È estate, agosto precisamente, mi trovo su una nave che sta attraversando lo Stretto di Messina, il braccio di mare che separa la Sicilia dalla Calabria e collega il mar Tirreno con lo Jonio.
Sono sul ponte della nave affacciata alle sue ringhiere per guardare lo splendido panorama. Fa caldo ma non è sgradevole, perché la nave è piuttosto veloce e c’è vento. Il mare è bellissimo, trasparente, il suo colore va dall’azzurro intenso ad un blu quasi viola. È una visione alla quale non è possibile rimanere insensibili.
Mentre guardo giù, vedo, in parallelo con la nave, appena sotto la superficie del mare, una specie di siluro nero velocissimo. Non so cosa sia, ma mi fa pensare a qualcosa di pericoloso.
Continuo a guardare, sta rallentando la sua corsa ma continua a mantenere la sua direzione. All’improvviso quel “siluro” emerge fuori dall’acqua con la testa e con un guizzo solleva parecchia spuma.
È un pesce spada. La spada è evidente, parte dalla bocca ed io, con tutti gli altri viaggiatori, mettiamo da parte ogni preoccupazione. Un marinaio della nave passando sorride e ci dice: «siamo in estate, li vediamo ogni giorno, è il tempo della riproduzione».
Dopo aver esibito la sua parte anteriore, il pesce riprende a nuotare veloce e ogni tanto rallenta come se volesse pavoneggiarsi sapendo di essere osservato. All’improvviso, dopo una rapida giravolta, sparisce in verticale sott’acqua.
Aspettiamo, tutti vogliamo vederlo ancora, ma perdiamo ogni speranza quando il marinaio ci avvisa che il pesce è sparito per andare a pranzo dove si trovano i suoi “piatti” preferiti a 400 metri di profondità.
Ci ritiriamo in silenzio, la nave sta per arrivare al porto di Messina e dobbiamo prepararci a scendere.
È stata l’unica volta che ho visto un esemplare di questi predatori e, a distanza di diversi anni, ho desiderato raccontare questa esperienza arricchendola con diverse notizie che ho trovato su libri e riviste scientifiche delle biblioteche della mia Università, La Sapienza di Roma.
Fino a pochissimo tempo fa, il pesce spada per me rappresentava soltanto uno dei piatti più conosciuti e apprezzati della tradizione culinaria dell’Italia meridionale in particolare “U’ Spada cu sarmurigghiu” – ovvero un trancio di pesce tagliato dalla ventresca, cotto alla brace e condito con una salsina leggera.
Le carni della ventresca – ossia della pancia – sono le più tenere e pregiate del pesce, da condire con una salsina, il tanto apprezzato salmoriglio, in dialetto “sarmurigghiu”, che secondo la tradizione calabro-sicula, è l’accompagnamento migliore per una fetta di pesce spada cotta alla brace.
Il pesce spada visto dalla scienza
Carl Nilsoon Linnaeus – conosciuto anche come Carl von Linné o Carolus Linnaeus nella forma latinizzata e in italiano Carlo Linneo -, medico, botanico e naturalista svedese di Uppsala, dopo aver ricevuto un titolo nobiliare dal re Adolfo Federico di Svezia, del quale era medico, introdusse, nel 1753, un modello di origine aristotelica per la classificazione scientifica di piante e animali, la “nomenclatura binomiale”.
Secondo questo sistema, in uso anche oggi, ad ogni vegetale e ad ogni animale viene attribuita una coppia di nomi, BINOMIO GENERICO-SPECIFICO generalmente in latino e/o in greco. Il primo nome è riferito al genere di appartenenza (nome generico) mentre il secondo descrive la specie (nome specifico).
Nel 1758, Linneo diede al pesce spada il nome di XIPHIA GLADIUS.
Entrambi i nomi, il primo greco e il secondo latino, significano “spada” ed è verosimile che Linneo, scegliendo due termini con il medesimo significato, abbia voluto enfatizzare la particolare caratteristica di questo pesce, appunto la spada.
“Lo spada” (si può chiamare anche così) è un pesce marino lungo da 3-5 m e con un peso che può superare i 400 kg. Ha uno scheletro osseo che nell’embrione è cartilagineo, ma si ossifica successivamente con la crescita.
La spada ossea, piatta e con i bordi molto taglienti, lunga più o meno 1 m e qualche decina di cm, grosso modo 1/3 della lunghezza del corpo, è la sua caratteristica più tipica.
La struttura si forma per effetto del notevole allungamento della mascella, l’osso dove sono inclusi i denti superiori. Anche la mandibola, osso dove sono inclusi i denti inferiori, cresce e si allunga, ma molto meno.
