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Correva l’anno 1992 e lo Stato italiano, sull’orlo della bancarotta come diretta conseguenza di diversi scandali venuti a galla tra la fine degli anni ’70 e gli anni ’80, nonché della corruzione sistemica emersa con l’inchiesta Mani Pulite, aveva bisogno di liquidità. Nel mese di luglio il governo Amato varò la più imponente manovra finanziaria del Dopoguerra, decretando il prelievo forzoso del 6 per mille sui conti correnti delle banche italiane. Nel mese di settembre la lira, in conseguenza di una speculazione finanziaria, fu costretta ad uscire dal Sistema Monetario Europeo (SME).

Fu questo il contesto in cui lo Stato italiano decise di cambiare radicalmente atteggiamento nei confronti del gioco d’azzardo, fino a quel momento concepito come «un disvalore etico, una questione attinente al mantenimento dell’ordine interno e al controllo sociale della sicurezza, oggetto di severe prescrizioni repressive» (1). All’epoca i cosiddetti giochi si limitavano al Totocalcio, alle scommesse ippiche e all’estrazione settimanale del Lotto, mentre sul territorio nazionale erano presenti complessivamente cinque casinò. Il giocatore doveva inseguire l’azzardo legale nello spazio e nel tempo oppure rivolgersi al mercato clandestino, gestito sui territori dalle organizzazioni criminali.

La crisi di liquidità mutò quello scenario e l’azzardo da disvalore etico si trasformò per il legislatore in una importante leva fiscale. Per lo Stato gli obiettivi da raggiungere erano due: abbattere il debito pubblico ed erodere una fonte di profitto per le organizzazioni criminali, spingendo i giocatori clandestini verso il settore legale.

Trent’anni dopo si può affermare che la “missione è fallita”. Nonostante un corposo gettito (oltre 10 miliardi di euro, secondo i dati più recenti) garantito annualmente allo Stato dai giocatori del comparto legale – nel frattempo diventati milioni – il debito pubblico dal 1992 ad oggi è più che raddoppiato. E le organizzazioni mafiose, lungi dall’essere tagliate fuori dal business dell’azzardo, sono riuscite a sfruttare anche la progressiva legalizzazione del comparto.

Secondo il Procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero de Raho, il mercato illegale frutta oggi alle organizzazioni criminali introiti di molto superiori al gettito che il gioco legale garantisce allo Stato (2). Una enorme mole di denaro a cui va aggiunto almeno un altro mezzo miliardo di euro, annualmente riciclato nel comparto legale (3). A tale scenario va aggiunta l’esplosione del gioco problematico – oggi un milione e mezzo di persone in Italia fatica a gestire il tempo e il denaro che dedica all’azzardo (4) – il quale a sua volta alimenta il circolo vizioso dell’usura, altro business illegale saldamente in mano alle organizzazioni criminali.

Cosa è andato storto? Ad ogni crisi economica, ad ogni nuova richiesta di liquidità da parte delle casse esangui dello Stato, è corrisposta la legalizzazione di forme di azzardo sempre più aggressive per le menti e per le tasche dei giocatori, senza che il legislatore si interrogasse sulle probabili ricadute sociali e criminali. La legalizzazione del settore è stata condotta in modo confuso ed estemporaneo. Sembra assurdo, ma oggi un comparto che frutta allo Stato e alle imprese legali circa 20 miliardi di euro l’anno, non è normato da una legge quadro nazionale. Il mercato legale ha finito per ampliarsi a dismisura, con decine di migliaia di punti vendita – slot machine, videolottery, gratta e vinci, centri di scommesse sportive, etc. – sparsi per il territorio nazionale. Una rete estremamente facile da infiltrare per la criminalità organizzata, proprio a causa della sua estensione, che ha innescato un apparente paradosso: comparto legale e illegale hanno finito per alimentarsi a vicenda.

