Città, dal latino “civitas”, ovvero “comunità”. In origine, non solo agglomerato urbano, ma diritti e doveri dei cittadini: comunità politica che essi formavano.
Taranto, città dei due mari, con una storia formidabile ancora visibile negli ipogei, nei palazzi nobiliari, tra le facciate delle chiese; città prigioniera di contraddizioni, schiava dell’incertezza, delle distruzioni del paesaggio, dell’inquinamento, dei “wind-day” e delle ordinanze che vietano i giochi all’aperto ai bambini di determinati quartieri.
Ed è così che i giovani adolescenti, disillusi, seppur costantemente impegnati nel tentativo di attuare pratiche “sostenibili”, perdono giorno dopo giorno fiducia nella rinascita; scelgono, immaginano di lasciare la propria città per poter realizzare i propri sogni e puntare ad una qualità della vita più alta, mettendo da parte legami, affetti e costruendo nuovi sogni.
Cosa sperano? Più controlli sull’ambiente, protezione della qualità dell’aria e soprattutto politiche di crescita culturale e occupazionale.
Italo Calvino, nel 1972, nel suo libro «Le città invisibili», utilizza Leonia, città immaginaria, come metafora del consumismo moderno, evidenziando l’illusione del rinnovamento e la realtà dell’accumulo di rifiuti.
La città di Leonia è intrappolata in un circolo vizioso dove il desiderio di nuovo e pulito porta inevitabilmente alla creazione di sporcizia e degrado. Leonia, nel 1972 come oggi, ci fa riflettere sulle conseguenze del consumismo sfrenato e sulla sostenibilità delle abitudini quotidiane, ma soprattutto sull’illusione di un eterno presente pulito e nuovo, che appunto resta “eterna illusione” perché non si affrontano seriamente le cose. Calvino, insomma, parla di un circolo vizioso che rappresenta una realtà ancora oggi esistente. Possiamo cambiare la realtà grazie ai classici. Chi ha responsabilità di governo, chi è parte delle classi dirigenti – non solo politiche – dovrebbe saperlo e agire di conseguenza.
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