Il pesce, giunto a maturità, intorno a 3/4 anni, perde denti e squame e, non potendo masticare, può soltanto ingoiare porzioni di cibo di grandezza opportuna, ottenute da colpi e tagli inferti dalla spada.
La spada viene adoperata anche a scopo difensivo contro gli attacchi dei suoi predatori, le orche e alcune specie di squali.
Il pesce spada non ha polmoni, respira con le branchie che si trovano dietro agli occhi ai lati del capo.
Le sue prede preferite sono le aringhe, i merluzzi, i polpi, i calamari, i crostacei e alcuni tipi di pesce azzurro: sgombri, sardine e alici.
Lo spada ama la solitudine, infatti nuota quasi sempre in solitaria e in alto mare. È molto raro vederlo in gruppo ma, soprattutto da aprile a luglio, quando si riproduce, è possibile vederlo nuotare in coppia, spesso in acque costiere dove le femmine mature (normalmente più lunghe e pesanti dei maschi) vengono spesso stimolate dai maschi con urti ed inseguimenti fino a quando depongono in acqua una rilevante quantità di uova (fino a 800 mila).
Ciascun uovo, lungo 2 mm, è dotato di una goccia di sostanza oleosa che ne favorisce il galleggiamento, dunque si tratta di uova “pelagiche”, ovvero galleggianti sulla superficie del mare, anche per via del loro peso specifico che è inferiore a quello dell’acqua marina.
Dopo che le femmine rilasciano le loro uova, i maschi inondano la zona con il liquido spermatico.
Una sorta di attrazione biochimica tra uova e spermatozoi determina la fecondazione esterna, ovvero fuori dal corpo materno di questi pesci.
Dal momento della schiusa, le larve, già lunghe 4 mm e molto diverse dagli esemplari adulti, andranno incontro ad una crescita molto rapida con una aspettativa di vita di 9-10 anni, salvo “intoppi”.
Oltre alla spada ossea, un’altra rilevante peculiarità del pesce spada è la temperatura dei suoi grandi occhi e del cervello, che è più elevata di 10-15 gradi centigradi rispetto a quella del resto del corpo, la quale corrisponde a quella ambientale.
Il pesce spada, come orche, squali e tonni, appartiene alla categoria dei grandi predatori marini che vedono distintamente le loro prede anche in acque profonde centinaia di metri, dove il buio è quasi assoluto e le temperature sono di pochi gradi centigradi.
Come si può produrre un calore così selettivo da coinvolgere non tutto il corpo, ma solamente occhi e cervello?
È possibile grazie a una striscia di tessuto vascolarizzato che si trova dietro gli occhi, specializzato nell’assorbimento del calore: è il “processo falciforme” che, essendo connesso strettamente con i muscoli oculari, isola e riscalda gli occhi e il cervello.
Mediante esperimenti effettuati su questi animali da studiosi dell’Università del Queensland (Australia), del National Marine Fischerie (Polonia) e dell’Università di Lund (Svezia), è stato scoperto che l’aumento della temperatura oculare velocizza la captazione degli stimoli luminosi dell’ambiente, ovvero le immagini, comprese le prede, da parte della retina, la struttura membranosa dell’interno dell’occhio, che li trasforma in segnali elettrici.
Le immagini, trasformate in impulsi elettrici, raggiungono, mediante il nervo ottico, le strutture cerebrali che hanno la funzione di interpretarli.
Grazie a questi studi è stato anche scoperto che l’aumento della velocità della risposta agli stimoli provenienti dalla retina va a tutto vantaggio dei predatori che possono così intercettare e colpire più facilmente le loro prede.
Questo importantissimo lavoro di ricerca è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica «Current Biology», l’11 novembre 2005, a firma degli stessi scienziati: Kerstin Frishes, Richard Bill, Eric Warton.
Quando lo spada si inabissa in cerca di cibo – dove la temperatura del mare è di pochi gradi – subisce un rapido raffreddamento di tutto il corpo mentre il cervello e gli occhi mantengono la loro temperatura più alta di 10-15° C, rispetto al resto del corpo e dell’ambiente, garantendo malgrado il buio quasi assoluto, una visione acuta in bianco e nero dovuta ai bastoncelli, ma quasi del tutto priva di colori per la scarsità numerica dei coni. Bastoncelli e coni sono le cellule nervose della retina specializzate nella visione.
Il corpo dello spada è protetto dal freddo gelido delle profondità marine da un mantello detto “blubber”, formato da grasso e fibre elastiche. Soltanto le pinne vengono riscaldate da un sistema di vasi all’interno dei quali si realizza uno scambio di calore in controcorrente tra il sangue arterioso caldo per via della contrazione dei loro muscoli e il sangue meno caldo delle vene che scorre in direzione opposta, verso il cuore.
