L’opera di Tolkien è da tempo al centro di un dibattito, prevalentemente italiano, sulla sua presunta natura ideologica. In realtà, seguendo le indicazioni dello stesso autore, il racconto non ha alcun riferimento politico diretto e, richiamandosi a una visione cristiana, esprime significati che vanno oltre ogni possibile appropriazione.
Sin dalla pubblicazione in Italia, così come altrove, le opere di Tolkien hanno suscitato un vivace interesse che si è espresso anche in una serie di interpretazioni in chiave ideologica del Signore degli anelli. Queste letture sono riconducibili a due essenziali filoni critici: uno, di matrice ecologista; l’altro, di stampo conservatore. Tuttavia, pur basandosi entrambe su elementi effettivamente presenti in Tolkien , ne danno una visione che è completamente estranea alle concezioni dell’autore. Infatti è innegabile che dal pensiero del filologo di Oxford traspaia un profondo amore per la natura, ma ciò non può condurre, per i motivi che vedremo, a sostenere la tesi “ambientalista”; allo stesso modo, la lettura conservatrice, sottolineando alcuni aspetti come la lealtà cavalleresca dei personaggi, si è spinta a fare di Tolkien un autore reazionario, con forti venature nostalgiche per un non ben definito medioevo idealizzato. Entrambe le analisi sembrano vedere, inoltre, la presenza di uno sfondo irrazionale, neopagano o addirittura occultistico; il che è totalmente fuorviante se si tiene non solo conto degli scritti, ma anche della vita dell’autore e della sua formazione religiosa.
Gli spunti su cui si sono basate le contrapposte analisi ideologizzanti, sono fondamentalmente due. Il primo, che ha dato vita alla tesi eco-pacifista, consiste nell’indiscutibile avversione mostrata da Tolkien nei confronti delle deviazioni massificanti del consumismo, e nel parallelo interesse per la società rurale e i paesaggi incontaminati. Ma tutto ciò appare, andando in profondità, piuttosto l’espressione di un atteggiamento religioso, che trovando nella realtà terrena le tracce della benevolenza divina, stabilisce una corresponsione d’amore con l’origine di tutto. In ultima analisi, vi è un aspetto “francescano” nelle concezioni dell’autore, che non casualmente è stato accostato da Guglielmo Spirito (1) alla spiritualità del santo di Assisi.
L’equivoco interpretativo sul presunto conservatorismo di Tolkien , ha invece trovato diversi punti di appoggio nel Signore degli anelli: eroismo, spirito di sacrificio, “patriottismo”. Ma è stato indotto, a mio avviso, anche da una visione gerarchica e patriarcale della società che si può intravedere nel libro. Le relazioni fra gli abitanti della Terra di mezzo, sono caratterizzate da una certa disomogeneità di status ma, contemporaneamente, dalla lealtà nei confronti dell’ordine sociale stesso. Per esempio, è significativa l’obbedienza di Sam nei confronti del suo padrone, che egli chiama con rispetto sempre «sir Frodo». Questa componente è anche il leitmotiv del Silmarillion; tuttavia, poiché quest’ultima è un’opera cosmogonica e più palesemente teologica, il tema centrale è l’obbedienza verso la volontà di Eru Iluvatar, il Dio unico del Legendarium. Lo stesso Silmarillion può far comprendere meglio che l’organizzazione “sociale” nella mitologia tolkieniana, è speculare rispetto all’ordine divino, cioè le relazioni intersoggettive seguono una logica che riflette i rapporti tra Eru e i suoi servitori. Non a caso, il primo capitolo si apre con una descrizione della creazione del mondo, in cui gli Ainur, «Coloro che sono santi» (2), ed «erano con lui prima che ogni altra cosa fosse creata» (3), intonano un’armonia musicale: da qui traspare indirettamente la concezione di Tolkien , appunto come armonia che contempla l’unità nella differenza, e viceversa.
Le due letture ideologiche negano tacitamente anche la plausibilità dell’interpretazione cristiana: l’analisi ecologista, lo fa sostenendo un panteismo di fondo; quella conservatrice, ritenendo le due opere neopagane e permeate da risvolti esoterici. Entrambe ascrivonoTolkien a una mentalità di stampo irrazionale, dove la fantasia e la creatività hanno i soli aspetti dell’originalità e del bizzarro.
