Skip to main content

Nel bicentenario della nascita di Fëdor Michajlovič Dostoevskij, riscopriremo uno dei passaggi più significativi dei «Fratelli Karamazov»: il “racconto del grande inquisitore”, dal quale emerge una profonda concezione della libertà, come opportunità, e anche come inquietudine.

Riassumere i temi dell’intero romanzo di Dostoevskij sarebbe quasi sacrilego: la bibliografia sull’argomento è sterminata, e poche righe non avrebbero aggiunto nulla in più. Tuttavia, ho volutamente scelto il capitolo intitolato il grande inquisitore, perché esprime una formidabile riflessione sulla condizione umana di ogni tempo.

La “leggenda” è un racconto allegorico che Ivan Karamazov espone al fratello Alëša nel corso di una conversazione in una trattoria. I due fratelli hanno caratteri opposti: il primo è un “anarchico”, per certi aspetti un “esistenzialista” disilluso dalla vita; il secondo, di indole mite, è convinto che questo sia il migliore dei mondi possibili. Il racconto si svolge come una parabola il cui protagonista è Gesù in persona, che sceglie di ritornare sulla terra ai tempi dell’inquisizione spagnola.

La narrazione ruota attorno al novantenne cardinale inquisitore e Gesù stesso, che dopo aver resuscitato una bambina, è condotto al suo cospetto per essere giudicato. Questi è una sorta di nuovo Pilato, ma a differenza di quest’ultimo non si sottrae alla responsabilità del suo giudizio, anzi è un personaggio dalle convinzioni granitiche, che contesta al Cristo di promuovere ciò che l’inquisizione deve reprimere, tanto più che – osserva – l’uomo in realtà non sa farne uso: la libertà. L’allegoria si conclude con un episodio disarmante: Cristo che bacia il cardinale che l’ha condannato, il quale sarà scosso da questo gesto, ma rimarrà comunque saldo nelle sue convinzioni.

Sono state date molte interpretazioni di questo passaggio, da quelle più tradizionali che vi hanno letto una critica al Cattolicesimo, a quelle in chiave psicoanalitica da parte dello stesso Sigmund Freud.

Il brano si spinge anche al di là della critica al sistema di potere della Chiesa di Roma perché, facendo leva su essa, esprime una riflessione sul dilemma generale della libertà, la quale pone l’uomo di fronte alla scelta tra bene e male. Da qui, la prospettiva dell’inquisitore, che per considera l’uomo troppo malvagio per essere libero. Ma questa idea cela un dilemma ulteriore: cristallizzando il potere espresso dalla Chiesa istituzionale in quello che il vecchio cardinale definisce “miracolo, mistero e autorità”, l’inquisitore scambia l’istituzione con Gesù Cristo. Ecco l’essenza del clericalismo.

Il valore della libertà e dell’irriducibilità della persona a un percorso di vita precostituito da altri appare in Dostoevskij quindi irrinunciabile, e il rispetto della libertà, così problematico, diventa il segno dell’amore di Dio per le sue creature. Gesù stesso, nel finale del racconto di Ivan, abbraccia il suo accusatore. Con questo gesto, il Cristo di Dostoevskij mostra la propria condivisione nei confronti di tutto il genere umano, e da questo atto compassionevole potrebbe nascere liberamente il ravvedimento dell’inquisitore. Ma nonostante questi sia commosso, ciò non vale a smuoverne la coscienza, che rimane liberamente ancorata alla propria concezione. Forse il più importante protagonista dei Karamazov è proprio la libertà umana, che espone l’uomo al rischio di scegliere il male, ma resta comunque irrinunciabile. Infatti, nella storia le diverse inquisizioni hanno voluto sostituirsi alla libera scelta personale, creando sistemi che di diritto o di fatto hanno compresso o privato totalmente gli esseri umani delle proprie libertà fondamentali. Parafrasando Karl Popper, la libertà è un valore preminente rispetto alla stessa uguaglianza, perché soprattutto attraverso il rispetto della libera determinazione della persona si esprime l’amore per il prossimo.

© Sintesi Dialettica – riproduzione riservata

Send this to a friend