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Il Consiglio d’Egitto non è solo un romanzo storico: infatti possiede il carattere di una più generale riflessione sulla situazione meridionale, anche quella attuale.

Il Consiglio d'Egitto - copertina libro

Il libro, uscito nel 1963 con l’editore Einaudi, getta uno sguardo sulla reale possibilità di cambiamento sociale e politico nel sud, basandosi sul massacro dei giacobini di Caltagirone avvenuto alla fine del Settecento. L’autore sembra voler riproporre un dilemma che fu espresso da Benedetto Croce analizzando le vicende della Repubblica partenopea del 1799: ovvero la resistenza alle novità che la Rivoluzione francese aveva “esportato” nel Regno di Napoli, e che non furono accolte dal popolo, perché espressione di una élite intellettualmente elevata, ma produttrice di un’ “offerta” di libertà giuridiche che non conosceva un sostanziale interesse presso la popolazione; d’altronde era piuttosto difficile che ne fosse carpito il consenso, perchè il giacobinismo fu associato dai ceti popolari con un governo-gendarme, esattore di tributi e basato sul rovesciamento dei valori tradizionali.

La trama dell’opera è incentrata su due personaggi fondamentali: l’abate Giuseppe Vella, autore dell’“impostura” che fa da filo conduttore all’intero racconto; e l’avvocato Di Blasi, un convinto sostenitore delle idee illuministe. La storia comincia dal ritrovamento di un manoscritto arabo, che il vescovo monsignor Airoldi vuole sia tradotto da parte del Vella per l’ambasciatore del Marocco.

Il manoscritto è in realtà una comune vita di Maometto, ma l’abate, facendo leva sull’incomprensibilità del testo, diffonde l’idea che si tratti di una raccolta di leggi e consuetudini che recherebbe addirittura l’abolizione dei privilegi feudali.  Parallelamente si svolge l’azione cospiratrice del Di Blasi, che però, scoperto come lo stesso Vella, sarà condannato a morte.

L’epilogo del romanzo, con i suoi toni drammatici, descrive le idee di Sciascia in modo molto chiaro: il boia, un assassino che in cambio della propria libertà svolge il compito ingrato di condurre al patibolo i condannati, si avvicina timoroso al Di Blasi, e quando chiede scusa a quest’ultimo per quanto si accinge a compiere, l’avvocato risponde al boia dicendo di pensare «alla sua libertà»; e questi, per avere mano ferma durante la decapitazione, si rivolge al cielo esprimendosi in una fede rozza e superstiziosa.

I temi fondamentali dell’opera sono quindi essenzialmente due: da un lato quello della storia del sud come “impostura”; dall’altro le reali possibilità di riscatto del meridione.

Per quanto attiene al primo aspetto, si può dire che si fronteggino due menzogne: quella che vuole un sud fossilizzato nei privilegi e nell’arroganza dell’aristocrazia; e la “buona” impostura di Vella, che alimenta anche il tentativo rivoluzionario dell’avvocato di Blasi.

La visione di Sciascia è pessimista: infatti non concepisce una possibilità di cambiamento per la Sicilia, e quindi il sud, che rimangono legati alle proprie catene. L’unica via di fuga sembra offerta proprio dalla creazione letteraria del Vella, che in un mondo meschino e falso rappresenta, paradossalmente, l’unico nobile contraltare agli anacronistici privilegi feudali e ai soprusi della nobiltà.

Eppure, proprio nel pessimismo di quest’opera, possono trovarsi i semi di un cambiamento: il libro offre una lettura attuale delle condizioni politiche e sociali del meridione, dove la cultura può costituire uno strumento di civilizzazione e sensibilizzazione, posto che ci siano tanti volenterosi Giuseppe Vella.

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