La disparità tra i generi passa inevitabilmente attraverso la capacità economica e l’accesso alle posizioni di potere da parte delle donne.
In Italia il tasso di occupazione femminile si attesta al 51,9% e il divario con quello maschile è tra i più alti in Europa (la media Ue delle donne occupate è del 62,7%), con grandi differenze territoriali tra Nord e Sud.
Gli ultimi dati Istat sul 2022 registrano un incremento degli occupati di 334mila unità rispetto al 2021. Tra i nuovi occupati gli uomini sono 296mila, le donne soltanto 38mila.
Le donne che lavorano percepiscono una retribuzione inferiore a quella maschile: secondo i dati dell’Eurostat, nel 2020 la retribuzione oraria lorda delle donne risulta inferiore del 13% rispetto a quella degli uomini. In Italia, la percentuale si attesta al 4,1% nel settore pubblico e al 16,5% nel privato.
I dati diventano ancora più preoccupanti per le libere professioniste per le quali il divario di retribuzione arriva al 45%. Nel 2021 il reddito medio delle avvocate, pari a 26.686 euro, è stato meno della metà di quello dei loro colleghi uomini, il cui reddito medio è stato pari a 56.768 euro.
Le disparità aumentano in conseguenza della maternità che viene ancora considerata un ostacolo alla crescita professionale. Save the children anche quest’anno ha presentato il rapporto «le equilibriste:la maternità in Italia nel 2023». Tra i dati rilevati emergono i seguenti: alla presenza di un figlio minore, il tasso di occupazione per le donne di fascia di età tra i 25-54 anni si attesta al 63%, contro il 90,4% di quello degli uomini. Con due figli minori scende fino al 56,1%, mentre per gli uomini sale al 90,8.
Se occupate, le donne hanno un contratto meno stabile e precario: la percentuale del lavoro part-time femminile è del 32% (37% alla presenza di un figlio minore) a fronte del 7% di quello maschile (che sale al 5,3 % se c’è un figlio minore).
Il divario di genere si estende fino ad intaccare le pensioni. Secondo i dati Inps, nel 2022, sono state poste in pagamento 779.791 nuove pensioni tra assegni di vecchiaia, anticipati, invalidità e reversibilità. L’importo medio delle pensioni liquidate agli uomini è stato di 1.381 euro mentre per le donne soltanto 976 euro. Tanto deriva, evidentemente, dal minor numero di anni di contribuzione, dalle retribuzioni più basse e dalla discontinuità di carriera.
Le statiche, tuttavia, non servono, da sole, a rappresentare il divario di genere. Esistono questioni culturali radicate e difficili da superare: le donne che lavorano a tempo pieno o che si affermano professionalmente vengono considerate madri inadatte o soggetti con peculiarità maschili. La resistenza all’uso della declinazione femminile, nonostante l’espresso riconoscimento in tal senso da parte dei linguisti, è indice dello stereotipo che considera di carattere maschile alcuni tipi di professione.
Avendo riguardo alle carriere ed alle posizioni manageriali emergono questioni culturali diffuse che sottolineano ancora il divario: alle donne è richiesta resilienza e capacità di mediazione mentre agli uomini competitività, conseguentemente maggiore propensione al raggiungimento delle posizioni apicali.
La scarsa o assente disponibilità di risorse economiche è, infine, alla base della violenza economica che le donne subiscono all’interno delle dinamiche familiari, nei casi di separazioni e in svariati contesti sociali e lavorativi.
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