Il rapporto fra Azione Cattolica e fascismo è una questione assai complicata, che, soprattutto nel corso degli anni ’70 ed ’80 del secolo scorso, ha fortemente appassionato gli storici, portandoli a conclusioni di esito talvolta opposto. I diversi approcci da parte della storiografia, le diverse modalità con cui fu vissuto questo rapporto e la complessità dell’AC, il cui impatto socio – politico ha spesse volte colpito più del suo stesso carattere religioso, sono elementi che non hanno contribuito a semplificare la visione del problema.
Il rapporto fra Azione Cattolica e fascismo è una questione assai complicata, che, soprattutto nel corso degli anni ’70 ed ’80 del secolo scorso, ha fortemente appassionato gli storici, portandoli a conclusioni di esito talvolta opposto. I diversi approcci da parte della storiografia (1), le diverse modalità con cui fu vissuto questo rapporto e la complessità dell’AC, il cui impatto socio – politico ha spesse volte colpito più del suo stesso carattere religioso (2), sono elementi che non hanno contribuito a semplificare la visione del problema.
Il presente lavoro propone una breve panoramica di tale rapporto basandosi su una periodizzazione già proposta da altri autori, in cui si distingue fra una fase di attesa (1922 – 1925), una fase di collaborazione nella distinzione (1926- 1931), un periodo di sostanziale appoggio al regime (1932- 1938) e un momento di “raffreddamento” dei rapporti fra AC e fascismo che sfociò poi in una rottura definitiva (1938 – 1943) (3).
Fino al 1922 l’Azione Cattolica tenne rapporti molto stretti con il Partito Popolare. Ne sono testimonianza il passaggio massiccio di dirigenti dell’AC al partito di don Sturzo o l’accordo, stretto nella primavera del 1919, con cui il PPI rinunciava a costituire una propria sezione giovani per avvalersi della Gioventù Cattolica nella formazione di soggetti da avviare al partito (4).
L’avvento al pontificato di Pio XI (gennaio 1922) mutò questa situazione: il nuovo papa era convinto fosse necessario distinguere in maniera netta fra la funzione religiosa svolta dall’Azione Cattolica e l’impegno politico portato avanti dal Partito Popolare. Questa separazione era dovuta alla convinzione che l’AC era chiamata ad organizzare l’opera di «collaborazione dei laici all’apostolato gerarchico della Chiesa», come lo stesso Pio XI avrebbe precisato in numerosi documenti dedicati all’Azione Cattolica (5). Questa organizzazione, divisa in un gruppo preciso d’associazioni (Gioventù Cattolica , Gioventù Femminile, Unione Donne, la FUCI e, dal 1923, la Federazione degli Uomini Cattolici), aveva, nella visione di papa Ratti, il compito di incidere nella società, svolgendo un’opera di formazione delle coscienze che avrebbe dovuto preparare la strada ad una riaffermazione della societas christiana (6).
L’avvento al potere del fascismo (ottobre 1922) e alcuni dei primi provvedimenti assunti dal governo Mussolini (reintroduzione del crocefisso nelle classi, inserimento dell’insegnamento della religione nei programmi scolastici, annuncio di una politica antimassonica, l’aggravio delle sanzioni giuridiche comminate per le offese al clero e alla religione cattolica , etc.) diedero la sensazione che si potesse realizzare nuovamente uno stato cattolico, fondato sull’alleanza tra trono ed altare.
Di fronte ai modi benevoli del fascismo, l’Azione Cattolica scelse di mantenere un atteggiamento di riserbo e d’attesa. Fu la fase della cosiddetta apoliticità. Questa non consisteva in un disinteresse completo nei confronti della politica, come testimoniano i richiami di Pio XI ad occuparsi di questioni che toccavano gli interessi dell’altare (7) o il discorso di Giuseppe Della Torre, direttore dell’Osservatore Romano, alla Settimana Sociale di Napoli del 1925, in cui si dichiarava che l’associazione era chiamata a svolgere un peculiare e decisivo compito politico. L’apoliticità era piuttosto intesa nell’evitare qualsiasi compromissione con formazioni partitiche e volta a concepire la politicasoprattutto come tutela degli interessi confessionali.
