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Con «La caduta», Camus pone dolorosi interrogativi sul rapporto tra singolo e collettività, e costringe il lettore a riflettere sul senso della vita.

La voce narrante è quella di Jean-Baptiste Clamence, un famoso avvocato parigino, che all’apice della sua carriera sceglie di esiliarsi ad Amsterdam. 

L’esilio è un tema ricorrente nelle opere di Camus. Nel 1942, il filosofo pubblica «Lo straniero», romanzo che affronta il senso di alienazione, di estraneità dell’uomo rispetto alla società. 

Nato in Algeria ma francese per nazionalità, Camus è «straniero a tutto. Alla sua terra d’Algeria che lo considera straniero, alla Francia che lo considera algerino». Camus si sentì per tutta la vita un esule, straniero in terra straniera. Nel 1956, quattro anni prima dell’incidente stradale che lo portò alla morte, Camus pubblica «La caduta». Nel 1957 vinse il Premio Nobel per la letteratura.

Il racconto si sviluppa attraverso un lungo monologo interiore con un passante che il protagonista incontra in un locale di Amsterdam. Di questo misterioso interlocutore, al lettore non è dato conoscerne il nome e l’aspetto, non ha un’identità ben precisa, e questa scelta dell’autore dà l’impressione che l’antieroe di Camus si rivolga direttamente al lettore. 

Clamence ripercorre la sua vita, i suoi successi lavorativi, le sue relazioni amorose, vuote, aride, superficiali, le sue amicizie: si descrive come un uomo generoso, altruista, stimato da tutti. Questa nobiltà d’animo, tuttavia, è soltanto maschera, ed è lo stesso Clamence a confessare la sua vanità, l’egocentrismo e l’egoismo che si nascondevano dietro ogni sua azione: «Ho capito che la modestia mi aiutava a brillare, l’umiltà a vincere e la virtù a opprimere». 

Clamence è un uomo che lascia cadere la maschera dell’ipocrisia e si guarda allo specchio, ma ciò che vede lo fa rabbrividire. Nella scrittura di Camus si percepisce con forza l’influenza di Dostoevskij; Clamence ha una parentela spirituale con l’uomo del sottosuolo, si confessa con la stessa sincerità disarmante dell’uomo dostoevskiano, ciò provoca nel lettore un senso di stupore, di sbigottimento. 

Lo stile incalzante ma anche fortemente provocatorio di Camus pungola il lettore, spingendolo a mettere in discussione le fattezze della società moderna, a confrontarsi con la crudeltà dell’uomo che spesso prova piacere nel giudicare i suoi simili. Il protagonista della Caduta non a caso si definisce un giudice-penitente: «Poiché non potevamo condannare gli altri senza nel contempo giudicare noi stessi, dovevamo infierire su di noi per avere il diritto di giudicare gli altri».

Clamence è l’alter ego di Camus, non perché lo scrittore francese condivida con la sua creatura una personalità istrionica, ma perché Camus, proprio come Clamence, si pone interrogativi ignorati dai più. La consapevolezza della propria falsità non porta Clamence ad alcuna forma di redenzione. Camus, invece, dal canto suo, comprende «quanto l’uomo sia alieno a se stesso e riesce allo stesso tempo a non essere schiacciato, annichilito da questa presa di coscienza, tutt’altro, riesce a capire che è condizione essenziale perché la vita abbia dignità».

La scrittura, per Camus, è una forma di resistenza, di analisi interiore, che a sua volta si traduce in un impegno morale e civile. Come? Prendere coscienza delle contraddizioni della società, descriverne e mostrarne, attraverso la scrittura, le ombre, significa contribuire a migliorarla. 

Le citazioni sono tratte dall’edizione digitale Bompiani, del 2019. 

© Sintesi Dialettica – riproduzione riservata

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