La componente femminile nella popolazione penitenziaria è minoritaria rispetto a quella maschile. Ridotto è il numero delle donne che delinquono e, tra queste, quelle che fanno ingresso in carcere.
L’«Associazione Antigone» ha redatto il Primo Rapporto sulle donne detenute in Italia, «Dalla parte di Antigone».
I dati emersi al 31 gennaio 2023 attestano come le donne detenute rappresentino soltanto il 4,2% della popolazione carceraria: «Nonostante la riforma dell’ordinamento penitenziario (ottobre 2018) abbia introdotto all’art. 14 l’esplicita specificazione che le donne ospitate in apposite sezioni devono essere “in numero tale da non compromettere le attività trattamentali”, si continua ad andare dalle 114 presenze femminili nel carcere milanese di Bollate o dalle 117 nel carcere di Torino alle 5 di Mantova, le 4 di Paliano, fino alle 2 di Barcellona Pozzo di Gotto, numeri piccolissimi risalenti nel tempo».
Gli istituti penitenziari sono pensati e strutturati in funzione della componente maschile, di gran lunga preponderante per numero e spessore criminale.
Nella stragrande maggioranza dei casi, pertanto, le donne vengono escluse dalle attività di socializzazione e dai programmi trattamentali, per motivi organizzativi e di sicurezza.
La condizione femminile in carcere appare oltremodo afflittiva anche alla luce della drammatica realtà di abusi e violenza da cui la maggior parte delle detenute proviene e che, sovente, è direttamente o indirettamente all’origine del reato compiuto: «a popolare gli istituti di pena sono prevalentemente donne che hanno subito episodi di violenza e abusi nell’infanzia e che, a differenza degli uomini, di quella violenza sono state vittime anche da adulte, nell’ambito familiare o di un rapporto di coppia».
Inoltre, tra le detenute vi sono moltissime donne straniere, sradicate dal contesto familiare e sociale di provenienza, senza una dimora di riferimento, frequentemente portatrici di una cultura di nomadismo e comunque con un livello di bassa scolarizzazione.
Tutte queste circostanze, inoltre, provocano unforte disagio psichicoche, come sottolinea Antigone, «appare più significativo rispetto a quello che provano gli uomini».
Il numero di donne con diagnosi psichiatriche gravi è superiore rispetto a quello degli uomini. Sono frequenti gli atti di autolesionismo e drammatico il numero dei suicidi totali registrati lo scorso anno: nel 2022 sono 84 le persone che si sono tolte la vita all’interno di un istituto di pena, tra loro, 5 erano donne, di cui 3 straniere.
Il problema centrale della detenzione femminile, tuttavia, è sempre quello relativo ai figli, che presenta due contrapposte esigenze: quella di tutelare i minori dall’ambiente carcerario e la necessità di consentire agli stessi di crescere con le loro madri. La questione ha anche ripercussioni culturali e sociali, poiché è ancora diffuso il pregiudizio secondo il quale una donna che delinque sia una cattiva madre. In questi casi, la donna sconta una doppia pena per aver violato la legge scritta dagli uomini e quella decretata dalla natura.
Una parte del rapporto di Antigone, inoltre, è dedicata alle donne trans presenti nelle carceri italiane; si tratta dicirca 70 persone ospitate in apposite sezioni protette all’interno di istituti maschili che vivono condizioni di isolamento e scarsa, se non assente, partecipazione alle attività di socializzazione o ricreative.
L’associazione ha stilato una lista di possibili proposte per migliorare la vita delle detenute, tra le quali l’istituzione di un ufficio che si occupi di detenzione femminile nel Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e la promozione di azioni positive dirette a rimuovere gli ostacoli all’accesso al lavoro, all’istruzione, alla formazione professionale.
Da non sottovalutare le questioni riguardanti gli stereotipi di genere: le pratiche messe in atto nelle strutture detentive promuovono ancora un’identità appiattita sul ruolo materno e sulle attività tradizionalmente associate al genere femminile. Fortunatamente, anche in conseguenza delle istanze provenienti dal diritto e dalle organizzazioni internazionali, è ormai diffusa la consapevolezza della necessità di garantire modalità di esecuzione della pena che abbiano riguardo alla specificità della detenzione femminile anche mediante l’ausilio della mediazione culturale e di buone prassi volte al recupero ed al reinserimento sociale e umano delle donne. Già la relazione «Women in Prison and the Children of Imprisoned Mothers» redatta dal Quaker Council for European Affairs e Quaker United Nations Office del 2007, dava atto che «Women and man are different. Equal treatment of men and women does not result in equal outcomes» e che le prigioni sono organizzate in tutto il mondo con regole funzionali alla maggioranza degli uomini detenuti e non ai bisogni e alle esigenze delle donne.
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