La conseguenza di questo fu chiaramente l’allentamento dei rapporti fra l’associazione e il Partito Popolare, che tendeva a proporsi come il più accreditato avversario del fascismo, come avevano dimostrato le elezioni del 1924, allorché il partito di Sturzo e De Gasperi otteneva un consenso elettorale inferiore solamente a quello del listonenazionale. Tutto ciò portò al piovere di accuse durissime sull’associazione, come, ad esempio, quella di filofascismo mossa dal popolare Francesco Luigi Ferrari (8), e all’affermasi di un clima di confusione (9).
È bene fare una precisazione sullo sganciamento condotto dall’AC (e più in generale da tutta la Chiesa) nei confronti del partito popolare. Esso fu sicuramente determinato da motivi di convenienza, come dimostra il fatto che si consumò nella misura in cui il fascismo dava la sensazione di poter ripristinare uno stato cattolico e dai tentativi dell’AC di ottenere una posizione di privilegio nel nuovo quadro socio-politico che si andava delineando. Appare però eccessivo considerare il comportamento dell’AzioneCattolica unicamente come filofascista e liquidarlo in tal modo. Esso piuttosto rispondeva a quella visione dell’AC che Pio XI aveva e che abbiamo, in sintesi, esposto sopra. Conferme di questa complessità ci sono date, ad esempio, dalla presenza del fascista Egilberto Martire nel Consiglio Superiore della Gioventù Cattolica (10), e dal fatto che la presidenza del Congresso della FUCI del 1925 fu detenuta dall’antifascista Francesco Luigi Ferrari (11).
In questo senso giova anche ricordare che la scelta dell’Azione Cattolica di spoliticizzarsinon la mise al riparo da attacchi da parte delle squadracce fasciste, come confermano le numerose devastazioni dei circoli cattolici e gli atti di violenze subiti da iscritti all’AC. (12)
Nel biennio 1925 – 1926, i rapporti fra Azione Cattolica e fascismo conobbero un profondo cambiamento. L’affermarsi della dittatura con la liquidazione di qualsiasi forma di opposizione politica (PPI in testa), la pretesa del neonato regime di intromettersi nel campo educativo, l’inizio delle trattative per la risoluzione della questione romana fecero sì che fra l’AC e il fascismo si realizzasse un rapporto di collaborazione nella distinzione. Quest’ultima espressione, coniata da Pio XI, rivela come in quegli anni (1925 – 1931) fosse presente nella Chiesa e nell’Azione Cattolica la disponibilità a trattare e ad adeguarsi alle richieste del fascismo, come conferma l’atteggiamento tenuto dal Vaticano e dall’AC nei confronti dei sindacati bianchi.
Nel 1925 il fascismo prese a perseguire l’ottenimento del monopolio sindacale, che raggiunse gradualmente passando attraverso l’istituzione del sindacato unico, la stipula del Patto di Palazzo Vidoni (2 ottobre 1925) fino a giungere alla legge sindacale dell’aprile 1926, che proibiva lo sciopero e riconosceva ai soli sindacati fascisti il diritto di stipulare i contratti collettivi.
Per evitare la scomparsa delle organizzazioni sindacali bianche, la Santa Sede stabilì che esse entrassero a far parte dell’Azione Cattolica , attraverso la fondazione di un organismo di controllo: l’Istituto Cattolico di Attività Sociali (ICAS). In questo modo si andava verso una progressiva confessionalizzazione dei sindacati cattolici, che per cercare di mantenere la propria autonomia dal fascismo erano costretti a sottoporsi all’autorità della gerarchia.
Queste manovre si rivelarono tuttavia del tutto vane: il 19 novembre 1925 venne reso noto che alla Camera era stato presentato un progetto di legge secondo cui tutti i sindacati avrebbero dovuto adeguarsi alle condizioni contrattuali ottenute dalle formazioni fasciste. A fronte di questo fatto la Giunta Centrale di AC, con una dichiarazione in data 9 dicembre 1925, invitò i propri soci ad entrare a far parte del sindacato unico. L’ICAS sopravvisse, ma sul piano della politica sociale, «mantenne una linea di sostanziale collaborazione con il regime, avvallandone praticamente tutte le iniziative» (13).
