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Definire la sessualità non è facile poiché si tratta di un aspetto molto rilevante della personalità, influenzato da numerosi fattori biologici, psicologici, sociali, etici, storici, religiosi, spirituali che incidono su emozioni, relazioni e comportamenti di ciascuno di noi. La sessualità, infatti, va ben oltre la riproduzione e può presentarsi con varie e diverse forme.

Credo sia utile iniziare dal sesso biologico, detto anche anagrafico.

Gli esseri umani, appena nascono, vengono subito suddivisi in maschi oppure in femmine sulla base delle caratteristiche anatomiche degli organi genitali. Questa suddivisione di massima, sicuramente pratica, non è però sufficiente poiché il nucleo centrale della identità di una persona è la sua identità di genere.

L’identità di genere è la percezione di se stessi, del proprio sesso e delle proprie tendenze sentimentali e sessuali che possono non coincidere con il genere dei propri organi genitali e le loro funzioni. Identificarsi come maschio o come femmina è qualcosa che coinvolge tutto l’organismo, riflettendosi così su pensieri e comportamenti.

L’identità di genere prende forma nei primi 3-4 anni di vita principalmente sulla base del sesso biologico e successivamente sulla base delle relazioni tra il bimbo e principalmente i propri genitori, i quali, attraverso messaggi che possono essere consci ma anche inconsci, verbali o non verbali, confermano la sua appartenenza al genere maschile o al genere femminile.

Il sesso di ciascuno di noi viene determinato dai geni, microscopiche sequenze di DNA che portano le informazioni per la trasmissione di caratteristiche ereditarie.

Ad eccezione dei globuli rossi, elementi del sangue privi di nucleo, tutte le cellule del nostro organismo, proprio nel nucleo, struttura sferica differenziata e molto complessa, ospitano 46 cromosomi (23 ereditati dalla madre e 23 ereditati dal padre).

I cromosomi, come si nota osservandoli al microscopio, sono organuli simili a bastoncini, contengono DNA e – nel processo della fecondazione – si accoppiano tra simili, cioè tra tipi corrispondenti del padre e della madre, formando 23 coppie.

Dei 46 cromosomi totali che formano 23 coppie per ciascuna cellula, 44, quindi 22 coppie, non partecipano alla determinazione del sesso, ma intervengono nello sviluppo di altre caratteristiche e funzioni.

Per caratterizzare sessualmente un individuo è necessaria un’unica coppia formata da cromosomi dissimili, precisamente i cromosomi sessuali X e Y, così definiti per la loro forma che ricorda due lettere dell’alfabeto greco, i quali trasmettono indicazioni genetiche specifiche.

La coppia di cromosomi sessuali può essere formata da due cromosomi identici oppure differenti. Pertanto, se la coppia comprende due cromosomi X, si formerà un individuo di genere femminile, mentre se un cromosoma X si accoppia con un cromosoma Y, si formerà un individuo di genere maschile.

Gli uomini, pertanto, hanno un cromosoma X ed uno Y, mentre le donne due cromosomi X.

Il cromosoma Y, che è esclusivamente maschile, è responsabile dello sviluppo dei testicoli, mentre il cromosoma X, è coinvolto principalmente nello sviluppo dei caratteri sessuali secondari.

I caratteri sessuali secondari costituiscono le differenze di morfologia tra individui della medesima specie ma di genere diverso, e nel loro insieme, costituiscono il cosiddetto dimorfismo sessuale.

In tutti gli embrioni umani, circa 30 giorni dopo la fecondazione, si sviluppa una gonade primordiale bipotente, un organo in grado di differenziarsi intorno al secondo mese di gestazione, se il cromosoma Y è presente, in due testicoli che sono le gonadi maschili (produrranno spermatozoi), mentre se il cromosoma Y è assente, la gonade primordiale si trasformerà in due ovaie, cioè nelle gonadi femminili che produrranno uova.

Con una buona dose di prudenza si potrebbe affermare che la natura tende alla femminilità.

Ad ogni modo, per essere di sesso maschile i testicoli non bastano poiché sono necessari anche un pene e una prostata, come per essere donna non bastano le ovaie ma c’è bisogno di un utero e di una vagina.

Le diversità tra uomini e donne non si limitano certo solamente agli organi della riproduzione. Le differenze esteriori che fanno parte del dimorfismo sessuale si rivelano nel corso dell’adolescenza e non sono direttamente implicate nella riproduzione.