Indicare l’autore solamente come un inventore di mondi alternativi significa perciò deviare dal senso tutt’altro che evasivo del suo immaginario, e ciò appare ancora più chiaro se si guarda al concetto di “sub-creazione”. Si tratta di un’idea che è alla base di tutta la sua produzione letteraria. Per Tolkien , l’uomo è chiamato a contribuire alla bellezza del creato con la fantasia, che si può esprimere in molte forme: ogni attività manuale o intellettuale, se orientata al bene, apporta bellezza al mondo. La forma più alta di creazione è la mitopoiesi, ossia l’attività generatrice di miti. La creatività umana non può comunque eccedere l’ordine impresso da Dio al cosmo: la creatura non può porsi sullo stesso piano del Creatore cercando di sostituirlo. Questa è ad esempio la pretesa di Saruman, che ritiene di poter dominare la Terra di mezzo, forte delle sue arti e dell’appoggio di Sauron ma, come si evince dalla narrazione, ciò sarà causa di disperazione e rovina innanzitutto per sé stesso.
Per chiarire ogni dubbio, occorre tuttavia fare ricorso alle parole dell’autore. Questi, in una lettera indirizzata alla Houghton Mifflin scrisse a proposito del Signore degli anelli: «non tratta di niente se non di se stesso. Di sicuro non ha intenzioni allegoriche, generali, particolari, o morali, religiose o politiche» (4). Tutto ciò non gli impedì di manifestare pubblicamente la propria appartenenza alla Chiesa cattolica, che trasfuse nei suoi romanzi, al di là di ogni apparente agnosticismo narrativo. In una lettera al gesuita Robert Murray afferma di aver espunto ogni riferimento diretto alla religione, «perché l’elemento religioso è radicato nella storia e nel simbolismo» (5).
Infatti, per comprendere adeguatamente Tolkien , occorre sottolineare che egli fu animato da una solida fede. Nato nel 1892 in una famiglia protestante, all’età di otto anni è battezzato nella religione cattolica. La conversione della famiglia Tolkien , guidata dalla madre, divenuta vedova quando John Ronald e il fratello Hilary erano molto piccoli, causerà la fine dei rapporti con tutti i parenti, che cesseranno di aiutare economicamente i nipoti. La formazione religiosa fu determinata dall’influenza indiretta del cardinale John Henry Newman, mediata da padre Francis Xavier Morgan. Quest’ultimo, nel 1905 divenne precettore del giovane Tolkien , rimasto orfano anche di madre. Padre Francis era infatti membro dell’Oratorio di Birmingham, fondato dallo stesso cardinale Newman, con cui aveva collaborato fino a venti anni prima.
Innanzitutto, cominciamo però col chiederci in quale misura esista un effettivo contenuto politico negli scritti di Tolkien . Ricollegandosi alla frase citata dal suo epistolario, la risposta che si può dare al quesito è ambivalente: infatti, se si vuole ricercare l’adesione a una determinata ideologia, né il Signore degli anelli, né il Silmarillion sono caratterizzati in questa direzione. Anche Stratford Caldecott, basandosi su alcune affermazioni dell’autore, ritiene che questi non rivendicò nessuna appartenenza partitica. Tuttavia, lo stesso Caldecott mette in luce alcuni tratti comuni fra le riflessioni politiche di Tolkien e il distributismo, una corrente di pensiero sociale cattolico inglese (6) che ebbe una larga diffusione fra i cattolici inglesi fino alla seconda guerra mondiale, e riprese gli aspetti principali della dottrina sociale cattolica, ribadendo la centralità della famiglia, l’importanza del principio di sussidiarietà e auspicando l’allargamento del ceto imprenditoriale. Il Signore degli anelli, soprattutto nella descrizione della Contea, sembra rappresentare questi temi. Ciò non toglie, però, che Tolkien non abbia militato in nessun movimento politico.
La dimensione “politica” delle opere di Tolkien sembra, dunque, non attenere ad una progettualità sociale immediata. Elémire Zolla, mette molto bene in luce nell’introduzione all’edizione italiana del Signore degli anelli, come esso sia latore di messaggi che si riferiscono alla dimensione profonda dell’uomo (7). Le due opere citate mettono soprattutto in discussione l’idea stessa di modernità, cioè concepiscono il mondo moderno come decadenza etica ed estetica, in conseguenza della mentalità individualista e dell’industrializzazione senza limiti. Questi temi sono comuni anche a molti filosofi europei del XVIII e XIX secolo. Anche Rousseau, per esempio, ritiene che l’imbarbarimento della società dipenda dal progresso, in modo particolare dal perfezionamento delle scienze. Considerazioni analoghe, ma legate soprattutto ai problemi della rivoluzione industriale, si ritrovano in pensatori come Sismondi, Owen e Carlyle. Tuttavia, la prospettiva di Tolkien è differente: mentre costoro cercano le fonti del malessere esternamente all’uomo, egli guarda al soggetto, trovando in esso, e non altrove, la causa della caduta. Infatti, i protagonisti della sua mitologia ottengono la salvezza o la perdizione facendo uso del libero arbitrio. Per esempio, è così per gli elfi del Silmarillion e altrettanto accade per Gollum, e alcuni personaggi il cui degrado è dovuto alla superbia.
