Quarant’anni fa ci lasciava Eduardo De Filippo, uno degli autori più geniali del teatro contemporaneo. Morto nel 1984, era nato nel 1900, nello stesso anno in cui, invece, moriva Nietzsche, il profeta del nichilismo.
Nella sua lunga vita, Eduardo ha vissuto due conflitti mondiali e il fascismo: un periodo storico in cui essere ottimisti non era per nulla semplice; senza contare che la sua esistenza è stata segnata dalla perdita della figlia.
Ma cosa accomuna Eduardo e Nietzsche?
Nel capolavoro del 1931, «Natale in casa Cupiello», Eduardo sembra mettere in scena la Morte di Dio, rappresentato dalla distruzione del presepe, simbolo dei valori universali.
Sul palcoscenico assistiamo al disfacimento di una famiglia durante il periodo natalizio, mentre il capofamiglia, Luca Cupiello, è impegnato nell’allestimento del presepe.
A credere nel sistema dei principi tradizionali è rimasto soltanto lui, che mette in scena ancora il presepe, ignaro che il Novecento ha decretato la fine di tutti gli ideali. Nessuno si riconosce più in quei valori: il figlio nullafacente, Tommasino, ribadisce che il presepe non gli piace; la moglie Concetta considera “fare il presepe” un atto infantile; la figlia Ninuccia, in uno scatto d’ira, fa a pezzi il presepe così come sta mandando all’aria il proprio matrimonio, perché è innamorata di un altro uomo.
Il presepe è distrutto. Dio è morto. Tutti i principi tradizionali sono andati in frantumi.
La tragedia si consuma sullo spazio scenico davanti alle risate del pubblico, mentre Lucariello ricostruisce il presepe. Alla fine, a lui, uomo dai valori ottocenteschi, non rimane che la malattia e la morte. Forse, però, c’è ancora una speranza: Tommasino, al capezzale del padre morente, commosso, dichiara che il presepe gli piace. E noi crediamo ancora nel presepe? Per chi, oggi, si illumina ancora?
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