Le differenze più rilevanti sono, per gli uomini, l’aumento della massa muscolare che comporta un peso maggiore a cui contribuiscono anche le maggiori dimensioni dello scheletro, il cambiamento della voce, che va assumendo una tonalità più bassa, e la comparsa della barba e di una peluria generale più ispida di quella femminile. Per le donne, l’ingrossamento delle mammelle, l’allargamento del bacino, l’accumulo sottocutaneo di adipe in determinate zone (in particolare mammelle, bacino, braccia e cosce), la comparsa di peluria più fine e rada rispetto a quella maschile, una voce più acuta.

Durante lo sviluppo psicofisico nel corso dell’adolescenza, si vanno manifestando sensazioni, desideri, fantasie e comportamenti sessuali variamente influenzati dalla cultura, dall’educazione familiare, dal contesto sociale e soprattutto dal proprio orientamento sessuale che può essere definito come attrazione emozionale, romantica e/o sessuale verso individui dello stesso genere oppure di sesso diverso.

Il desiderio sessuale, cioè il desiderio di avere un rapporto di intimità fisica con conseguente piacere sessuale, è parte fondamentale della fisiologia sessuale e può comportare un rilevante aspetto emotivo che può esprimersi con profondi sentimenti.

Tutte le diverse tipologie di orientamento sessuale sono forme con le quali gli esseri umani intrecciano legami affettivi del tutto “naturali” come sono naturali quelli eterosessuali.

L’orientamento sessuale può essere:

Eterosessuale, quando il rapporto amoroso e/o di attrazione fisica riguarda due persone di sesso diverso. La maggior parte degli esseri umani sono eterosessuali.

Omosessuale, quando nel rapporto sono coinvolte due persone del medesimo sesso.

Bisessuale, quando si avverte un sentimento amoroso e/o attrazione fisica nei confronti sia delle donne sia degli uomini.

Transgender, persone che appartengono ad un preciso sesso biologico nel quale, però, non sono a proprio agio. Esse, infatti, sentono di far parte del genere che non corrisponde alle caratteristiche anatomiche del proprio corpo e, di conseguenza, anche la loro identità di genere – dunque il loro atteggiamento sociale e sessuale – è diversa da quella del sesso attribuito alla nascita. I transgender non si identificano interamente né con il sesso maschile né con quello femminile: la loro è una identità che è stata definita fluida e oscilla tra il maschile e il femminile.

Esiste anche una rara condizione biologica di intersessualità che riguarda coloro che hanno cromosomi sessuali, ormoni e apparato genitale che non appartengono esclusivamente al genere maschile o a quello femminile.

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La sessualità è una qualità innata ed essenziale di tutti gli esseri umani e l’omosessualità, come la eterosessualità, può esprimersi in una grande varietà di modi nel corso della vita di una persona.

Come già detto, l’omosessualità è il desiderio di costituire un legame affettivo e/o erotico tra adulti dello stesso sesso. Esiste comunque una omosessualità a tempo, per così dire, indotta da particolari circostanze, come si può verificare ad esempio nelle carceri, negli eserciti, o in altre condizioni. In questi casi si tratta di comportamenti occasionali e transitori poiché chi è eterosessuale ritornerà ad esserlo non appena le condizioni lo permetteranno, mentre chi è omosessuale rimarrà omossessuale.

Numerosissimi studi clinici indicano che l’omosessualità è costituzionale come lo è la eterosessualità; dunque, è un orientamento sessuale involontario inevitabile.

La scienza ha scoperto a cosa possa essere attribuibile questa “naturalità”?

Studi e ricerche su famiglie e gemelli dimostrano che esistono cause genetiche e cause ereditarie e indicano che l’omosessualità è presente fin dalla primissima infanzia.

È stato rilevato, infatti, che ci sono bambini dai 3 ai 5 anni di età che vanno assumendo caratteristiche del genere opposto. Ad esempio, i maschietti dimostrano una sensibilità accentuata e uno scarso o addirittura assente interesse per giochi e sport aggressivi, mentre talune bimbette, decisamente inclini alla competizione, rifiutano di giocare con le bambole e con gli animali di peluche preferendo nettamente lotte e ruoli di potere.

Nel 1991 lo scienziato statunitense Simon Le Vay dichiarò di avere scoperto il substrato biologico della omosessualità nell’ipotalamo, la piccola formazione del sistema nervoso centrale posta centralmente in profondità tra i due emisferi cerebrali. Grande non più di una mandorla, l’ipotalamo è formato da tre gruppi di cellule nervose (neuroni) che regolano varie e diverse funzioni biologiche come l’attività del sistema nervoso e quella cardiaca, la produzione di ormoni, l’alternanza del sonno e della veglia, l’appetito, la sete, la termoregolazione etc., e anche la sessualità.

