La Corte Costituzionale ha di recente, con sentenza del 1° aprile 2009, dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 14, secondo comma, della Legge 40/2004 nella parte in cui prevede che ci sia “un unico e contemporaneo impianto [di embrioni], comunque non superiore a tre”, abrogando, altresì, il terzo comma del medesimo articolo, nella parte in cui non prevede che il trasferimento degli embrioni, da realizzare non appena possibile, debba essere effettuato senza pregiudizio della salute della donna. Il breve saggio che segue mira ad analizzare l’evoluzione storica e parlamentare che ha condotto all’emanazione della prima Legge sulla fecondazione assistita in Italia, evidenziandone i pregi ed i limiti.
La “bioetica” rientra in un vasto programma di ricerca ed in una corrente di pensiero relativamente recenti.
Il termine ( dal greco, “bios”ed “ethos” stanno per “etica della vita”) è forse comparso per la prima volta nel 1971, nel titolo del volume dell’oncologo americano V.R. Potter: “Bioethics: bridge to the future”, intendendo con esso il ripristino dei rapporti tra cultura umanistica e cultura scientifica (1), ma è stato presto attratto nella sfera dei problemi inerenti alla biomedicina.
Con il sostegno del “Kennedy Institute of Ethics” venne pubblicata nel 1978 l’“Enciclopedia of Bioethics”, ove si legge una definizione di “bioetica” quale “studio sistematico della condotta umana nell’ambito della scienza della vita e della cura della salute, in quanto questa condotta è esaminata alla luce dei valori morali e dei principi”: dunque, “bioetica” come “quella parte della filosofia morale che ha per oggetto e ambito di ricerca l’intervento dell’uomo sull’uomo in campo biomedico” (2).
Da allora questa disciplina è stata introdotta nelle Università quale elaborazione razionale che riguarda l’aspetto etico (il lecito e il non lecito) nell’ambito delle scienze mediche, elaborazione legata agli enormi progressi che negli ultimi sessant’anni si sono avuti nel campo delle biotecnologie, dall’ingegneria genetica, alle tecniche di fecondazione assistita, alla ricerca scientifica, all’eutanasia, fino alla clonazione.
L’etica medica, da sempre ritenuta indispensabile all’esercizio della medicina (si pensi allo “horkos”, il giuramento ippocratico, fino agli odierni Codici Deontologici), nell’incontrare la nuova etica della biologia ha ampliato la sua portata, nel tentativo di legare la scienza della natura alle scienze umane (filosofia morale, teologia, diritto, sociologia).
Sennonché, il progresso scientifico in un ambito così delicato qual è la vita umana ha portato ad istanze sempre crescenti di regolamentazione dei fenomeni di nuova emersione ad esso connessi: come fa notare giustamente il prof. Rodotà, un tempo “ i confini dell’azione umana erano segnati da leggi naturali che escludevano o limitavano fortemente la possibilità di decisioni autonome. Oggi molti di quei confini sono stati cancellati, si valutano benefici e rischi di queste novità […], si invocano leggi giuridiche in grado di fissare quei limiti che le leggi naturali non sono più in grado di indicare” (3).
Ed era prevedibile, quindi, la nascita di nuovi diritti, che convenzionalmente vengono definiti “biodiritti” e che rientrano nella più vasta categoria dei diritti dell’uomo (4).
Prodromica alla loro emersione è la diffusione a livello internazionale di una “ideologia” dei diritti dell’uomo, intesa quale continuazione della filosofia illuminista nella dottrina internazionale.
Del resto, oggi è largamente diffusa l’opinione per la quale il riconoscimento di determinati valori fondamentali che possano definirsi “universali” sia elemento imprescindibile di qualsiasi normativa interna, al di là della contrapposizione tra “etiche diverse” (come quella, spesso erroneamente invocata, tra “etica laica” ed “etica cattolica”), ma sulla base di valori largamente condivisi, in grado di costituire un trait d’ union, una “legge morale” kantiana che costituisca il “minimo etico comune” in grado di sostenere la validità di una normativa fissata per legge (5). In una società in cui il “pluralismo” assurge al rango di valore costituzionale, il Legislatore, piuttosto che privilegiare il punto di vista di un’etica ritenuta “dominante”, dovrebbe attenersi ai principi universalmente accolti, anche sul piano sovranazionale, tutelando al tempo stesso la libertà di autodeterminazione dei singoli individui (6), ed è in questo contesto che si inseriscono i “biodiritti”.
