La scelta del suicidio si sta pericolosamente diffondendo tra noi studenti universitari: secondo l’ISTAT, il 5% dei 4.000 suicidi annui in Italia è rappresentato proprio dalla fascia dei giovani d’età inferiore ai 24 anni.
Gli studenti seguono uno schema ricorrente: comunicano alla famiglia che gli esami sono stati sostenuti, la tesi è in consegna, si attende la comunicazione della data di proclamazione. Ma la realtà è ben diversa.
Così, la menzogna si fa sempre più grande. Come un buco nero che assorbe tutto dall’interno, impedisce di scorgere una via d’uscita. La scelta di rinunciare ad esistere, progressivamente, viene preferita alla confessione della verità.
Quando l’impronunciabile proposito, che fino a poco tempo prima era rimasto in un angolo della coscienza, è diventato una scelta reale, fattibile e addirittura preferibile?
Esiste una sola certezza: la scintilla è la vergogna. La vergogna di non essere stati abbastanza bravi, abbastanza veloci, abbastanza svegli, addirittura abbastanza grati a chi, certo con sacrifici, ha reso possibile compiere un percorso di studi. La vergogna di provare un crescente senso di vuoto e solitudine, per descrivere il quale le parole non saranno mai sufficienti. La vergogna di restare indietro in un mondo sempre più veloce.
Eric R. Dodds, antropologo, filologo e grecista, nel suo saggio «I Greci e l’irrazionale» del 1951 parla di “civiltà della vergogna” in riferimento alla società greca arcaica così come presentata dai poemi omerici. Si tratta di una società regolata da principi condivisi, modelli tendenzialmente positivi, il cui adempimento coincide col raggiungimento di un successo, della perfezione, da cui deriva l’approvazione della comunità. Se queste norme sono disattese, ne deriva biasimo ed emarginazione. Tutto ciò genera nella persona un disagio psicologico tale da ledere la sua dignità. Un esempio rilevante è rappresentato dal comportamento dell’eroe troiano Ettore, figlio di Priamo, uno dei protagonisti del poema omerico «Iliade»: sfidato a duello da Achille, va consapevolmente incontro a morte certa pur di non subire la vergogna della resa, nonostante le suppliche della moglie Andromaca.
La risposta degli studenti si articola in proteste contro un sistema universitario troppo esigente, ma anche troppo distante, e cieco davanti alle difficoltà del singolo. Ma non dobbiamo dimenticare che l’università non è altro che un’istituzione che abbiamo creato noi, coi nostri ideali, le nostre aspettative e le nostre capacità. E che noi possiamo migliorarla. Di fronte a tali tragedie, è naturale, come società, porsi degli interrogativi urgenti. Forse potremmo partire da questo: chi vuole ancora vivere in una “civiltà della vergogna”?
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