Le Vay analizzò 41 cervelli estratti da cadaveri di due gruppi di persone: uno di uomini eterosessuali, e l’altro di donne e omosessuali. Le Vay notò che i neuroni di una precisa area dell’ipotalamo anteriore erano notevolmente più grandi negli eterosessuali maschi rispetto a quelli corrispondenti del cervello delle donne e degli omosessuali.

Questa scoperta venne accolta dalla comunità scientifica come prova di diversità biologica tra maschi e femmine, includendo gli omosessuali in quest’ultima categoria.

I risultati di quello studio, benché importanti, si sono rivelati insufficienti per spiegare l’orientamento sessuale nella sua complessità, come del resto non può essere sufficiente nessun fattore preso singolarmente.

Per quanto riguarda le cause genetiche, diversi studi hanno evidenziato che nelle coppie di gemelli omozigoti (quelli quasi identici e del medesimo genere) la proporzione degli omosessuali è maggiore rispetto a quanto rilevato nei gemelli dizigoti (i cosiddetti gemelli fratelli che possono essere dello stesso sesso oppure di sesso diverso e magari non essere neanche troppo somiglianti).

È anche emerso che, rispetto agli eterosessuali, gli omosessuali hanno più fratelli gay o bisessuali.

Questi studi indicano che, nel genere umano, l’omosessualità, oltre che costituzionale è anche ereditaria ed è anche ipotizzabile che la ereditarietà possa esercitare una certa influenza su fattori neuro-ormonali.

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Il termine “omofobia” è stato coniato dallo psicologo statunitense George Weinberg agli inizi degli anni Settanta del secolo scorso e si riferiva al “terrore” di trovarsi vicino ad un omosessuale. Successivamente, e ancora oggi, questa parola indica l’atteggiamento ostile della società e/o dei singoli verso persone omosessuali.

Anomalia, vizio, dissolutezza, devianza, corruzione, depravazione, comportamento contro natura, crimine e così via,  sono definizioni decisamente offensive adoperate comunemente per etichettare la omosessualità, in particolare maschile, probabilmente perché quella femminile è sempre stata più discreta, più taciuta e nascosta, insomma caratterizzata da una specie di invisibilità sociale.

Certi fattori culturali sono in grado di “facilitare” oppure di “inibire” le espressioni del comportamento sessuale influenzando così la percezione che gli omosessuali hanno di se stessi e il modo di esprimere il loro comportamento sessuale.

Nella nostra società occidentale si registra ancora – e anche piuttosto spesso – la paura e il disprezzo per tutto ciò che viene percepito “femminile”, o meglio “effeminato”, negli uomini; sono i maschi omosessuali che di solito vengono percepiti così da eterosessuali e da donne a causa del loro desiderio di intrecciare relazioni sentimentali e/o sessuali con altri uomini.

Di conseguenza, tanto più un uomo omosessuale apparirà femminile/effeminato tanto più produrrà negli eterosessuali atteggiamenti derisori quando non ostili o aggressivi.

È anche vero che, oltre ai tratti fisici, anche ai tratti del carattere associati alle donne, se percepiti in un maschio, si attribuisce spesso una cifra negativa. Lo stesso, ma al contrario, accade per le donne omosessuali a cui vengono attribuite di solito le caratteristiche classiche degli uomini.

Ai gay vengono inoltre attribuite sottomissione e passività per natura. Ovviamente si tratta di pregiudizi dovuti alla primitiva e rocciosa convinzione che attività, potere, comando siano simboli di mascolinità.

La nostra società continua, inoltre, a magnificare l’idea che è sano ciò che consente una integrazione sociale, pertanto si tende ad incoraggiare negli omosessuali, che quindi sono di solito considerati anormali proprio perché non sono eterosessuali, un comportamento socialmente accettabile basato soprattutto su un elevato livello di ipocrisia e sul riserbo assoluto circa il proprio orientamento sessuale.

Tutto ciò è comunque un aspetto di come la nostra società sia ancora pervasa da un considerevole livello di omofobia che non è altro se non un vero e proprio pregiudizio sociale.

Nel 1905, Sigmund Freud, in una intervista in difesa degli omosessuali pubblicata sul quotidiano «Die Zeit», dichiarò: «Io ho la ferma convinzione che gli omosessuali non debbano essere trattati come persone malate, dal momento che un orientamento perverso è assai lontano da una condizione di malattia. Ammiriamo studiosi, pensatori, scienziati di cui abbiamo notizie certe circa la loro sessualità e possiamo per questo considerarli malati?».

