Con una mossa insolita, la Procura napoletana e l’Università Federico II hanno siglato un accordo di cooperazione nella lotta alla camorra, l’organizzazione criminale napoletana i cui tentacoli si estendono lontano, anche a Roma e all’estero.
L’accordo è stato firmato nell’affollata aula universitaria il 26 novembre scorso alla presenza, tra gli altri, del sindaco di Napoli Gaetano Manfredi, del rettore Matteo Lorito, del procuratore Gianni Melillo, della sociologa Dora Gambardella e dell’arcivescovo di Napoli Domenico Battaglia.
Per l’arcivescovo Battaglia: “Se si desidera fermare una frana, si piantano molti alberi”. Allo stesso modo, ha detto, chiediamo a tutti i nostri cittadini di partecipare alla lotta alla camorra denunciando le ingiustizie e l’usura quando e dove la vedono. “In politica dobbiamo dimostrare che lo Stato c’è. Ma c’è bisogno anche di un rinnovamento culturale, perché il silenzio è un male quando la gente distoglie lo sguardo… È un dovere per tutti noi”.
Il pericolo più grande, ha detto il sindaco Manfredi, sta nell’abituarsi eccessivamente a un’organizzazione criminale che ha radici così profonde. Il rischio è che la città, in tutte le sue categorie produttive, e quelle legate al mondo dell’istruzione, “si mostri rassegnata nei confronti delle piccole e grandi forme di illegalità che sono i tratti distintivi più evidenti della camorra”. La questione diventa tanto più urgente quanto più tardi arrivano piani e progetti per l’utilizzo dei fondi UE e per il PNRR. Professionalità e competenza sono vitali per l’utilizzo dei fondi PNRR in arrivo, e “fondamentali per evitare il rischio che i clan si infiltrino negli uffici pubblici”.
Il procuratore Melillo ha mostrato una mappa di Napoli definendo le zone in cui la camorra è più forte, come a Secondigliano, controllata dal clan Mazzarella. Anche così, ha aggiunto, la camorra è strutturalmente presente nell’intera area metropolitana, dove la violenza si trasforma in ricchezza, legittimità e consenso. Considerare unicamente la violenza aggressiva della camorra «è un errore e sottovaluta il fenomeno».
A firmare il nuovo accordo è stata anche la professoressa Dora Gambardella, direttrice del laboratorio interdisciplinare del Dipartimento di Scienze Sociali dell’Università Federico II, Lirmac, nato nel 2015 per condurre ricerche sulle mafie e sulla corruzione. Università e procura possono sembrare distanti, ha precisato, ma in realtà è difficile tenere la camorra fuori dall’università. “Il nostro contributo è di studiare la camorra e insegnarla”.
Un esempio di come la società ordinaria e il mondo criminale possano fondersi è arrivato con la scoperta a inizio novembre 2021, a Napoli, del furto di tre statue religiose del XVII secolo. Le statue della Madonna, a grandezza naturale, appartenevano da non meno di trent’anni a boss dominanti nella criminalità napoletana, e si trovavano in una chiesa usata come deposito di droga, secondo un articolo del Mattino del 25 aprile 2021.
La notizia è emersa nel corso di un recente processo ai presunti boss Vasto, di Secondigliano. Per la Direzione Distrettuale Antimafia (DDA), tali simboli religiosi sono diventati “necessari” per la camorra, che utilizza statue sacre e simboli della fede, per mostrare il proprio carisma, per rafforzare il clan. Il giornalista Leandro Del Gaudio, sul Mattino del 10 novembre, scrive, infatti, che “la religione è lo strumento di affermazione del controllo sociale”. Ne scriviamo a distanza di qualche mese, contando di seguire gli sviluppi del progetto, e i suoi sperati effetti.
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