Nello specifico, quando si parla di “biodiritti” ci si riferisce ad una particolare categoria di “diritti dell’uomo”, frutto di un’evoluzione storica che è passata dal riconoscimento dei “diritti individuali civili e politici” di prima generazione (che, convenzionalmente , si fanno risalire alla Rivoluzione Francese del 1789), al riconoscimento dei “diritti economici e sociali” di seconda generazione (che risalgono alla fine della Seconda Guerra Mondiale), fino al riconoscimento di una terza generazione di diritti legati al progresso scientifico, che impongono una tutela della persona (anche sul piano della dignità della persona stessa) a partire dalle minacce che le evoluzioni in campo bio-medico possano far temere e che nei periodi storici precedenti non erano neanche lontanamente immaginabili (7).
Limitando il discorso all’argomento che qui rileva, le evoluzioni nel campo della fecondazioneassistita hanno fatto emergere nuove fattispecie giuridiche in grado di sconvolgere l’assetto dei rapporti sociali e familiari “tradizionali”, evoluzioni accompagnate, a loro volta, dal mutamento nel contesto sociale dei concetti stessi di “genitorialità” (a quella biologica oggi si contrappone quella sociale (8)) e di “famiglia” (a quella legittima, cioè fondata sul matrimonio, si aggiunge quella di fatto), per i quali si è a lungo invocata in Italia ( e si invoca tutt’ora) una disciplina giuridica adeguata.
La procreazione assistita consente, infatti, di generare un figlio con l’ausilio medico mediante il ricorso a tecniche diverse, tra le quali quella maggiormente praticata è la fecondazione “in vitro” (o extracorporea), che consiste nel creare un embrione mediante lafecondazione dell’ovulo in provetta e nel successivo reimpianto “in utero” in modo che possa proseguire il suo naturale sviluppo.
La F.I.V.E.T. ( Fecondazione In Vitro con Embryo Transfert) può essere “omologa”, se si utilizzano i gameti di entrambi i “partners” della coppia, o “eterologa”, se avviene con l’intervento di un terzo donatore. Attraverso il congelamento (9) è possibile conservare gli embrioni ottenuti con la fecondazione in vitro in modo da bloccarne lo sviluppo, che potrà quindi riprendere in un momento successivo: ciò al fine di aumentare l’efficacia della fecondazione in vitro evitando alla coppia di ripetere l’estenuante trafila medica in caso di fallimento del primo tentativo di fecondazione .
In alcuni casi si è giunti anche ad un uso improprio di queste tecniche, con la fecondazioneartificiale “post mortem”, ossia il reimpianto “in utero”dell’embrione congelato dopo la morte del coniuge e la c.d. maternità surrogata (o “utero in affitto”), pratiche ammesse solo in alcuni Paesi.
Nonostante l’ampio ricorso a tali tecniche riproduttive in una situazione di totale vuoto legislativo e le raccomandazioni provenienti dal resto d’Europa (il primo intervento ufficiale in materia di biogenetica è costituito dal Rapporto del Consiglio d’Europa pubblicato nel 1981, nel quale si raccomanda agli Stati membri un intervento legislativo), in Italia la prima legge sulla fecondazione assistita è stata approvata solo nel 2004 (Legge n. 40) dopo decenni di infruttuose discussioni Parlamentari.
La prima proposta di legge risale alla III Legislatura (1958) (10) , cui seguirono quelle del 1959 (11) e del 1969 (12), tutte tendenti alla negazione totale delle pratiche di fecondazione artificiale, tanto da sanzionarle penalmente. Ma ciò non stupisce, se si contestualizzano tali proposte nel clima socio-culturale di quegli anni, in cui la “famiglia” era esclusivamente quella fondata sul matrimonio cattolico ed in cui l’articolo 559 del Codice penale prevedeva ancora il reato di adulterio (13), norma dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale solo alla fine degli anni Sessanta (14).
