Una considerazione – nota quanto disattesa – afferma che per valutare il grado di civiltà di un Paese bisogna visitarne le carceri. La questione di come in Italia si gestisca il sistema carcerario è annosa e dolorosa. La detenzione diviene uno degli ambiti in cui si verificano più casi di suicidi: e, attenti, non solo tra i carcerati.
Se ci si reca nel carcere fiorentino di Sollicciano, nell’atrio si può notare una bacheca in cui si fa memoria degli agenti della Polizia carceraria che si sono tolti la vita dove svolgevano il loro servizio. Una lunga scia di decessi che ci ricorda la condizione del tutto inaccettabile in cui si viene imprigionati, con un confine che resta labile, talvolta, tra chi è detenuto e chi viene detenuto. E tutto ciò di fronte ad una cultura collettiva in cui, per lo più, si continua a pensare la prigione come luogo di punizione e di vendetta sociale, non come ambito di riabilitazione al vivere collettivo, nel recupero dei principi con cui si esercita il proprio ruolo di cittadini nel rispetto del diritto, dei doveri, dei diritti personali.
Ho conosciuto il regista Leonardo Di Costanzo presentando a Firenze il suo secondo film, L’intrusa. Quando gli chiesi su cosa stesse lavorando mi disse che pensava di realizzare un film da un libro molto importante, Il libro dell’incontro. Vittime e responsabili della lotta armata a confronto, di Guido Bertagna, Guido Ceretti e Claudia Mazzucato. Il progetto gli è rimasto nel cassetto, ma con questo suo Ariaferma il carcere si dimostra un tema di riferimento.
In fondo, anche il suo primo film narrativo, L’intervallo, è incentrato su una detenzione: un boss camorrista fa sequestrare una ragazza per chiederle conto della sua ribellione e designa come carceriere un suo riluttante (ed estraneo al crimine) coetaneo: in questa giornata di forzata frequentazione i due ragazzi potranno vivere un tempo sospeso dalla cruda realtà circostante, in cui tornare agli elementi di una prima giovinezza negati ad entrambi.
Un carcere fatiscente, in dismissione. Per disguidi burocratici un gruppo ristretto di detenuti prolunga il soggiorno presso la struttura, con degli agenti a sorvegliarli. Tra i due gruppi di uomini si creano dinamiche complesse, diverse da quelle usuali, per il contesto mutato. Al termine della narrazione visiva il regista ci fa riflettere su come il carcere potrebbe divenire un luogo sociale in cui se le persone si incontrassero andando oltre i propri stereotipi e la convinzione che le vicende dell’esistenza siano un fossato invalicabile, nella volontà collettiva di creare davvero un ambito di redenzione si potrebbe far evolvere una intera società. Sicuramente fintanto che il carcere resta quello che conosciamo è un universo immobile in cui le mafie continueranno ad avere delle incredibili opportunità di consenso e affiliazione al peggior mondo criminale. E si continuerà a soffrirci inutilmente.
Ariaferma distilla la grande maestria di De Costanzo nella lettura dei sentimenti umani, che porta a buon frutto il suo percorso (fino appunto a L’intervallo) di documentarista. Per questo film approda a un cast di altissimo livello, intrecciando professionisti e non, per cui può usufruire dell’interpretazione di due magnifici attori, Toni Servillo e Silvio Orlando. Due interpreti del genere consentono un film, lo rendono possibile sugli alti livelli a cui quest’opera giunge. Lo spazio di mediazione nelle istituzioni, anche quelle particolari dell’universo della detenzione, resta efficace solo se è umano. Una scena nel prefinale mette intorno alla stessa mensa detenuti e agenti: non è l’unica suggestione eucaristica del film, che pure in chiave laica non esula da passaggi di spiritualità di impronta cristiana (la sequenza di un lavacro evoca la lavanda dei piedi di tradizione giovannea). Pur trattando con competenza la realtà carceraria, questa diventa pretesto per raccontare una intera società. Se il regista sospende alcuni sviluppi narrativi su cui ha incuriosito gli spettatori (in cosa il detenuto interpretato da Orlando – in un significativo ribaltamento delle rispettive filmografie, visto che Servillo, qui il responsabile degli agenti di custodia, è avvezzo sovente a ruoli di criminale – è così pericoloso come dichiarato dalla sceneggiatura?), ciò assomiglia terribilmente alla realtà. Si procede a tentoni in questa storia difficile, a cui pur apparteniamo. Del resto, Federico Fellini affermava “niente si sa, tutto si immagina”. Ma se questa immaginazione è illuminata da un umanesimo autentico, sicuramente da rivitalizzare e rifondare ma piantato nella coscienza di ognuno, la strada di fronte a noi resta possibile da percorrere.
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Ariaferma
un film di Leonardo Di Costanzo
Sceneggiatura di Leonardo Di Costanzo, Bruno Oliviero, Valia Santella
con Toni Servillo, Silvio Orlando, Fabrizio Ferracane, Salvatore Striano, Roberto De Francesco
Italia 2021, durata 117 minuti.