Il riconoscimento della cittadinanza italiana a persone straniere di recente immigrazione e i concetti di “ius soli”, “ius sanguinis”, “ius scholae”, “ius culturae” sono questioni molto serie e politicamente divisive. Iniziamo a capire di cosa si tratta.
Con lo “ius sanguinis” una persona assume automaticamente la cittadinanza dei genitori. Con lo “ius soli puro”, un individuo ottiene la cittadinanza dello Stato in cui nasce, senza che sia necessario che i genitori siano anche cittadini. Se sono richiesti ulteriori presupposti, si parla di “ius soli condizionato”.
A livello internazionale, le Americhe adottano in modo predominante il regime di “ius soli puro”, mentre nel resto del mondo prevale lo “ius sanguinis” o lo “ius soli condizionato” (vds. Ist. Univ. Europeo di Firenze, Global Citizen Observatory & Migration Studies Delegation, 2018, How Citizenship Laws Differ: A Global Comparison, Policy Brief n. 9/2018).
In Italia, la materia è disciplinata dalla legge n. 91 del 1992, che prevede prevalentemente l’applicazione dello “ius sanguinis”, ma anche limitate ipotesi di “ius soli condizionato” in caso di figli di ignoti o di apolidi.
In generale, lo straniero extra-UE potrà acquisire la cittadinanza dopo 10 anni di residenza legale. Invece, individui nati e residenti legalmente e ininterrottamente in Italia fino ai 18 anni, possono richiederla entro il compimento del diciannovesimo anno.
Alcuni commentatori ritengono che l’attuale regime sia nocivo per la collettività e non tuteli i minori perché impedirebbe la loro piena integrazione e lo sviluppo di un sentimento di appartenenza all’Italia. Invece, altri pensano che lo “ius soli puro” potrebbe creare un eccesivo afflusso di migranti, che si avvantaggerebbero di questo regime senza avere alcun legame con l’Italia, ottenendo parimenti la cittadinanza europea.
Visto il riconoscimento di molti diritti fondamentali in Italia, i minori stranieri residenti, seppur non cittadini, possono ricevere assistenza medica e frequentare la scuola; tuttavia, sono limitati in alcune attività che richiedono la cittadinanza, quali, per esempio, la partecipazione a talune competizioni sportive agonistiche o la candidatura a borse di studio.
Inoltre, sussiste il problema del requisito della residenza ininterrotta, considerato indice di legame con l’Italia, che può limitare la mobilità lavorativa temporanea dei genitori e la partecipazione dei minori a programmi formativi all’estero. Critico è anche il tempo ridotto di un anno per la richiesta di cittadinanza, se il richiedente deve rinunciare a quella di origine.
Al fine di risolvere questi problemi, è stata proposta l’introduzione dello “ius culturae” e dello “ius scholae”. Il primo prevede l’acquisizione della cittadinanza da parte di stranieri, arrivati in Italia prima dei 12 anni, che abbiano studiato per almeno 5 anni, con esito positivo se si tratta di scuola primaria. Mentre, il secondo permette a persone, giunte in Italia dopo i 12 anni, di acquisire la cittadinanza dopo 6 anni di residenza, il compimento di un percorso di studi e l’ottenimento di una qualifica professionale.
Negli ultimi decenni il legislatore è stato lento (eufemismo) nell’affrontare questi elementi, ma la forza di questo fenomeno globale, le migrazioni, sempre più spesso insopportabilmente tragico, necessariamente richiede una cultura e una politica seria ed efficace dell’integrazione. Da almeno tre decenni mancano sia l’una sia l’altra.
Nell’immagine, intitolata “Two girls gossiping with one other”, tratta da pexels.com, “Sintesi Dialettica” ha ritenuto intervenire coprendo gli occhi delle due bambine.
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