Indifferenza e silenzio imperversano quando si parla di mafie. Per questo motivo è necessario istruire i giovani su un fenomeno criminale che sicuramente metterà in pericolo il loro futuro. L’azione più efficace per evitare questa crisi è nella scuola con percorsi, iniziative, assemblee e non solo nella giornata della legalità o per commemorare le vittime di mafia. È necessario un lavoro in sinergia tra docenti, studenti e formatori di legalità, affinché i giovani comprendano il senso profondo della giustizia e non siano spettatori passivi, ma artefici del loro futuro. Parlarne nelle scuole sia un dovere civico di ognuno di noi.
Questo dovere civico e morale parta dallo Stato (ministero dell’Istruzione) fino ad arrivare all’associazionismo antimafia. I docenti siano formati per poter trattare questi temi. La Stato stanzi una parte dei sui fondi per questa necessaria opera sociale e culturale.
Cosa può fare in concreto un giovane contro le mafie?
1) Confrontarsi con l’altro;
2) Ascoltare senza prevaricare;
3) Costruire rapporti umani basati sul rispetto dell’altro;
4) Uscire dal proprio egoismo;
5) Condividere con gli altri diritti, doveri e responsabilità.
6) Studiare, poiché la cultura è il primo nemico delle mafie.
Questi sono i veri motivi che devono stimolare la nostra gioventù ad iniziare un vero percorso di lotta alla mafia, già in giovanissima età. Il confronto aiuta al dialogo e alla comprensione. L’ascolto senza prevaricazione abitua al vivere civile. I rapporti umani basati sul rispetto dell’altro evitano la discriminazione. Vincere il proprio egoismo significa pensare anche al bene comune e essere consapevoli che non si vive soli ma in una comunità. Condividere diritti, doveri e responsabilità significa diventare cittadini e vivere la collettività. Studiare significa tagliare le gambe alla cultura criminale mafiosa.
Le parole di Peppino Impastato: “La mafia uccide, il silenzio pure”, dovrebbero essere scritte all’ingresso di ogni scuola. “No all’indifferenza, si all’impegno civile”. Per far comprendere alle nuove leve questo messaggio occorre l’impegno di ciascuno di noi non solo a parole ma con i fatti e con gli esempi di vita vissuta sul campo di battaglia della lotta contro le mafie. Occupare il posto riservato ad un disabile è già un comportamento mafioso. Questo cancro in continua metastasi dobbiamo combatterlo insegnando il valore della legge, della verità e della giustizia. L’impegno sia del maestro alle elementari fino al docente universitario. Le famiglie siano coinvolte in questi percorsi affinché possano avere un ruolo attivo ed educativo anche in questi ambiti.
Combattere le mafie vuol dire insegnare ad essere adulti liberi e responsabili in grado di rispettare il prossimo, capaci di esprimere le proprie opinioni liberamente, avere il coraggio di non girarsi dall’altra parte di fronte alle ingiustizie, ai soprusi, alle illegalità. La Stato sia presente con forza nelle zone in cui la mafia è radicata poiché questo farà in modo che anche un ragazzo inerme, in una zona totalmente dominata da un gruppo criminale, possa non girarsi dall’altra parte.
La formazione culturale di uno studente deve essere accompagnata anche dalla cultura dell’antimafia. Dovrebbe partire proprio dal ministero dell’Istruzione una vera campagna antimafia che preveda anche programmi prestabiliti. Bisogna far comprendere loro che le regole, quando sono giuste e rispettano la persona umana, hanno il potere di cambiare una società, ma con la stessa facilità la loro violazione o peggio il messaggio che siano inutili e trasgredibili può distruggerla inesorabilmente. Il peggiore nemico della mafia resta l’istruzione e questo i mafiosi lo sanno bene, perciò vogliono silenzio e ignoranza. Per questo motivo insisto nel ripetere che se ai bambini, sin da piccoli, s’insegnasse cosa sia la mafia, loro la catalogherebbero subito come qualcosa di negativo, imparerebbero a riconoscerla, ad allontanarla e forse un domani a denunciarla. Un maestro può dare l’esempio e spiegare già a quell’età ai ragazzi perché la mafia sia un male. Essere indifferente nei confronti delle mafie vuol dire essere già mafioso. Tutte le vittime di mafia, nessuna esclusa, con il loro coraggio non hanno taciuto, hanno combattuto a viso aperto, hanno denunciato, hanno urlato, hanno rotto quel silenzio e quell’indifferenza che ancora oggi sono la vera grande forza delle nuove mafie.
*L’autore è giurista e criminologo. Associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). Ricercatore dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra.
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