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Il Dizionario Treccani, alla voce “arma” riporta: «Qualsiasi oggetto di cui l’uomo si serve come mezzo materiale di offesa e di difesa. In senso ampio può costituire quindi un’arma ogni oggetto che sia impiegato a tali fini; ma in senso stretto sono dette armi solitamente quelle fabbricate appositamente per la guerra, per difesa personale, o anche per la caccia». Seguono altri significati e categorie.

Cosa succede al corpo di un essere umano vivente se dovesse essere vittima di armi adoperate esclusivamente per vincere una guerra? 

LE ARMI BIOLOGICHE

Sono agenti biologici, virus, batteri, tossine prodotte da microrganismi nocivi o di altra origine. Le armi biologiche vengono usate a scopo di BIOTERRORISMO, in conflitti bellici contro un Paese intero o una comunità specifica di persone.

Il potere distruttivo e la capacità di diffondersi nell’ambiente con l’aria, il cibo, l’acqua e gli animali, rende queste armi responsabili di moltissime morti.

I CDC ovvero i Center for Desease Control and Prevention, ente governativo americano responsabile della prevenzione e del controllo delle malattie infettive e delle principali decisioni e raccomandazioni al fine di proteggere la salute e la sicurezza pubblica negli USA e nel mondo, hanno classificato in ordine di rischio i seguenti tre agenti biologici come “i più pericolosi” per l’incolumità delle persone:

  1. BACILLUS ANTHRACIS, il batterio che causa l’antrace (in greco = carbone) anche detto carbonchio (in latino = piccolo carbone).
  2. TOSSINA BOTULINICA, prodotta dal batterio clostridium botulinum, causa il botulismo.
  3. YERSINIA PESTIS, il batterio che provoca la peste.

L’elemento più letale è il bacillus anthracis che causa l’antrace, infezione dal decorso molto rapido quando le spore del microrganismo penetrano nel corpo attraverso lesioni o abrasioni della pelle anche piccolissime, oppure vengono inalate o ingoiate essendo disseminate nell’aria come polvere finissima.

Le spore sono una tipologia di cellule specializzate che si formano e possono resistere anche molto a lungo in condizioni ambientali difficili e sfavorevoli quando, per esempio, c’è scarsità di acqua e temperature ambientali molto elevate. Avvolte da membrane protettive, le spore sebbene dormienti, cioè inattive, sono comunque in grado di percepire la presenza di nutrienti e acqua nell’ambiente, ritornando ad essere attive e germinare, cioè moltiplicarsi, molto velocemente.

L’antrace causato inalando le spore (antrace da inalazione) si manifesta molto velocemente con sintomi simili a quelli tipici di un raffreddore che però si complica molto presto in rilevanti problemi respiratori, febbre, dolori diffusi, nausea, vomito ed emorragie gastrointestinali.

La terapia a base di antibiotici è volta a contrastare l’emissione di tossine da parte dei batteri ed è efficace soltanto se è tempestiva.

Il botulismo è malattia che attacca il sistema nervoso provocando debolezza muscolare e difficoltà nei movimenti fino a causare paralisi dei muscoli respiratori e faringei che si conclude con la morte per soffocamento.

La yersinia pestis è il terzo microrganismo più pericoloso per l’uomo. È il bacillo che provoca la peste, una malattia infettiva di alcuni animali che può trasmettersi con facilità anche agli esseri umani. La peste è dunque una zoonosi, la yersinia è infatti ospitata da roditori, specialmente topi neri e ratti nei quali tuttavia non causa alti tassi di mortalità.

Pur essendo vere e proprie “riserve” di yersinia, i vettori che la trasmettono all’uomo non sono i roditori, dal momento che il vero anello di congiunzione tra roditori infettati e l’uomo è la cosiddetta “pulce dei roditori”. Le pulci si nutrono di sangue e il loro apparato buccale si è evoluto in modo da pungere e perforare la pelle, di animali o di esseri umani, arrivando all’interno dei capillari sanguigni ed aspirarne il sangue.

La pulce, mentre ingoia il sangue, immette nella circolazione della vittima sostanze anticoagulanti che lo mantengono fluido e se la vittima è infettata da yersinia, la pulce ingoia il sangue e con esso anche il bacillo della peste e potrà inocularlo nel sangue della prossima vittima.

