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Il comandante di Auschwitz appare come una persona comune, addirittura “per bene”, che gioca in riva al fiume con i figli, parla con gli animali, cura le piante, ma presto si rivela uno spietato ingegnere della morte. Dietro ogni prigioniero ucciso c’è un piano deciso a tavolino, secondo perfette efficienza e produttività, perché anche quella del comandante delle SS è una carriera, fatta di sacrifici che assicurano la vita da sempre sognata.

Nella villetta dove il comandante Rudolf Hoss vive con la famiglia, le macchine da presa sono fisse come le menti di chi guarda solo alla propria “zona di interesse”.

Il regista, Jonathan Glazer, presenta un quadro surreale, dalla cornice infernale. Nel cielo polacco si innalza una lingua di fuoco che si scioglie in una nuvola di fumo e si trasforma in cenere. Un susseguirsi di grida soffocate dalla morte e un incessante suono come rigurgito dell’anima sono la colonna sonora di questo film.

Un manifesto contro l’indifferenza verso gli inferi delle possibilità umane. Ed è qui la terrorizzante originalità: lo spettatore intuisce cosa accade nel campo. Non lo vede. Ciascuno di noi è quindi portato a far emergere dalla propria immaginazione quanto di più orribile si possa concepire.

“Sintesi Dialettica” consiglia di andare al cinema a vedere questo film vincitore di due meritati premi Oscar, soprattutto oggi che la democrazia, che è fatta di diritto, giustizia e libertà, è a rischio, e che l’antisemitismo sta riemergendo in tante forme. Dobbiamo tutti riconoscerlo e combatterlo, perché non colpisce solo un popolo, ma tutti noi.

© Sintesi Dialettica – riproduzione riservata

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