«Tremo. Ho paura. Sanguino. Ho sete. Mi frustano, mi bastonano per tenermi in piedi. Io cadrò comunque e mi picchieranno ancora più forte, sotto questo sole».
Parole che – se potesse – pronuncerebbe uno schiavo. Uno schiavo senza voce umana, vittima dell’impietosa “macchina” del turismo.
Sulla sabbia rovente intorno alle piramidi o sull’asfalto bollente di città italiane come Roma o Pisa, poveri animali, agganciati a carrozze, pagano con il proprio sangue il prezzo di una foto ricordo.
Questo è ciò che si cela dietro ai tour panoramici, per i quali le tasche degli smaniosi turisti sono sempre aperte, un retroscena di schiavitù e violenza ben lontano dalle patinate immagini promozionali sbandierate online.
Il tema è caro alle associazioni animaliste che, a colpi di reportage e petizioni, denunciano il fatto, combattendo un’ardua battaglia contro l’indifferenza – a volte, voluta – delle istituzioni.
Era il 2019 quando PETA diffuse numerosi video in cui cammelli, dromedari e cavalli, stremati e feriti, subivano percosse e torture, privati di cibo e acqua, costretti a ripetere incessanti processioni da e verso il sito delle piramidi di Giza. Complici le autorità che tollerano il fenomeno, niente è cambiato da allora.
Ancora animali abusati fino alla morte e ancora tante carcasse abbandonate nel deserto o mandate al macello.
E nella nostra Italia? Purtroppo, lo scenario è tristemente simile. Nonostante l’intervento di organizzazioni come OIPA e malgrado il tentativo di imporre restrizioni e fasce orarie per la circolazione, i cavalli che trainano senza sosta carrozze per turisti sono ancora troppi.
Un mercato violento e redditizio, in cui il dolore delle vittime rimane un grido silenzioso, nascosto tra i click, la sete, le bastonatee gli schiocchi di frusta. Dobbiamo informare e sensibilizzare l’opinione pubblica per fermare questa barbarie.
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Credits Ph Ricardo Gomez Angel