Le yersinie, non appena arrivano nel sangue vengono attaccate e fagocitate dai macrofagi (tipologia di globuli bianchi responsabili del primo assalto all’invasione di un elemento estraneo avvertito come probabile responsabile di guai sanitari) che però non riescono ad ucciderle nei linfonodi dove solitamente si concentrano, poiché esse oppongono una notevole resistenza al loro attacco.

Dopo 2-6 giorni dalla puntura della pulce, il malcapitato sviluppa una risposta infiammatoria acuta che, il più delle volte, genera bubboni, ovvero ingrossamenti dolenti dei linfonodi, soprattutto al livello di ascella e di inguine, i quali vanno incontro ad una necrosi emorragica, cioè alla morte delle cellule che li compongono accompagnata da emorragia. La grave reazione infiammatoria provoca febbre molto alta, cefalea e debolezza, e colpisce rapidamente i polmoni, determinando difficoltà respiratoria, e spesso anche l’apparato gastrointestinale causando emorragie, nausea, vomito e diarrea con sangue.

La malattia, in assenza di trattamento medico, può rapidamente evolvere in sepsi, ovvero in una gravissima complicazione della infezione con notevoli danni ad organi e tessuti, che nel giro di 48 ore può portare al decesso.

Dalla peste di Atene, dal 430 al 426 a.C., la prima epidemia documentata da Erodoto, la storia umana ha vissuto numerose pandemie ed epidemie di questa infezione che hanno falcidiato milioni di persone. Oggi è davvero criminale concepire di diffondere microrganismi così pericolosi.

Nel XX secolo la peste è stata debellata, almeno in gran parte del mondo, grazie al netto miglioramento delle condizioni socio-economiche e igienico-sanitarie. Tuttavia, ancora oggi, in alcune aree di Asia e Africa, focolai di peste difficili da debellare provocano ogni anno la morte di 100-200 vittime.

LE ARMI CHIMICHE

Nella notte del 22 marzo scorso, su due città satelliti di Kiev, Irpin e Hostomel, e su Kramatorsck, città dell’est dell’Ucraina, sono state sganciate da aerei russi bombe al fosforo bianco, come testimoniano un video inconfutabile rapidamente diffuso e le denunce del vicecapo della Polizia di Kiev e del sindaco di Irpin.

In occasione della visita a Kiev del Segretario Generale dell’ONU Antonio Guterres, il giorno 28 aprile la capitale è stata attaccata da cinque missili russi le cui testate al fosforo sono esplose a poca distanza dall’ambasciata britannica e dal ministero degli Esteri provocando diversi feriti.

Le bombe al fosforo sono armi devastanti di cui la Convenzione di Ginevra, alla quale ha aderito anche la Russia, ha vietato l’uso contro la popolazione civile.

Il fosforo si presenta come una massa bianca cristallina, traslucida, di consistenza cerosa e di odore pungente simile a quello dell’aglio. È noto anche come “fosforo bianco”, indicato come WF, acronimo di White Phosforus.

Rilasciato nell’ambiente, a contatto con l’ossigeno si incendia spontaneamente sviluppando un elevatissimo calore – fino a 800° C – producendo anidride fosforica che, con l’acqua degli organismi umani, animali e vegetali, forma acido fosforico, che in pochi secondi disidrata e necrotizza i corpi fino alle ossa e dissecca la vegetazione.

Le munizioni al fosforo, malgrado la loro pericolosissima potenza, non rientrano nella lista ufficiale delle armi chimiche poiché il fosforo e l’acido fosforico sono tossici soltanto se vengono ingeriti o inalati.

Le convenzioni internazionali hanno stabilito che il fosforo bianco può essere adoperato legalmente per tracciare la traiettoria di proiettili, per illuminare spazi e aree di combattimenti, per ostacolare l’avanzata del nemico e/o proteggere i movimenti delle proprie truppe, dal momento che il fosforo, incendiandosi, tende a produrre fumi e polveri, dunque vere e proprie cortine fumogene.

Sebbene nella versione del 1980 la Convenzione di Ginevra abbia stabilito che il fosforo, essendo una sostanza incendiaria, non possa essere usato contro la popolazione civile, i Russi pur avendo sottoscritto il divieto, non lo stanno rispettando. Le convenzioni esistenti comunque proteggono, almeno sulla carta, la popolazione civile vietando l’uso di armi di distruzione di massa.