Se la Chiesa era disposta a discutere e a cedere su diverse questioni, si poneva invece in modo schiettamente intransigente allorché si entrava nel terreno che Pio XI considerava proprio dell’AC: la formazione delle coscienze, con particolare attenzione al campo dell’educazione giovanile.
Tutte le pubblicazioni che si sono occupate del rapporto fra Azione Cattolica e fascismo indicano come decisiva la competizione che tra loro si svolse sul piano culturale e formativo. È bene però precisare che essa non nacque immediatamente. Agli inizi il fascismo non ebbe una posizione chiara in materia, come dimostrò la disponibilità manifestata nei riguardi della Chiesa con il ritorno del crocifisso nelle classi, la diffusione della scuola privata anche in ambito universitario, etc. Solo successivamente si cominciò a profilare lo scontro su questo punto. Nel 1926 veniva istituita l’Opera Nazionale Balilla (O.N.B.), organizzazione dotata di compiti di vigilanza su ogni istituzione pubblica e privata, avente come fine l’educazione fisica, morale e spirituale dei giovani. L’Azione Cattolica fu esclusa da questo provvedimento, ma dovette pagare un prezzo molto salato: lo scioglimento della FASCI (Federazione delle Associazioni Sportive Cattoliche Italiane) e degli Esploratori Cattolici a cavallo tra il 1927 e il 1928 (14).
Nonostante queste limitazioni, l’Azione Cattolica conobbe in quegli anni un clamoroso salto di qualità: proprio con la caduta del PPI, essa infatti si riscoprì la più autorevole esponente della rappresentanza cattolica in Italia. E’ in quegli anni che maturò la svolta parrocchiale dell’associazione, secondo cui in ogni parrocchia doveva esservi un circolo cattolico, chiamato a svolgere un «compito catechistico ed educativo» e ad occuparsi «dei pericoli morali a cui è sottoposto il popolo, interessandosi sempre più ai problemi dei divertimenti mondani, del ballo, della moda, dello sport».
Il Concordato, stipulato fra Stato e Chiesa il 13 febbraio 1929, vide l’Azione Cattolicaaccogliere l’evento con «commozione e gioia», tuttavia le risultava assai difficile trovare una sua chiara collocazione: le richieste degli elenchi dei soci da parte della polizia, le insistenti accuse che provenivano dalla stampa fascista di presunto popolarismo e di accettazione solo esteriore del regime evidenziarono che l’Azione Cattolica , continuando ad essere altro all’interno del Regime, era per il fascismo un problema di risolvere (15).
La questione emerse in tutta la violenza e prepotenza nella primavera – estate del 1931, allorché il governo fece chiudere tutti i circoli giovanili dell’Azione Cattolica con il chiaro scopo di eliminare l’unica concorrenza rimasta per l’ottenimento del monopolio dell’educazione. Lo scioglimento dei circoli della Gioventù Cattolica e le violenze nei confronti degli iscritti all’AC trovarono una loro soluzione negli accordi del settembre del 1931, ma mise definitivamente in chiaro che ogni speranza di utilizzo dell’interlocutore per la realizzazione di una societas christiana era definitivamente sfumata (16).
L’intesa raggiunta fra S. Sede e Regime non penalizzò eccessivamente l’Azione Cattolica, perchè non aggiunse nulla di nuovo sulla questione: il divieto fatto all’AC di occuparsi di politica, di assumere strutture o modi tipicamente partitici, di svolgere «qualsiasi attività di tipo atletico e sportivo» erano implicitamente già contenute nei comportamenti tenuti dall’associazione. Lo stesso principio della diocesanità non era altro che la conferma di una linea di tendenza su cui l’Azione Cattolica si stava muovendo fin dalla riforma statutaria del 1923, ed era poi, secondo Mario Casella, più un fatto apparente che di sostanza (17).