Anche in questo caso, il concetto di “sub-creazione” rivela la sua importanza: l’artista, il filosofo, il narratore, sono chiamati a glorificare e servire Dio, unico supremo Creatore, attraverso le loro attività. In questo senso Tolkien si pone sulla scia di quanto affermano i Vangeli sull’esaltazione degli umili: alla fine del racconto, a trionfare non sono i potenti come Saruman e Denhetor, bensì i deboli e miti Hobbit. Egli segue così una prospettiva adottata anche da altri autori come Scott, nell’Ivanhoe, o come nei Promessi sposi di Manzoni (8), imperniata sul riscatto di coloro che soffrono. Tuttavia, a differenza di Scott e Manzoni, che ricostruiscono il passato, Tolkien crea ex novo una mitologia in cui sono evidenti i richiami alle saghe nordiche, ma che ribalta la visione di queste riguardo il fine della peregrinazione dell’eroe: se nell’epica tradizionale l’equilibrio iniziale è ristabilito grazie alla riconquista di un talismano o un luogo mitico, nel Signore degli anelli ciò avviene attraverso la perdita del simbolico anello nelle voragini del monte Fato.
Per questo motivo, il racconto, anziché su una presa di posizione ideologica è centrato sul fenomeno del Potere. Contro di esso, la libertà costituisce il bene principale da tutelare, sia come valore collettivo che individuale. Si tratta di una libertà “integrale”, che aspira all’autonomia della persona rispetto a ogni condizionamento esterno. L’anello, infatti, rende schiava la volontà del suo possessore e, solo resistendo alle sue lusinghe è possibile privarsene, ritornando padroni di sé stessi. In questo senso, Tolkien è autore con una sensibilità tutt’altro che illiberale, che getta, anzi, uno sguardo alle questioni aperte della post-modernità. Quello che infatti contesta, non è rappresentato solo dal volto malefico del potere stesso, ma anche dal nichilismo di molte filosofie contemporanee. La stessa forma circolare dell’anello, forse rimanda al concetto di un potere autoreferenziale che, ripiegandosi su se stesso giunge all’autodistruzione. Una metafora, quindi, della solitudine dell’uomo contemporaneo, che non aprendosi al trascendente, si perde in percorsi che conducono al nulla. L’universo tolkieniano appare allora in bilico tra due estremi: l’eternità e il niente. Il Bene e il Male si riflettono rispettivamente in questa dicotomia, così come la speranza e la disperazione, la continuità della vita e la sua distruzione. Questi temi possono essere accostati all’antitesi freudiana di eros e thanatos, ma vanno ben oltre essa, poiché si aprono alla dimensione spirituale e ancestrale dell’animo umano.
L’esperienza della guerra, così come dei totalitarismi, sono certamente determinanti nella definizione dell’universo immaginario dell’autore, come sottolinea un saggio di John Garth del 2003 (9). Tolkien cominciò a dar vita ai propri scritti proprio durante gli anni del primo conflitto mondiale, sperimentando fra le trincee molte sensazioni che si possono ritrovare nella lettura del Signore degli anelli: amicizia, lealtà, onore; ma anche paura, disorientamento, senso di abbandono. Forse egli fu segnato anche dalla presa di coscienza che la tecnologia – intesa come forma di potere – si stesse trasformando in un mezzo di oppressione. Infatti, durante la Prima guerra mondiale vi fu ampio uso di tecnologia bellica, così i giudizi di Tolkien sull’uso distorto della tecnologia hanno probabilmente tratto origine anche da quelle esperienze.
Occorre, così, aprire una parentesi sul ruolo che la tecnologia occupa nell’immaginario del Signore degli anelli. Nell’opera, essa è vista come un tentativo di dominare la realtà, piegandola al proprio volere. Sotto questo profilo, costituisce una forma evoluta di magia. La metafora del Palantìr sembra esprimere questo significato: coloro che ne fanno uso cercano di manipolare il mondo secondo la propria volontà, ma possono essi stessi diventare schiavi di questo strumento di conoscenza. Per questo motivo, alcuni hanno visto nel Palantìr una rappresentazione dei mezzi di comunicazione di massa. Tuttavia, anche se questa lettura è effettivamente calzante, il testo non può prestarsi all’immediata identificazione di un simbolo, in quanto, come chiarì l’autore, la sua opera non ha alcun intento allegorico. Esso sembra però indicare che la conoscenza fine a se stessa, inaridendo l’immaginazione, conduce al nulla.