Cicerone, nella sua orazione a favore di Milone disse «silent leges inter arma», cioè «tra le armi le leggi tacciano».

Infatti, come succede in tutti i conflitti, i trattati spesso non vengono rispettati.

I veleni sono armi chimiche? La Russia, come altri Paesi compreso anche il nostro sebbene in epoche lontane, non è nuova alla iniziativa di fare uso di agenti tossici mortali per “intimidire” con grande chiarezza o per liberarsi di personaggi in un certo senso “scomodi”, dissidenti, giornalisti, intellettuali e anche comuni cittadini, oppositori del regime del presidente Putin.

Aleksej Navalny, giornalista investigativo e oppositore del regime, attualmente è detenuto in una prigione di massima sicurezza dove dovrà scontare ulteriori nove anni per una nuova condanna comminatagli recentemente dal tribunale di Mosca con l’accusa di «appropriazione indebita» e «oltraggio alla Corte».

Ebbene, Navalny è stato avvelenato il 20 agosto 2020. I sintomi dell’avvelenamento si sono manifestati mentre si trovava su un aereo in volo dalla Siberia a Mosca. Stava molto male, accusava dolori lancinanti causati da spasmi muscolari ed è stato ricoverato in Germania all’ospedale della Charité di Berlino dove, con il consenso delle autorità russe, è stato curato e salvato da un sicuro avvelenamento da novichok, scoperto dai medici tedeschi e confermato da diversi laboratori indipendenti.

Il novichok è una sostanza che fa parte di una famiglia di neurotossine (tossine che colpiscono il sistema nervoso) che una volta inalate oppure ingerite o a contatto con la pelle e assorbite, hanno l’effetto di ridurre o addirittura bloccare l’azione della colinesterasi, importantissimo enzima proteico che scinde la acetilcolina, messaggero chimico polivalente fondamentale per molte funzioni del nostro organismo, tra le quali i nostri movimenti volontari.

La colinesterasi scinde l’acetilcolina e di conseguenza la inattiva. Senza la colinesterasi la acetilcolina continuerebbe ad agire più a lungo del necessario provocando disordini funzionali che vanno da tosse, vomito, diarrea ad effetti più rilevanti che potrebbero causare il decesso per asfissia o arresto cardiaco.

Vittime del novichok sono stati nel 2018 Sergej Skripal, ex agente sovietico, e sua figlia Yulia, avvelenati a Salisbury, cittadina a sud-ovest di Londra e salvati ambedue grazie ad un ricovero tempestivo in ospedale.

Nel 2006 Alexander Litvinenko, ex agente dei servizi segreti russi, fuggito dalla Russia nel 2000 dopo aver accusato Putin dell’omicidio della giornalista dissidente Anna Politkovskaja, venne ricoverato in ospedale a Londra dove morirà per avvelenamento da polonio, elemento chimico radioattivo che si trova in natura soprattutto nei mari, ma che può anche essere prodotto in laboratorio.

Il polonio rappresenta un rischio per la salute e la vita degli esseri umani, di altri mammiferi e degli uccelli soltanto se entra nell’organismo attraverso una lesione della cute o se viene inalato o ingoiato. Una volta all’interno di un corpo, rilascia particelle alfa, ovvero radiazioni ad elevata energia che danneggiano il DNA delle cellule di reni e fegato, ma soprattutto del midollo osseo dove l’elemento si concentra particolarmente, provocando mutazioni che causano neoplasie, infezioni, emorragie interne e anemia, accompagnate dalla produzione di radicali liberi particolarmente tossici che portano rapidamente a morte.

Nel 2017, in Siria, contro la popolazione civile, si è fatto uso del sarin, un gas nervino realizzato nel 1938 da scienziati tedeschi, che blocca la funzione regolatoria della colinesterasi.

Nel giugno del 1994 la setta religiosa giapponese Culto del Giorno del Giudizio ha usato il sarin a Matsumoto, in Giappone, provocando la morte di 8 persone. Nel 1995 nella metropolitana di Tokyo, la medesima setta ha compiuto il suo secondo attacco terroristico con il sarin, questa volta in forma liquida, altamente tossico per i mammiferi per la sua volatilità, causando la morte di 13 persone e l’intossicazione di altre 6200.