Con la risoluzione dei “Fatti del ‘31” si aprì un periodo, destinato a protrarsi per quasi tutti gli anni Trenta, di convivenza più o meno pacifica tra Azione Cattolica e fascismo. La polizia continuava a controllare i circoli cattolici, la Gioventù Cattolica perseverava nella sua opera di concorrenza ai balilla e agli avanguardisti, ma tutto era condotto in maniera molto più discreta. Certamente nell’allentarsi della tensione fu importante la definitiva emarginazione degli esponenti popolari, cui deve aggiungersi il fatto che, soprattutto alle generazioni più giovani, l’esperienza del partito popolare e del sindacato appariva come qualcosa di lontano, che poco incideva sul loro vissuto. Furono gli anni in cui la Gioventù Cattolica , sia maschile che femminile, conobbe, grazie anche all’introduzione delle più recenti tecniche pedagogiche, un considerevole incremento dei propri iscritti.
L’impegno formativo era limitato ai soli ambienti giovanili, ad esempio con incontri di catechesi ravvicinati e insistenti, mentre per gli adulti la situazione si faceva più delicata. La Federazione degli Uomini Cattolici, organizzazione sempre guardata con malcelato sospetto dal fascismo, fu infatti costretta a condurre un’attività assai ridotta per due motivi: il primo era legato ai metodi utilizzati, dato che la militanza a tempo pieno non era pensabile per gli adulti – ai quali si preferiva rivolgersi con un sistema di conferenze sulla moralità o con incontri sull’educazione dei figli; il secondo era determinato dal fatto che il Regime avrebbe malvisto una realtà troppo dinamica in ambito adulto (18).
È difficile applicare le categorie di antifascismo e filofascismo all’Azione Cattolica di quegli anni. Più opportuna appare la definizione di afascismo, con cui si indica «un atteggiamento di adesione al regime ma senza identificazione alcuna» (19). Solamentecon l’introduzione di questo concetto si può comprendere il comportamento di un’associazione che da un lato portava avanti un insieme di valori diversi da quelli del Regime, e dall’altro partecipava poi con entusiasmo alla campagna etiopica del 1935 – 36.
L’avvicinamento alla Germania nazista e la questione razziale gettarono, fra il 1937 e il 1938, le basi della frattura fra Chiesa e fascismo. Ad essi si aggiunse, sempre nel 1938, il montare di una polemica sull’Azione Cattolica , che veniva sempre più percepita come «in pieno contrasto con le direttive e lo spirito del Partito Fascista». Per questo si ebbe un’accentuazione dell’attività di controllo dei prefetti sia sulla stampa cattolica , sia sul clero e venne richiesta una nuova formale dichiarazione di incompatibilità tra AC e PNF, simile a quella richiesta e poi ritirata nel 1931.
I vertici invitarono tutte le organizzazioni dell’Azione Cattolica a mantenere un atteggiamento di prudenza. Alla fine l’AC, dopo un braccio di ferro protrattosi per tutto il 1938, dovette accettare, come testimonia l’accentuarsi del processo di diocesanizzazione e clericalizzazione, una serie di pesanti condizioni poste dal governo fascista. Il regime non ottenne però quello che si proposto: indebolire le associazioni cattoliche fino a farle scomparire. Proprio per evitare ulteriori problemi con le autorità fasciste, Pio XII promosse una contestata, ma necessaria riforma degli Statuti dell’Azione Cattolica : la componente laica venne emarginata nei ruoli di dirigenza, ma al tempo stesso, forte di questa dipendenza dalla gerarchia, poté proteggersi da ulteriori eventuali attacchi fascisti (20).
Con lo scoppio della guerra caddero anche le ultime residue illusioni sul fascismo.
Nonostante la riduzione numerica nei circoli, dovuta al richiamo alle armi di molti iscritti, l’Azione Cattolica intensificò la propria attività associativa, anche alla luce di un futuro, ormai vicino, che sempre più appariva libero dal fascismo. In quegli anni giunse a definitiva maturazione il processo di distacco dal fascismo che, pur avendo mosso nel 1931 e nel 1938 grandi e repentini passi in avanti, è da considerarsi nel suo insieme lento e complesso. L’esito fu un atteggiamento di resistenza, non limitato alla sola lotta partigiana, ma che si espresse anche in una serie di atteggiamenti e di riflessioni peculiari. (21)
Appare dunque assai difficile dare una lettura semplice e lineare dei rapporti intercorsi fra AC e fascismo. Si trattò di un rapporto complesso, fatto di vicinanze e di contrasti, di collaborazioni e scontri. La stessa introduzione del concetto di afascismo per l’Azione Cattolica conferma questa difficoltà. A chi lo guarda e lo studia non resta che prendere atto di questo carattere complicato e cercare, senza spirito apologetico o intenti polemici, di capirlo.
