La saga di una famiglia mercantile tedesca del XIX secolo, con le sue alterne fortune, porta il lettore a riflettere sui condizionamenti esterni che lo hanno formato e, nella decadenza che la famiglia subisce, egli ha modo di intravedere il rischio di un destino esistenziale già scritto, da comprendere e dal quale emanciparsi.
La grande tradizione del romanzo familiare ottocentesco – che aveva trovato felicissime espressioni nella letteratura francese e russa – rivive nei Buddenbrook , opera che Thomas Manninizia a scrivere tra il 1896 e il 1898, durante un soggiorno in Italia (a Palestrina, presso Roma) con il fratello Heinrich. Il romanzo uscì poi nel 1900 accolto da grande entusiasmo e fu menzionato tra le principali motivazioni grazie a cui Mann sarà insignito, nel 1929, del premio Nobel per la letteratura. Il titolo esteso originale Buddenbrook Verfall einer Familie (Buddenbrook, decadenza di una famiglia) chiarisce fin da subito, e molto più di quello scelto per la traduzione italiana, che la saga della famiglia di mercanti di Lubecca, non ha un lieto fine. Il romanzo si apre con un evento gioioso, un pranzo nella casa sulla Mengstrasse, a cui partecipano l’anziano console Johann Buddenbrook, la moglie Antoinette, il figlio secondogenito Johann jr., con la consorte Elizabeth Kröger ed i suoi tre figli – Thomas, Christian e Antoine, la cuginetta Klothilde, la fidata governante Ida Jungmann, i suoceri Kröger ed altri amici altolocati di famiglia, costanti presenze in tutta la narrazione.
Ma nonostante l’atmosfera nella dimora da poco acquistata – a testimonianza della prosperità conquistata dall’azienda familiare – sia serena, appaiono già le prime nubi a minacciare la raggiunta agiatezza: in una lettera, il primogenito Gotthold – che, disconosciuto, ha abbandonato la casa paterna – chiede denaro ai genitori. E la risposta unanime della famiglia, di fronte alla prospettiva di indebolire il patrimonio della ditta sottraendovi risorse, risulta negativa. Tale tenace difesa della solidità e della reputazione dell’azienda familiare, dunque del prestigio dei Buddenbrook, è il filo conduttore di tutto il romanzo. In nome di essa, agiscono sempre i protagonisti, che si succedono nell’arco di quattro generazioni, arrivando a calpestare perfino i legami di parentela più stretti, i sentimenti e le aspirazioni dei singoli.
La giovane Antoine, ad esempio, soffoca il suo amore per un giovane studente di modeste condizioni economiche, per sposare – senza alcuna fortuna – prima un commerciante che si rivelerà poi un truffatore, quindi un uomo rozzo dal quale sarà costretta a separarsi. Oppure Thomas, arrivato a prendere in azienda quel posto di comando che fu prima di suo nonno e poi di suo padre,vive una relazione conflittuale con il fratello Christian – uomo dissoluto e inconcludente – che non amerà mai. Egli nutrirà pure per il figlio – il piccolo Hanno, su cui sono riposte tutte le speranze di risurrezione della famiglia che vive ormai un lento ed inesorabile declino – una profonda disistima a causa della sua costituzione fragile unita a un animo sensibile e poco pragmatico.
Questo approccio nei riguardi della vita, proficuo per gli affari ma mortificante per l’anima, Thomas Mann doveva averlo respirato nella famiglia di mercanti – che viveva anch’essa a Lubecca, dove il padre era senatore-in cui era nato nel 1875 ed in cui, all’uscita del libro, ci fu chi cercò di identificare nei personaggi del romanzo parenti dell’autore realmente esistiti. Il fatto che Mann sia riuscito tuttavia a sfuggire a quel clima opprimente, cominciando a dedicarsi alla letteratura da studente fino alla morte – avvenuta nel 1955 -, pone forse I Buddenbrook nell’ottica della ricerca da parte dell’autore della comprensione del suo retroterra – analizzato impietosamente per scardinarne i valori culturali – al fine di potersene poi anche liberare. L’ambiente mercantile è infatti palesemente assente, ad esempio ne, La montagna magica, vero e proprio “romanzo filosofico” che Mann pubblica nel 1924, che forse non sarebbe stato possibile senza la “catarsi” precedentemente compiuta con I Buddenbrook.
Questa storia familiare è tuttavia ancora attuale e avvincente, perché l’ostinazione dei personaggi nel perpetrare scelte infruttuose, rimanda alla tendenza, che a volte abbiamo, a compiere in maniera coatta azioni spesso disfunzionali, quasi fossimo costretti a recitare un copione già scritto, nel quadro di un destino che ci appare predeterminato e immutabile.
Nonostante la società contemporanea sia profondamente mutata rispetto alla Lubecca del XIX secolo, restano comunque presenti i condizionamenti culturali in cui siamo tutti, più o meno consapevolmente immersi, che talvolta ci spingono a preservare nei confronti degli altri l’immagine di un nostro “io sociale”, che spesso si discosta fortemente dal nostro “io reale”. Rimane quindi vera anche per noi l’affermazione secondo cui “si è quello che ci hanno insegnato ad essere” e che – considerazione questa talmente antica da rasentare l’ovvietà – solo con una comprensione, per quanto possibile profonda, dei meccanismi con cui siamo stati plasmati, noi potremo riuscire a realizzare il nostro “sé”, al di là delle influenze limitanti e delle aspettative esterne, al fine di raggiungere nella nostra esistenza, se non la felicità, almeno una ragionevole serenità.
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