Un popolare sito web elenca 188 film sulla mafia, a cominciare da “La Mano Nera”, di D.W. Griffith del 1906. Con la sua promessa di violenza e la garanzia di buone vendite al botteghino, il concetto di mafia attrae i registi, rendendo straordinariamente popolari i lavori su questo argomento.
Per questo, è tanto più interessante che lo sceneggiatore-regista italo-americano Jonas Carpignano abbia escogitato un nuovo approccio cinematografico al mondo della ‘ndrangheta calabrese, oggi la più potente e ricca organizzazione criminale del mondo.
Dal 7 ottobre è nelle sale A Chiara, già presentato al Festival di Cannes il 10 luglio e, il 18 settembre, al Cinema Palma, nell’ambito dell’annuale Trevignano FilmFest, organizzato da Corrado Giustiniani.
Nelle parole del noto critico newyorkese Charles Bramesco, su The Playlist, in questa e in altre sue “inchieste antropologiche”, Carpignano ha decostruito l’immagine del gangster, “scaricandone tutto il fascino”. Nel film, l’enfasi non è sulla violenza della malavita, ma sui rapporti familiari messi a dura prova dall’appartenenza del padre all’organizzazione. La domanda essenziale è quanto sia importante la famiglia, anche in un contesto mafioso.
Nella storia, ambientata a Gioia Tauro, il padre dell’adolescente Chiara, interpretata dalla sedicenne Swamy Rotolo, è appena scomparso, e in una strada fuori dalla loro casa esplode l’auto di famiglia. Chiara chiede spiegazioni alla madre e alla sorella maggiore che ha quasi 18 anni, ma entrambe eludono le sue domande. Chiara, però, insiste e si mette alla ricerca del padre, cercando di capire perché sia scomparso. Alla fine, verrà a conoscenza dei suoi rapporti con i boss dell’eroina. Da allora, tuttavia, è tale il clamore che solleva che gli assistenti sociali la separano dalla sua famiglia per sistemarla presso una famiglia affidataria nel nord Italia.
Jonas Carpignano, 37 anni, è nato a New York e da molti anni ha fatto di Gioia Tauro la sua casa. Il suo primo cortometraggio, A Chjana del 2011, è stato scelto come miglior cortometraggio alla Mostra del Cinema di Venezia mentre un secondo, A Ciambra del 2013, ha vinto un premio a Cannes. Nel 2015 ha diretto il film Mediterranea. Il lungometraggio A Chiara ha richiesto tre anni di lavoro.
Intervistato da Calabria Diretta News (CDN), Carpignano ha spiegato che in realtà il film non è una storia vera, né una biografia di Swamy Rotolo. Tuttavia, “Quello che vedi è la sua vera famiglia. Le loro relazioni sono reali, inserite in una struttura narrativa fittizia, che ho scritto io”.
Riguardo alla dolorosa separazione della ragazza dalla sua amata famiglia, Carpignano ha sottolineato che, pur comprendendo la legge italiana e l’importanza di spezzare il ciclo di un legame familiare, che è di fatto criminale, dal punto di vista emotivo, “questo rischia di distruggere la famiglia effettiva. È una cosa difficile con cui convivere e mi è sembrato importante descriverlo per discuterne: quali sono le conseguenze emotive dell’allontanamento di un bambino dalla sua famiglia?”.
Nel giornale calabrese è riportato anche un intervento della stessa Swamy, che afferma: “trovo sbagliato separare un bambino dalla sua famiglia solo perché il padre ha commesso degli errori. Se fosse successo a me, sarei scappata dalla famiglia affidataria”.
Jay Weissberg, su Variety, ha scritto che l’attenzione di Carpignano sulla quindicenne Chiara (“una radiosa Swamy Rotolo”) è un modo naturale per preparare le simpatie del pubblico, ma che poi si va ben oltre le facili supposizioni generazionali. Sono infine d’accordo con Weissberg quando aggiunge che questo regista ha “assorbito la lezione da Martin Scorsese: non premettere una posizione di giudizio”.
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