Bibliografia
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MARIO CASELLA, L’Azione Cattolica nell’Italia contemporanea (1919 – 1969), Editrice A.V.E., Roma, 1992.MARIO CASELLA, L’Azione Cattolica all’inizio del Pontificato di Pio XII – La riforma statutaria del 1939 nel giudizio dei vescovi italiani, Editrice A.V.E., Roma, 1985.
Chiesa, Azione Cattolica e fascismo nel 1931 – Atti del’incontro di studio tenuto a Roma il 12 – 13 dicembre 1981, Editrice A.V.E., Roma, 1983.
FRANCESCO LUIGI FERRARI, L’Azione Cattolica e il regime, Editore Parenti, Firenze, 1958.
LILIANA FERRARI, L’Azione Cattolica in Italia dalle origini al pontificato di Paolo VI, Editrice Queriniana, Brescia, 1982.
MARIA CRISTINA GIUNTELLA, I fatti del 1931 e la formazione della “Seconda generazione”, in I Cattolici tra fascismo e democrazia, a cura di PIETRO SCOPPOLA – FRANCESCO TRANIELLO, Il Mulino, Bologna, 1975.
MARIA CRISTINA GIUNTELLA, La FUCI tra modernismo, partito popolare e fascismo, Edizioni Studium, Roma, 2000
RENATO MORO, Azione Cattolica , Clero e Laicato di fronte al Fascismo, in Storia del movimento cattolico in Italia, diretta da FRANCESCO MALGERI, Il Poligono Editore, Roma, 1981.
Chiesa, Azione Cattolica e fascismo nell’Italia settentrionale durante il pontificato di Pio XI (1922 – 1939), a cura di PAOLO PECORARI, Vita e Pensiero, Milano, 1979.
ERNESTO PREZIOSI, Obbedienti in piedi – La vicenda dell’Azione Cattolica in Italia, Società Editrice Internazionale, Torino, 1996.
-DANILO VENERUSO, Il pontificato di Pio XI, in Storia della Chiesa – I cattolici nel mondo contemporaneo (1922 – 1958), a cura di MAURILIO GUASCO, ELIO GUERRIERO, FRANCESCO TRANIELLO, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo, 1991.
Note
1) Relativamente agli studi condotti sui rapporti fra Azione Cattolica e fascismo, si possono distinguere tre momenti: uno iniziale (1945-1956) quando vennero prodotti contributi (Civardi, Della Torre, etc.), dove, ora uno spirito di esaltazione dell’associazione ora un atteggiamento di giustificazione tendevano ad anteporsi a qualsiasi pretesa di rigore scientifico; un momento da situarsi negli anni ’60, dove venne analizzata la relazione fra AC e fascismo soprattutto dal punto di vista delle relazioni “di vertice” (Webster, Rossi, etc.); un terzo momento tra gli anni ’70 e ’80 in cui si affrontava la questione svolgendo un’attività di ricerca più capillare, caratterizzata da una ricerca assai sistematica e ordinata negli archivi parrocchiali e diocesani, che permise lo svolgimento di importanti convegni (Foligno nel 1975, Torreglia nel 1977, Milano nel 1979), ai cui atti ancora oggi molti studiosi fanno ricorso (MARIO CASELLA, L’Azione Cattolica del tempo di Pio XI e di Pio XII (1922 – 1958), in Dizionario Storico del Movimento Cattolico in Italia – I – I fatti e le idee, Marietti, Torino, 1981, p. 84 – 101). A partire dagli anni Novanta invece la bibliografia relativa a questo rapporto si è ridotta in modo considerevole.