Nel 1915, nel saggio «Pulsioni e loro destini», Freud scrisse che «la indagine psicoanalitica si rifiuta con grande energia di separare dalle altre persone gli omosessuali come gruppo di specie “particolare”».

Nel 1930, inoltre, il fondatore della psicoanalisi firmò un appello rivolto al Reichstag (parlamento tedesco) per l’abrogazione di quella parte del codice penale tedesco che, dal 1871, criminalizzava l’omosessualità e i rapporti omosessuali con la seguente motivazione:

 «Nel corso di tutta la storia e fra tutti i popoli l’omosessualità è sempre esistita. L’inclinazione sessuale degli omosessuali gli è tanto propria quanto quella degli eterosessuali. Questa legge presenta una grandissima violazione dei diritti umani in quanto non riconosce negli omosessuali la loro sessualità sebbene gli interessi di terzi non siano violati. Gli omosessuali devono adempiere agli stessi doveri civili come chiunque altro».

Nel 1973 la American Psychiatric Association ha cessato di considerare l’omosessualità una patologia o un disturbo della personalità, eliminando il termine “omosessualità” dalla III edizione del DSM («Manuale diagnostico e statistico dei disturbi psichici»).

Questa storica decisione è certamente anche frutto dei cambiamenti del clima culturale che dal 1987 ha portato a considerare l’omosessualità una delle varianti non patologiche dell’orientamento sessuale con radici biologiche costituzionali che, manifestandosi fin dalla primissima infanzia, hanno contribuito a renderla più “naturale”.

L’accettazione delle proprie tendenze, viverle senza vergognarsene, è un percorso difficile e faticoso e lo è ancora di più se l’orientamento sessuale viene percepito dalla società, o meglio da una parte di essa, come qualcosa di perverso, peccaminoso, anomalo che meriterebbe un castigo.

Malgrado persistano ancora tanti pregiudizi, bisogna riconoscere che, come si registra specialmente nelle grandi città occidentali, sta aumentando la tendenza a considerare l’omosessualità maschile e femminile una delle tante espressioni della sessualità umana. Si tende anche a ritenere retrogrado e dannoso deridere, insultare, allontanare, isolare coloro che non sono conformi agli standard tradizionali, anche a quelli sessuali.

Dagli ultimi decenni del XX secolo si va registrando, insieme ad una crescente tolleranza, la necessità di riconoscere parità di diritti ai cittadini omosessuali anche grazie alla vasta rete di organizzazioni che, in sostegno dei diritti delle persone LGBT (Lesbiche, Gay, Bisessuali e Transessuali), hanno favorito non soltanto il divieto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sulla identità di genere, ma anche il riconoscimento e la legislazione che riguarda le unioni tra persone del medesimo sesso.

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A questo punto vorrei fare un po’ di chiarezza su quanto malauguratamente ed erroneamente viene spesso attribuito agli omosessuali maschi, cioè la tendenza alla pedofilia.

La pedofilia consiste nell’avere una forte attrazione erotica con eventuali comportamenti sessuali intensi e ricorrenti nei confronti di bambini.

La pedofilia è una anormalità psichiatrica che, insieme ad altre anormalità, fa parte delle parafilie (in greco = accanto all’amore) che in sostanza sono fantasie e comportamenti sessuali atipici, non convenzionali che si discostano da interessi e comportamenti sessuali abituali considerati normali.

Per il Codice penale italiano la pedofilia è una parafilia perseguibile penalmente quando si traduce in uno o più atti commessi da chiunque che, con violenza o minacce oppure mediante abuso di autorità, costringe un minore di età inferiore o pari a 14 anni a compiere o subire atti sessuali.

È stato rilevato da numerosi studi che depressioni e/o dipendenze da sostanze varie sono frequenti in individui pedofili, come anche risultano frequenti i disturbi dovuti a personalità antisociali (sociopatie) e/o ad un passato di abusi sessuali di cui il pedofilo sia stato vittima negli anni dell’infanzia e dell’adolescenza.

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In conclusione, l’omosessualità non è una patologia né fisica né psichiatrica, pertanto non c’è nessun motivo che giustifichi atteggiamenti ostili, disprezzo, paura, repulsione nei confronti delle persone omosessuali.

* Fisiologia umana, Università di Roma, La Sapienza.

© Sintesi Dialettica – riproduzione riservata

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