Perché un personaggio “cattivo” come Joker esercita un forte fascino? Nel film di Todd Phillips del 2019, lo spettatore arriva addirittura ad empatizzare con Joker, un personaggio sofferente, disturbato, inquietante. Com’è possibile? Forse perché l’autore presenta una persona vittima della società e di quello Stato che dovrebbe prendersi cura di lui e che invece lo ignora, privandolo di cure mediche indispensabili per la sua malattia.
Arthur Flek, rimasto solo, emarginato e senza assistenza sanitaria, si trova davanti ad un bivio: soccombere o ribellarsi alle ingiustizie. Allora, nella scena madre, in metropolitana, quando è vittima di tre giovani che lo picchiano, reagisce, impugna la pistola e li uccide. Inizia così la trasformazione del personaggio: Arthur diventa Joker, fonte d’ispirazione per gli ultimi, i deboli, i reietti, gli emarginati, i poveri e i disadattati, contro i ricchi e i potenti, tra i quali c’è anche Thomas Wayne, padre di Bruce, il futuro Batman.
Nel «cavaliere oscuro» di Christopher Nolan, del 2008, Joker si presenta come il “caos”. In una scena, brucia una montagna di soldi, perché lui non è un criminale qualunque, lui vuole cambiare l’ordine sociale, vuole portare l’anarchia a Gotham City, vuole dare voce agli oppressi contro gli oppressori.
Joker cambia la prospettiva, ribalta i ruoli: è lui il vero eroe, il protagonista della storia, mentre Batman è l’antagonista, il difensore dell’ordine sociale, dietro la cui maschera si cela il ricco Bruce.
Il personaggio Joker scardina gli equilibri ponendoci questo interrogativo: “da che parte stai, con gli oppressori o con i ribelli, i rivoluzionari, coloro che vogliono cambiare il mondo?”
Il ribelle con la faccia truccata è un figlio contemporaneo di Michail Bakunin, il padre dell’anarchismo; la sua criminale follia, forse, un rifugio risolutivo. Ma l’anarchia può essere la soluzione alle ingiustizie sociali?
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