2) Secondo Giorgio Candeloro sarebbe un errore «credere che il primo movente del suo nascere e del suo recente svilupparsi sia di carattere religioso. Per mezzo dell’Azione Cattolica la Chiesa ha inteso e intende anzitutto difendere e rafforzare se stessa come organizzazione politica e al tempo stesso difendere e rafforzare il dominio della classe cui è legata» (GIORGIO CANDELORO, L’Azione Cattolica in Italia, in Cultura Sociale, 1949), e, parlando proprio dell’Azione Cattolicadurante il ventennio fascista sostiene che «la Chiesa […]si è preoccupata soprattutto di potenziare dovunque l’Azione Cattolica , in modo da farne un’organizzazione capace di svolgere, sia direttamente, sia per mezzo di altre istituzioni dipendenti, una vasta opera di stimolo e di controllo delle attività politiche, sindacali ed economiche dei cattolici, di propaganda e di penetrazione culturale in tutti gli ambienti sociali» (GIORGIO CANDELORO, Il movimento cattolico in Italia, Editori Riuniti, 1972., p. 487). Il ruolo dominante dell’azione politica dell’Azione Cattolica compare anche in FRANCESCO LUIGI FERRARI, L’Azione Cattolica e il regime, Editore Parenti, Firenze, 1958.
3) Casella aveva proposto questa partizione in quattro periodi già nel 1977 a Torreglia (MARIO CASELLA, Per una storia dei rapporti tra Azione Cattolica e fascismo nell’età di Pio XI, in Chiesa, Azione Cattolica e fascismo nell’Italia settentrionale durante il pontificato di Pio XI (1922 – 1939), a cura di PAOLO PECORARI, Vita e Pensiero, Milano, 1979, p. 1157 – 1245) e la ribadisce poi nel 1992 con il suo libro, MARIO CASELLA, L’Azione Cattolica nell’Italia contemporanea (1919 – 1969), Editrice A.V.E., Roma, 1992.
4) In proposito si veda MARIO CASELLA, L’Azione Cattolica nell’Italia contemporanea (1919 – 1969), Editrice A.V.E., Roma, 1992, pp. 10 – 52 e RENATO MORO, Azione Cattolica , Clero e Laicato di fronte al Fascismo, in Storia del movimento cattolico in Italia, diretta da FRANCESCO MALGERI, Il Poligono Editore, Roma, 1981, pp. 94 – 98.
5) Pio XI utilizzava in maniera indistinta il termine “collaborazione” e “partecipazione”. Con entrambe le parole, tuttavia, egli intendeva assegnare ai laici un ruolo attivo in seno alla Chiesa ma sempre subordinato alla gerarchia. Questa visione avrebbe poi conosciuto un “raffreddamento” sotto il pontificato di Pio XII, dove il carattere attivo della collaborazione del laicato veniva nettamente assoggettato e sminuito di fronte al mandato apostolico, considerato non partecipabile (MARIO CASELLA, L’Azione Cattolica nell’Italia contemporanea, pp. 76 – 80).
6) LILIANA FERRARI, L’Azione Cattolica in Italia dalle origini al pontificato di Paolo VI, Editrice Queriniana, Brescia, 1982, p. 33 – 36.
7) SANDRO ROGARI, Santa Sede e Fascismo – Dall’Aventino ai Patti Lateranensi, Forni Editore, Reggio Emilia, 1977, pp. 122 – 126.
8) Nel suo libro (F.L. FERRARI, L’Azione Cattolica e il “regime”, op. cit.) pubblicato postumo nel 1957, Ferrari scrisse, commentando il discorso tenuto dal comm. Colombo alla Giunta Centrale di AC in occasione della festa del S. Francesco (14 ottobre 1923), – discorso con cui il presidente nazionale dell’AC affermava che l’associazione avrebbe mantenuto il suo programma rapportandosi ai fenomeni politici che sociali dell’epoca e rispettando l’autorità costituita – : «Si considerino questi due elementi costituitivi della formula dell’apoliticità in rapporto alle condizioni particolari in cui versava l’Italia sulla fine del 1923, e si vedrà come la politica dell’apoliticità altro non era che una forma non nobile, né sincera di filofascismo» (p. 53).