Secondo Tolkien , anche la stessa democrazia non è immune da limiti. Nei regimi democratici vide il pericolo di deviazioni che si concretizzavano nel materialismo della società dei consumi. Tutto ciò in funzione di un principio secondo il quale l’uomo non può sconfiggere definitivamente da solo il male: la Contea, ad esempio, al ritorno dei protagonisti è attraversata da nuovi problemi, e solo l’azione della Provvidenza riesce a sciogliere i nodi della storia universale.
Lo Stato moderno è perciò visto dall’autore come una creatura artificiale, capace di produrre anche regimi liberticidi. Il vero uomo politico giusto dovrebbe essere simile ad Aragorn, che riflette ampiamente le caratteristiche dell’ideale di Tolkien ; un ideale che, si ribadisce, è concepito in chiave antimoderna, ma non polemica contro la modernità in sé, bensì contro le sue manifestazioni materialiste. Aragorn è, come scrive Andrea Monda, una «figura cristologica» (10), perché attraverso di esso l’autore ha voluto delineare anche l’immagine del re-sacerdote. In quanto tale, ricorda i re taumaturghi del medioevo, ma, soprattutto, rimanda al Christus Rex. Questa analogia con la figura di Cristo è tutt’altro che casuale: così come Dio, nel momento in cui si fa uomo in Gesù Cristo mostra la sua infinita bontà incarnandosi, anche Aragorn segue nel suo agire una logica di umiltà e servizio. Infatti egli, pur essendo di stirpe regale, assume personalmente la difesa degli Hobbit; inoltre, rappresenta un personaggio in cui si riflettono molti riferimenti alle Sacre Scritture. Per esempio, sembra ricordare Davide, mentre Denethor ricorda Saul; egli è anche un alter Christus, nella misura in cui rappresenta il Re giusto e saggio che riprende possesso del suo trono per ristabilire l’ordine e la pace.
In definitiva, non si può dire che il Signore degli anelli costituisca un’opera dai risvolti politici diretti e immediati; ma si può certamente affermare che essendo i suoi riferimenti pertinenti soprattutto alla sfera del rapporto tra Dio e le sue creature, essi contengano indubbiamente delle assonanze con la Dottrina sociale cattolica; il che, oltre ad evidenziarne il nucleo prettamente spirituale, corrobora l’interpretazione cristiana dell’epica tolkieniana come quella maggiormente plausibile.
Bibliografia
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2008 VV. ,La filosofia del Signore degli anelli, Mimesis Edizioni, Milano-Udine 2008.
2009 Caldecott, Il fuoco segreto. La ricerca spirituale di J. R. R.Tolkien, Lindau Torino, 2009.
2010 Garth,Tolkienand the Great War. The threshold of Middle-earth, Harper Collins Publishers, London 2004.
2011 Mingardi-C.Stagnaro,La verità suTolkien . Perché non era fascista e neanche ambientalista, Liberal Edizioni, Roma 2004.
2012 Monda,L’Anello e la Croce. Significato teologico de il Signore degli anelli, Rubbettino, Soveria Mannelli 2008.
2013 Passaro-M. Respinti,Paganesimo e Cristianesimo inTolkien . Le due tesi a confronto, il Minotauro, Frascati 2003.
2014 Shippey,The road to Middle-earth. How J. R. R.Tolkien created a new mythology, Harper Collins Publishers, London 2011.
2015 R. R.Tolkien, Il Signore degli anelli, Bompiani, Milano 2002.
2016 R. R.Tolkien, Il Silmarillion, Bompiani, Milano 2011.
2017 R. R.Tolkien, La realtà in trasparenza. Lettere, Bompiani, Milano 2002.
Note
1) Cfr. G. Spirito, Tra San Francesco e Tolkien , Il Cerchio, Rimini, 2004.
2) J. R. R. Tolkien , Il Silmarillion, Bompiani, Milano, 2011, p. 35
3) Ivi, p. 35.
4) J. R. R. Tolkien, La realtà in trasparenza. Lettere, Bompiani, Milano, 2002, p. 249.
5) Ivi, p. 196.
6) S. Caldecott, Il fuoco segreto. La ricerca spirituale di J. R. R. Tolkien, Lindau, Torino, 2009, pp. 171-174.
7) E. Zolla, introduzione all’edizione italiana, in J. R. R. Tolkien, Il Signore degli anelli, Bompiani, Milano, 2002, pp. 5-19.
8) A. Monda, L’Anello e la Croce. Significato teologico de il Signore degli anelli, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2008, p. 85.
9) Cfr. J. Garth, Tolkien and the Great War. The threshold of Middle-earth, Harper Collins Publishers, London, 2004.
10) A. Monda, op. cit., pp. 151-154.
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