Qui non si intendono dare consigli preventivamente positivi sul senso di insoddisfazione che si portano dentro coloro che realizzano di aver fallito un obiettivo, una scelta, un progetto lavorativo, una relazione sentimentale, addirittura una vita.
Se tutti falliamo, allora dobbiamo prendere consapevolezza che il fallimento è un’esperienza della vita alla quale non si può sfuggire e che essa, come tale, resiste ad ogni ricetta precostituita che ci prescriva universalmente il modo di accettarlo. Il fallimento, infatti, è vissuto profondamente secondo un personalissimo pacchetto di emozioni, pensieri e riflessioni, e ogni tentativo di schema preconfezionato su come affrontarlo in genere frana per sfiducia e inefficacia.
È acquisizione consolidata che, l’esperienza, prima punisca e poi insegni. Allora perché questa regola non dovrebbe valere anche per il fallimento? Il problema, oggi, è che la società ci “vieta” di fallire, ci somministra schemi di vittoria e, nello stesso tempo, lezioni di vita consolatorie cui adeguarci per non vivere quell’esperienza. Tutto ciò sa molto di tecnico e di poco umano, così come molto tecnica è la parola d’ordine sviluppo, che non prevede né regresso, né fallimento.
Interessante, in questo senso, è il campo giuridico, nel quale vigono le procedure concorsuali, strumenti pensati dallo Stato per rimediare alle conseguenze finanziarie quando una persona giuridica precipita in uno stato di insolvenza e non riesce più a far fronte ai debiti contratti nell’ambito della propria attività di impresa. In tale contesto, lo Stato interviene con una procedura da seguire per arginare lo stato patologico e ripristinare il giusto equilibrio tra le entrate e le uscite, perché il fallimento non deve esistere. L’impresa viene quindi vestita di un modello di ripresa e risanata secondo rigide regole.
E l’animo umano? Anch’esso è un sistema economico da bilanciare perfettamente in entrate e uscite? Lo spirito, la mente, le emozioni siedono sulla bilancia delle perdite e dei guadagni?Come fallire, dunque? Attraversando, senza menzogne, l’insoddisfazione, la frustrazione, il malessere, l’inadeguatezza che ci assalgono dopo un’esperienza fallimentare. Ecco perché è fondamentale l’educazione sentimentale, anche per dare un nome a ciò che proviamo. La maturazione personale non ammette scorciatoie, altrimenti, presto o tardi, il corpo smetterà i panni del personaggio che ci siamo imposti e ci presenterà il conto di tutte le apparenze che abbiamo indossato pur di mascherare i sentimenti negativi dietro ai vuoti modelli di successo-a-tutti-i-costi che la società ci impone. E quasi sempre quel conto è davvero salato.
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