Il dialogo platonico avviene nel corso di un banchetto, in un simposio (dal greco sun-pino, bere insieme) in casa di Agatone. Il tema scelto per la discussione è l’amore.
Aristofane racconta che un tempo gli uomini erano sferici e doppi e per questo motivo si sentivano talmente perfetti che peccarono di orgoglio e superbia. Gli dèi li punirono dividendoli a metà e ricucendoli con un nodo, l’ombelico, che collocarono sulla pancia così da ricordare loro l’affronto commesso. Questi sentivano la necessità di ritrovare l’altra metà in modo da unirvisi fino a morire di fame. Gli dèi, così, crearono l’atto sessuale che appagava questa unione. Socrate ricorda, invece, un mito narrato dalla sacerdotessa Diotima. Durante i festeggiamenti per la nascita di Afrodite, Poros (l’ingegno) e Penia (la povertà) si uniscono concependo Eros. Questi non è bello, ma tende sempre alla bellezza e ricerca l’amore. Eros è l’amante, colui che ama, il soggetto che esercita amore.
Diotima afferma che tutti gli dèi sono buoni e belli, ma Eros non è un dio né è mortale: è ciò che nasce e muore di continuo. Tale espressione indica l’impossibilità di possedere totalmente l’amore e la metafora della filosofia. L’uomo, infatti, non possiede la sapienza – propria solamente degli dèi – e tende al sapere senza conquistarlo pienamente. Inoltre viene distinto l’amore eterosessuale – volto alla procreazione materiale – da quello omosessuale, volto alla procreazione spirituale delle anime. Se per Socrate la maieutica – cioè l’arte di far partorire le idee – presuppone già la presenza nella mente di anime gravide, Platonesostiene che in realtà vi sia una vera e propria fecondazione di anime fertili. Emerge quindi anche l’idea del bello: secondo Socrate le anime migliori provano gioia nel momento in cui vedono l’immagine dell’idea cercata e il raggiungimento dell’idea del bello è uno approfondimento di questo amore, nonché lo stimolo per un’indagine della realtà sensibile.
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