Francesco Luigi Ferrari (1889 – 1933) fu uno degli esponenti di punta dell’ala sinistra del Partito Popolare. Fece parte del Consiglio Nazionale del Partito, in seno al quale tenne un atteggiamento critico nei riguardi del gruppo dirigente che aveva assunto la guida del PPI dopo le dimissioni di Sturzo. Convinto antifascista, nel novembre 1926 fu costretto ad emigrare in Francia, dove continuò a svolgere la sua opera di opposizione al fascismo. (MARIO G. ROSSI, Ferrari Francesco Luigi, in Dizionario Storico del Movimento Cattolico in Italia – II – I protagonisti, Casa Editrice Marietti, Casale Monferrato, 1982, pp. 201 – 205).
9) Esempio del grande clima di confusione e disordine del momento fu la città di Udine, dove non mancarono tentativi – da parte dei popolari – di prendere il controllo dell’AC diocesana. Sull’atteggiamento dell’Azione Cattolica nei primi anni del Ventennio si veda RENATO MORO, L’Azione Cattolica di fronte al fascismo, p. 99 – 154.
10) Formatosi negli ambienti culturali legati a Romolo Murri, Egilberto Martire (1887 – 1952) fu dal 1915 al 1924 vice – presidente della Gioventù Cattolica . Eletto deputato nel 1919 tra le fila del PPI, sostenne in maniera decisa il fascismo, che considerava «un movimento destinato a rivendicare i valori moderni della nazione […] e , soprattutto, suscettibile di sviluppi in senso cattolico». Rieletto come deputato nel 1924 come candidato del “listone”, venne espulso nello stesso anno dalla Gioventù Cattolica per il suo deciso filofascismo, che lo portava a non allinearsi con la linea apolitica dell’Azione Cattolica . (ANDREA RICCARDI, Martire Egilberto, in Dizionario Storico del Movimento Cattolico in Italia – II – I protagonisti, op. cit., pp. 336 – 339).
11) MARIO CASELLA, Per una storia dei rapporti tra Azione Cattolica e fascismo nell’età di Pio XI, pp. 1157 – 1245. Sull’atteggiamento della FUCI nei confronti del fascismo si veda, oltre al paragrafi presenti in RENATO MORO, L’Azione Cattolica di fronte al fascismo, pp. 138 – 148, MARIA CRISTINA GIUNTELLA, La FUCI tra modernismo, partito popolare e fascismo, Edizioni Studium, Roma, 2000.
12) Nei numeri del 5 e 19 aprile 1924 Civiltà Cattolica denunciò atti violenti a danno di associazioni cattoliche così quantificabili: tre aggressioni a sacerdoti, cinque devastazioni di circoli cattolici (Gubbio, Sestri Levante, Parto, Poli e Venezia) a cui vanno ad aggiungersi numerose aggressioni a danno di aderenti all’Azione Cattolica. Fatti particolarmente clamorosi, che ottennero l’attenzione su scala nazionale, furono: le devastazioni delle sedi delle associazioni cattoliche di Faenza (22 marzo 1925), di Parma e Reggio Emilia (metà aprile 1925), di Padova (23 maggio 1925), le violenze nel rodigino (maggio 1925). Questo per limitarci solamente ad alcuni esempi.
13) MORO, L’Azione Cattolica di fronte al fascismo, op. cit., p. 167. Si veda anche ROGARI, Santa Sede e Fascismo, op. cit., pp. 102 – 109.
14) MORO, L’Azione Cattolica di fronte al fascismo, op. cit., pp. 170 – 177 e ROGARI, Santa Sede e Fascismo, op. cit., pp. 128 – 180.
15) Sui rapporti fra Azione Cattolica e fascismo durante gli anni della Conciliazione si veda : MORO, L’Azione Cattolica di fronte al fascismo, op. cit, pp. 191 – 230; MARIO CASELLA, Per una storia dei rapporti tra Azione Cattolica e fascismo nell’età di Pio XI, pp. 1178 – 1184.