La vicinanza di arterie e vene, spesso a stretto contatto, fa sì che una quota del calore del sangue arterioso si trasferisca a quello venoso, consentendo così alle pinne di rimanere calde senza bisogno della difesa termica del blubber.
La pesca del pesce spada
La pesca del pesce spada ha origini molto lontane.
Già si effettuava nel I secolo a.C., come testimonia Polibio, storico della Grecia conquistata dai Romani, il quale nei suoi libri di storia – «Pragmateia» – racconta di aver assistito all’avvistamento e alla cattura di questo pesce mentre si trovava sulle coste di Scilla, suggestivo borgo marinaro ancora esistente sulla costa calabra.
Polibio ha raccontato come si svolgeva la pesca di questo pesce. Un pescatore doveva raggiungere la sommità del promontorio di Scilla a picco sul mare dello Stretto di Messina. La sua funzione di “vedetta” prevedeva che non appena avesse individuato la sagoma del pesce in mare, avrebbe dovuto subito avvisare gli altri pescatori che occupavano con le barche le zone vicine.
Lo spada veniva rincorso con le barche a remi ed arpionato su un fianco con velocità e destrezza.
Da quel tempo, le modalità della pesca si sono evolute soprattutto con la creazione delle “feluche”, barche di legno leggero lunghe 5-7 m, certamente più adatte a rendere più fruttuosa la cattura di questo pesce.
Le feluche, qualche decennio fa, sono state dotate di motore e di strumentazioni moderne, diventando grossi pescherecci; tuttavia, sono rimaste la torretta di avvistamento e la passerella. La torretta di avvistamento è di metallo ed è alta 20-22 metri. In cima viene fissata una piccola piattaforma, la coffa, che verrà occupata da una “vedetta”, un marinaio dell’equipaggio, che appena avvista il pesce deve comunicare immediatamente la posizione e la eventuale direzione di nuoto dell’animale, all’arpionatore, dotato di eccezionali vista ed equilibrio: non deve oscillare in piedi sulla passerella di legno a prua della feluca.
Da questo momento la barca accelera, inseguendo il pesce che nuota a grande velocità (90-100 km/h) in modo che l’arpionatore lo colpisca, lanciando da sopra la fiocina, cioè l’asta di metallo alla quale è stato avvitato un arpione ad una estremità, così da colpire il pesce con forza e precisione millimetrica. L’arpione, grazie alla sua struttura seghettata, si fisserà stabilmente nel corpo del pesce.
L’animale ferito si dimena violentemente, cerca di aumentare la velocità della sua corsa disperata perdendo molto sangue fino a che, senza più forze, si arrende e si fa issare sulla feluca.
Tuttavia, è ancora vivo, perde sangue e potrebbe negli ultimi istanti di agonia colpire con la spada qualcuno dei membri dell’equipaggio.
La sua agonia terribile, crudele e tremenda continua finché gli viene inferto un colpo di coltello che gli taglia la gola.
Questa maestosa creatura è adesso assolutamente innocua e finisce di vivere in una grande pozza di sangue: il dissanguamento provoca la morte cerebrale.
Sulla feluca i pescatori iniziano a tagliare quel corpo possente in pezzi grossi che verranno venduti a prezzi differenti. Lo spada è un pesce pregiato e non ha spine né lische, salvo una sola centrale che funge da ossatura. La sua parte più apprezzata è la ventresca, cioè le carni della pancia che verranno vendute a prezzo notevolmente elevato.
Le carni rosee della ventresca sono magre, hanno un sapore delicato e sono dotate di buone quantità di proteine, vitamine e sali minerali che ne fanno un alimento molto importante, oltre che molto gradito.
Purtroppo, nel Mediterraneo i pesci spada, il tonno rosso e alcune specie di squali sono a rischio di estinzione. La causa principale è la cattura degli esemplari più giovani (fino a 3 anni) dunque prima che possano riprodursi e garantire la sopravvivenza della specie.
Assieme alla pesca degli esemplari giovani, altre due sono le cause che mettono a rischio la sopravvivenza di questa specie, ossia la pesca commerciale, un vero e proprio sovrasfruttamento che non è tollerato dai pesci spada e la pesca di frodo, che è illegale.
C’è da chiedersi perchè infierire così crudelmente su animali così particolari che si muovono soltanto per svernare e riprodursi e che, come altri pesci non sufficientemente tutelati, sono vittime di una pesca violenta, di una agonia atroce e di una fine crudele.
Nota: le immagini sono tratte dai seguenti due volumi:
Scilla e le sue borgate. Nel mito, nel folklore, nella storia (Tipografia De Franco, Reggio Calabria 1961).
Calabria, in Le Regioni d’Italia, n. 16, (Utet, Torino 1965).
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