«Da un lato la criminalità propone i propri prodotti illegali, pronta ad aggiornarli – nell’ambito di ben congegnati business plan – al fine di raggiungere un sempre crescente numero di clienti; dall’altro lato lo Stato cerca di arginare tale induzione criminale al gioco d’azzardo clandestino attraverso la legalizzazione dei prodotti di gioco pubblico d’azzardo più semplici, affinché la concorrenza del gioco sicuro sottragga clienti al gioco illegale. Così facendo, però, finisce per ampliare la platea dei potenziali soggetti interessati al gioco tout court, determinando un reclutamento di massa verso tale settore» (5) ha spiegato Giovanni Russo, procuratore aggiunto della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo.

Ad un mercato già considerato “a basso rischio, ed elevato profitto” per le organizzazioni criminali (6), si è affiancata nel corso degli ultimi anni la rete online. A fronte di circa 400 siti legali – con regolare concessione statale – nel periodo 2013-2019 i siti irregolari inibiti dai controllori sono stati circa cinquemila (7). Questo deriva dal fatto che è molto facile aprire un sito internet che non rispetta le prescrizioni vigenti in Italia: basta utilizzare server collocati in Paesi a fiscalità agevolata, spesso non disposti ad offrire collaborazione all’autorità giudiziaria. È puro gioco illegale sui cui canali viaggia un enorme flusso di denaro di provenienza illecita.

Cosa fare dunque? La scorsa estate è stata istituita la Commissione di inchiesta parlamentare sul gioco illegale e sulle disfunzioni del gioco pubblico, con il compito di analizzare le storture dell’attuale sistema. L’attuale governo aveva preso l’impegno, attraverso il NADEF, di presentare una legge delega di riordino nazionale del comparto azzardo collegata alla legge di Bilancio. Impegno al momento disatteso. Di recente il sottosegretario all’Economia con delega ai giochi, Federico Freni, ne ha promesso l’approvazione in Consiglio dei ministri “entro gennaio”.

I punti principali che il legislatore è chiamato ad affrontare sono noti. L’eccessiva offerta di azzardo rende il comparto legale estremamente fragile, facile obiettivo di infiltrazioni criminali, poiché controllare con efficacia e costanza l’attuale rete di vendita è impresa impossibile. Inoltre, l’aver stimolato la domanda di gioco, senza preparare il tessuto sociale all’impatto con forme d’azzardo costruite appositamente per fidelizzare il consumatore, ha ampliato la piaga della dipendenza da gioco d’azzardo: migliaia di persone che si rivolgono tanto al comparto legale che a quello illegale per soddisfare la propria necessità di giocare.

Se oggi l’azzardo è più che mai il gioco delle mafie lo si deve ad una serie di errori commessi in passato. La legge di riordino nazionale è forse l’ultima occasione per prenderne atto, intervenendo non attraverso il proibizionismo, ma tramite un’offerta di gioco realmente sostenibile, che metta al centro la persona, la salute e la sicurezza pubblica e non il gettito erariale, e che tuteli il comparto legale attraverso una riduzione delle sue attuali, eccessive e ingestibili dimensioni.


Note

  1. Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere. Relazione sulle infiltrazioni mafiose e criminali, nel gioco lecito e illecito,approvata il 6 luglio 2016.
  2. Procuratore antimafia: il gioco illegale in Italia vale fino a 20 miliardi di euro, «Il Sole 24 Ore», 8 maggio 2019.
  3. Bankitalia: mezzo miliardo ripulito dalle mafie, «Avvenire», 5 gennaio 2020.
  4. Il gioco d’azzardo in Italia, ricerca dell’Istituto Superiore di Sanità presentata il 18 ottobre 2018.
  5. Lose For Life, Come salvare un Paese in overdose da gioco d’azzardo, «Altreconomia» 2017.
  6. Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere. Relazione sulle infiltrazioni mafiose e criminali, nel gioco lecito e illecito, approvata il 6 luglio 2016.
  7. Libro Blu 2019, Agenzia delle Dogane e dei Monopoli.

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