LE ARMI NUCLEARI

Sono armi, per lo più bombe e testate nucleari esplosive per missili, le quali utilizzano reazioni di fissione nucleare.

Per i loro effetti devastanti su persone, animali e ambiente, vengono classificate come armi di distruzione di massa.

La fissione nucleare è un processo che si attua bombardando in opportune condizioni il nucleo di un elemento chimico pesante, ad esempio l’uranio, con neutroni, particelle prive di carica che insieme ai protoni e agli elettroni fanno parte del nucleo.

Un solo nucleo di uranio sottoposto a bombardamento con neutroni si divide in due frammenti di minori dimensioni, ciascuno con carica elettrica positiva e più leggero del nucleo intero originario. I due frammenti si respingono violentemente, come è di norma quando si incontrano cariche uguali, allontanandosi l’uno dall’altro a gran velocità con una elevata energia cinetica che produce calore.

La fissione, cioè la divisione del nucleo dell’uranio, genera anche due o tre neutroni, i quali, a loro volta, possono provocare fissioni che liberano altri neutroni che colpiscono altri atomi di uranio, producendo – mediante reazioni a catena – elevate quantità di energia.

Per bomba si intende un ordigno costituito da un involucro contenente materiale esplosivo e dotato di un dispositivo che ne provoca lo scoppio nel momento programmato o nel momento dell’impatto con il bersaglio prefissato o in altre particolari condizioni.

Per bomba atomica si intende un ordigno che si basa sulla energia prodotta da una esplosione nucleare che ne emette in grandi quantità sotto forma di luce visibile, infrarossa e ultravioletta.

L’irraggiamento si sprigiona molto rapidamente e la sua intensità intorno al luogo della esplosione è davvero molto rilevante.

Per missile a testata nucleare si intende un vettore con la parte anteriore, appunto la testata, che contiene materiale esplosivo che il missile ha il compito di portare sul bersaglio.

L’esplosione emette energia in grande quantità in un tempo brevissimo, come succede in occasione dell’esplosione di una bomba atomica.

Le conseguenze delle sostanze radioattive prodotte dallo scoppio di una bomba atomica sono dovute principalmente ad un intenso irraggiamento che causa danni agli occhi anche irreversibili, per ustioni della retina, e danni nel resto del corpo per via del violento riscaldamento che si propaga nello spazio circostante “vaporizzando” animali, persone e vegetali come dimostrano le tragedie di Hiroshima e Nagasaki.

Viene danneggiato soprattutto il DNA cellulare, in particolare al livello dell’apparato riproduttivo, così da determinare una notevole riduzione della fertilità maschile e femminile che può trasformarsi rapidamente in infertilità, oltre che essere causa di aborti spontanei e di malformazioni fetali.

Inoltre, aumenta il rischio di malformazioni genetiche e di neoplasie, in particolare leucemie come anche tumori solidi. Le radiazioni, in sostanza, modificano la struttura di tutto ciò con cui vengono a contatto, poiché rompono i legami molecolari producendo effetti importanti e duraturi sulle cellule umane, animali e vegetali.

Le potenti onde d’urto generate dall’esplosione coinvolgono una vasta area di decine di km. La pressione che ne consegue provoca distruzioni e crolli di edifici. Nel corpo umano causano onde di pressione che danneggiano le giunzioni tra muscoli e ossa, i polmoni, la cavità addominale e sviluppano emboli ed emorragie gravi che rapidamente portano a morte.

Il fallout, inoltre, cioè la pioggia di materiale e di pulviscolo radioattivi che si produce di solito 15-20 minuti dopo l’esplosione provoca avvelenamento da radiazioni che può essere anche letale.

Una serie importante di esplosioni nucleari causerebbe la scomparsa di ogni forma di vita sulla terra e dunque l’estinzione del genere umano riportando il nostro pianeta ad uno stadio di assoluta e inospitale primitività.

LA PAURA È NECESSARIA

Ascoltando i discorsi del ministro degli Esteri russo Lavrov e gli avvertimenti del presidente Putin su un possibile attacco nucleare, è più che normale che chi si senta minacciato provi un intenso e condiviso sentimento di paura.

