzione, da noi, non sarà mai una moda passeggera.
* Esperto del CNR in organizzazione e processi di innovazione
Note
- Cfr.: “Eight international competitiveness report 2021”
- Cfr.: Ferrarini A., Di Rienzo M., “Riformare la legge 190/2012: istruzioni per l’uso”, SPAZIOETICO, Novembre2021.
- Cfr.: Carloni E., “Passi indietro su anticorruzione e trasparenza? Considerazioni a margine del PNRR e del decreto PA”, in «Orizzonti del diritto pubblico», giugno 2021.
- Cfr. “La lunga battaglia della Corte dei Conti contro corruzione e inefficienza”, intervista di G. Carlino, «Economy», 4 febbraio 2021.
- Cfr.: Corrado A., “La moda dell’anticorruzione”, «Corriere della Sera», 22 novembre 2021.
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