16) Secondo Danilo Veneruso, il contrasto del 1931 è «istruttivo per molte ragioni: il fascismo che, per difendere il principio totalitario nel campo dell’educazione, campo rivendicato anche dalla Chiesa, mostra ora un volto intransigentemente laico e anticlericale, fa cadere molte illusioni: il fascismo non può cattolicizzarsi ed anzi sotto l’apparenza rivoluzionaria mostra la più intransigente continuità con quell’aspetto del Risorgimento più ostico alla Chiesa e ai cattolici. Emerge, di converso, anche la convinzione opposta: neppure la Chiesa può fascistizzarsi, dal momento che, come ha ribadito Pio XI con la sua condanna dell’Action Francais del 1926, essa non intende abbandonare l’area evangelica né lasciarsi condizionare né strumentalizzare politicamente da alcuno» (DANILO VENERUSO, Chiesa, Azione Cattolica e fascismo in Italia settentrionale dalla marcia su Roma alla crisi del 1931, in Azione Cattolica , Chiesa e fascismo negli anni ’30 -– Atti dell’incontro di studio tenuto a Roma il 12 – 13 dicembre 1981, Editrice A.V.E., Roma, 1983, p 64). Sulla questione del 1931, oltre agli atti del convegno tenutosi a Roma nel dicembre 1981, si veda anche: MARIA CRISTINA GIUNTELLA, I fatti del 1931 e la formazione della «seconda generazione», in I cattolici tra fascismo e democrazia, a cura di PIETRO SCOPPOLA – FRANCESCO TRANIELLO, Bologna, 1975, pp. 183 – 233 e il capitolo, scritto appositamente, presente in MORO, L’Azione Cattolica di fronte al fascismo, op. cit., pp. 230 – 254.
17) MARIO CASELLA, Per una storia dei rapporti tra Azione Cattolica e fascismo nell’età di Pio XI, p. 1184. Casella sostiene la libera circolazione degli assistenti tra le varie diocesi della penisola era un potente mezzo per far mantenere all’AC una dimensione nazionale.
18) FERRARI, L’Azione Cattolica in Italia dalle origini al pontificato di Paolo VI, op. cit., pp. 38 – 44. Sull’impegno educativo dell’Azione Cattolica di quegli anni si veda: LILIANA FERRARI, Modelli di comportamento giovanile nella propaganda dell’Azione Cattolica , in Cultura e società negli anni del fascismo, Cordani Editore, Milano, 1987.
19) MORO, L’Azione Cattolica di fronte al fascismo, op.cit., p. 233. Sul medesimo concetto è tornato, in tempi più recenti, anche Ernesto Preziosi; secondo lui, «molti soci e dirigenti di AC possono essere definiti in una parola afascisti, ovvero ascritti a una categoria intermedia tra gli entusiasti sostenitori del regime, e gli antifascisti, aperti oppositori» (ERNESTO PREZIOSI, Obbedienti in piedi – La vicenda dell’Azione Cattolica in Italia, Società Editrice Internazionale, Torino, 1996, pp. 166 – 167).
20) MORO, L’Azione Cattolica di fronte al fascismo, op. cit., pp. 325 – 349. Sulla crisi del 1938 si rinvia anche a SANDRO ROGARI, Azione Cattolica e fascismo. La crisi del 1938 e il distacco dal regime, in Nuova Antologia, CXIII (1978). Sulla riforma statutaria del 1939 si rinvia a MARIO CASELLA, L’Azione Cattolica all’inizio del Pontificato di Pio XII – La riforma statutaria del 1939 nel giudizio dei vescovi italiani, Editrice A.V.E., Roma, 1985.
21) PREZIOSI, Obbedienti in piedi, op. cit., pp. 204 – 217. Sull’attività dei cattolici nella resistenza armata è da osservarsi che, come ha rilevato Taviani, si tende a considerare, con una lettura superficiale, le Fiamme Verdi e Azzurre come le sole riconducibili alla Democrazia Cristiana o al Movimento Cattolico, non considerando che le Autonome di Mauri, la Osoppo, il gruppo della Maiella erano costituite da uomini e donne in maggioranza di formazione cristiana. Si ignora, aggiunge sempre Taviani, anche che i Garibaldini erano sì in maggioranza, ma non tutti comunisti e marxisti. Non mancò infatti, soprattutto nelle zone dove vi era la convinzione dell’esercito unico, una forte presenza di fucini e della Gioventù Cattolica (PAOLO EMILIO TAVIANI, Le ragioni della partecipazione dei cattolici alla Resistenza, in Storia della Democrazia Cristiana – Dalla Resistenza alla Repubblica 1943 – 1948, a cura di FRANCESCO MALGERI, Edizioni Cinque Lune, Roma, 1987).
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