Questo è il tempo in cui la paura e l’angoscia pare prevalgano su tutti gli altri stati d’animo.

Ma cos’ è precisamente la paura?

Come la collera, la tristezza e la gioia, la paura è un’emozione che però avvertiamo forse più di tutti gli altri stati del corpo, in prossimità di un pericolo, vero o presunto che sia.

Come moltissime specie animali, anche noi esseri umani ci proteggiamo da situazioni di pericolo e lo facciamo istintivamente per sopravvivere.

Quando abbiamo paura cerchiamo di allontanarci il più possibile da ciò che minaccia la nostra sopravvivenza, ricorrendo alla reazione più comune, la fuga.

Le persone scappano, scappano anche gli animali, gli uccelli volano e i pesci nuotano più velocemente.

Quando abbiamo paura i nostri sensi si allertano: diversamente non potremmo essere in grado di accorgerci di ciò che accade e non ne noteremmo i particolari. Lo stato di eccitazione indotto dalla paura è essenziale per fissare la nostra attenzione e la nostra consapevolezza su una determinata situazione che, oltre a migliorare e acuire la percezione e la memoria degli eventi, contribuisce a produrre un piano volto alla risoluzione dei problemi.

Tutto ciò che accade quando avvertiamo un pericolo del quale abbiamo paura, insieme alle reazioni emotive che questa genera, ha sede nella parte più profonda e antica del nostro cervello, precisamente nelle amigdale, due regioni piccole a forma di mandorla (amigdala = mandorla, in greco) ciascuna per ognuno degli emisferi cerebrali.

I neuroni, cioè le cellule nervose delle amigdale, sono in relazione con molte altre aree del sistema nervoso e influenzano l’attività dei muscoli, per esempio quelli che sono responsabili della mimica facciale, della postura e delle reazioni di fuga o di attacco. Influenzano anche la muscolatura liscia degli organi interni tanto da modificare la loro attività, come anche quella di apparati che non sono sotto il controllo diretto della nostra volontà, ad esempio il cuore, l’apparato digerente, quello renale e le ghiandole endocrine.

Le amigdale fanno parte di una zona arcaica del cervello, sulla quale la parte più recente e più complessa dal punto di vista evolutivo della corteccia cerebrale dovrebbe avere un compito di regolazione circa la durata e la intensità della paura in modo da poter ragionare, scegliere e mettere in atto i comportamenti più appropriati di fronte al pericolo. In sostanza, per generare un vero e proprio piano di azione, opportuno e appropriato al contesto sulla base delle informazioni ricevute dai sensi e delle caratteristiche soggettive di ordine emozionale, culturale, mnemonico.

Se questo compito di “razionalizzazione” va in tilt, prevarrà la funzione delle amigdale generando a volte paure patologiche che possono facilmente trasformarsi in angoscia, panico, fobia e ansia costante.

Ricordiamoci che, malgrado siamo diversi tra noi, quando ci troviamo in una situazione di pericolo reale o anche soltanto potenziale, adottiamo comportamenti simili, cioè reagiamo in modo uniforme.

Siamo in un certo senso “cablati” per avere paura e per reagire cercando di salvarci. Credo che dovremmo anche essere grati alla nostra tendenza ad aver paura e alle nostre paure innate, dal momento che sono di grande utilità perché contribuiscono alla nostra sopravvivenza personale e a quella della nostra specie, senza dimenticare che possiamo contare sul controllo esercitato dalla ragione sui comportamenti istintivi innati, ereditati dai nostri progenitori, che si realizzano al di fuori di ogni consapevolezza e senza il controllo della ragione, e qualche volta addirittura in contrasto con essa, per poter distinguere cosa è da temere da cosa non lo è. Proprio perché i nostri istinti sono sotto il controllo della coscienza possiamo adottare comportamenti per così dire “personali”, cioè non del tutto prevedibili come quelli innati, poiché il nostro bagaglio di eredità genetica viene comunque forgiato dall’ambiente inteso come relazioni con la famiglia e con la società, esperienze e tipo di vita, qualità degli studi, impegni lavorativi etc., tutti elementi che mescolandosi al patrimonio ereditato costituiscono la “unicità” di ciascuno di noi.

© Sintesi Dialettica – riproduzione riservata

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