Abbiamo un’idea della rilevanza nel commercio mondiale del packaging, cioè degli imballi che utilizziamo per muovere merci da una parte all’altra del pianeta? Se solo spostiamo gli occhi dal monitor e guardiamo gli oggetti nella nostra stanza, ci accorgiamo che tutto quello che vediamo è stato in un contenitore.
Il packaging è la vera pietra angolare della globalizzazione. In settori chiave come quello alimentare supporta la catena del freddo, ed è grazie ad esso che possiamo mangiare prodotti fuori stagione, o specialità provenienti da paesi lontani.
Tutto il packaging che si utilizza (ad esclusione dell’alluminio), appartiene a due sole grandi famiglie d’origine: petrolio o vegetali.
Dal petrolio si creano i polimeri come polistirene, polipropilene, pvc, pet ecc., per gli imballi di materiale plastico rigido o estensibile. Dagli alberi si produce la pasta legno per le scatole di cartone o scatoline per uova, o elementi antiurto ecc.
Se per incanto domani non avessimo più il packaging cosa succederebbe?
Per esempio, non potremmo più avere merendine e biscotti industriali, cracker, capsule per il caffè, affettati in blister a lunga conservazione. Dovremmo tornare al vetro per quasi tutti i tipi di prodotti liquidi, alimentari e non, e di conseguenza le aziende dovrebbero riattivare il circuito del vuoto a rendere e saremmo costretti a potenziare la catena alimentare di prossimità non avendo più prodotti che arrivano dall’altra parte del pianeta.
Bicchieri di plastica, forchettine e piattini monouso: come potrebbe reggersi questo settore? Come farebbero le grandi catene di fast-food senza i contenitori di polistirene per gli hamburger, le scatoline di cartone per le patatine, i bicchiere di cartone ed i tappi di plastica per le bibite?
Possiamo dire che l’economia mondiale senza il packaging si fermerebbe? Forse non del tutto, ma in buona parte sì.
Ma come mai il settore del packaging globale non ci appare in tutta la sua ampiezza allo stesso modo in cui ci appare lo scempio di una spiaggia devastata dalle plastiche? Forse siamo ipnotizzati dal prodotto nuovo, pulito, con un packaging invitante e non ne capiamo la pericolosità finché non si svuota da tutti i suoi elementi di marketing… e del contenuto.
Tutti noi pensiamo di fare il possibile per salvare il pianeta dall’inquinamento delle plastiche e dalla deforestazione, allora cosa ci sfugge?
Come mai dopo tanti anni di impegno individuale e di comunità, ancora non vediamo la soluzione a questo problema? Come mai nonostante la nostra attenzione nel separare bene gli involucri, nonostante la tecnologia ci offra imballi sempre più a basso impatto ambientale, agli inceneritori per l’indifferenziato, il pianeta ancor non ha una prospettiva tranquillizzante?
La risposta è perché siamo abituati a considerare il problema imballo dal momento che lo abbiamo vuoto tra le mani, ossia quando i buoi sono già usciti dalla stalla. Il problema è tutto il business che sta a monte di quel momento. Le grosse industrie petrolchimiche generano ogni anno milioni di tonnellate di polimeri che vengono trasformati in plastiche per imballaggi. Le altrettanto grosse industrie cartarie generano anch’esse milioni di tonnellate di pasta legno per gli imballi di cartone. Come possiamo fare fronte a tutto questo? In realtà ognuno di noi non può fare molto, soprattutto perché il singolo individuo entra in gioco solo ad un certo punto di una filiera molto lunga, molto potente che vede gli attori principali agire prima di lui.
Ad ogni modo la presa di coscienza di quello che avviene è un primo passo fondamentale.
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