A partire da tali anni, però, il valore della maternità ha progressivamente assunto connotati diversi: la disponibilità dei contraccettivi, la riduzione dei matrimoni, l’aumento dei divorzi (in Italia il divorzio è stato introdotto con la legge n. 898 del 1970) e delle “unioni di fatto”, l’inserimento della donna nel mondo del lavoro, la legalizzazione entro certi limiti dell’aborto, sono tutti fattori che hanno modificato profondamente sia il ruolo della donna nella società che il concetto di “famiglia” e che al tempo stesso si sono aggiunti alle cause di infertilità nel creare situazioni di conflitto tra aspirazioni sociali e maternità.
Negli anni Ottanta si cominciò ad osservare con maggiore attenzione il fenomeno crescente della sterilità e dell’ipofertilità dei cittadini come un problema di rilevanza sociale: in tutto il mondo occidentale, ed in Italia in particolare, si è registrato un declino della natalità al di sotto della soglia di sostituzione generazionale (pari a 2,1 figli) (15), aprendo fin dalla X Legislatura un dibattito politico e culturale molto variegato nelle posizioni, tutte però convergenti verso l’esigenza di una disciplina normativa, la cui prolungata mancanza aveva fatto emergere il fenomeno del c.d. “turismo procreativo”, ossia il ricorso dei cittadini italiani a cliniche estere con enormi costi aggiuntivi per gli stessi.
I punti più dibattuti riguardavano l’accesso alla riproduzione assistita in base allo stato civile(in quasi tutte le proposte di legge l’accesso è risultato consentito alle sole coppie eterosessuali, sposate o stabilmente conviventi, rimanendo escluse, quindi, le donne singleo omosessuali), la fecondazione eterologa, la “maternità surrogata” (sia gratuita che dietro corrispettivo) e il congelamento di embrioni.
Ma, data la forte divergenza di orientamenti etico-politici, le proposte di legge di questi anni non furono mai iscritte in un ordine del giorno per essere discusse.
Fu, però, nominata dal Ministro della Sanità il 31 ottobre 1984 una Commissione (c.d. Commissione Santosuosso) formata da giuristi, scienziati, rappresentanti del Ministero e dell’Istituto Superiore della Sanità, che concluse i suoi lavori il 22 novembre 1985 presentando due progetti che, pur se non ebbero seguito, fissarono alcuni principi-guida ammettendo sia la fecondazione artificiale omologa che quella eterologa, ma subordinandole al duplice tentativo di favorire l’adozione e scoraggiare l’aborto, condannando la ricerca a finalità scientifica sugli embrioni ed accordando al nascituro ogni possibile tutela per quanto concerne la salute ed il diritto ad avere una famiglia incentrata sulla doppia figura genitoriale.
Si deve attendere la XIII Legislatura per veder posta all’ordine del giorno dei lavori parlamentari la discussione del Testo Unificato in materia di fecondazione assistita, presentato il 27 gennaio 1998, che tra alterne vicende fu affossato in Senato ed al quale seguirà l’attuale Legge n. 40 del 2004.
I motivi di questo imbarazzante ritardo sono da ricollegarsi proprio alla difficoltà di raggiungere un ampio consenso condiviso: da un lato, un atteggiamento “laico” volto a sottrarre le decisioni in materia di bioetica alla regola maggioritaria e a tutelare sul piano giuridico il “diritto” alla procreazione, l’autonomia privata ed il valore della “genitorialità”; dall’altro, un atteggiamento conservativo del valore della comunione coniugale, legato essenzialmente al magistero cattolico, che muove dall’inscindibilità del significato unitivo e procreativo dell’atto sessuale per condannare qualsiasi forma di fecondazione assistita (16).
Universalmente accolto il principio di tutela della dignità umana (17), tanto della donna quanto del nascituro, punto dolente del dibattito non ancora sopito è la definizione stessa di “essere umano” e, quindi, la concezione dell’embrione quale vita o semplice “aspettativa di vita” (da cui dipendono l’ammissibilità o meno, ad esempio, di interventi di “eugenetica” sugli embrioni per malattie ereditarie, la sorte degli embrioni soprannumerari e congelati), il riconoscimento di un “diritto a procreare”, e l’intervento di terzi (nel caso di fecondazione eterologa e di “maternità surrogata”) nel procedimento procreativo.
Quanto al riconoscimento di un “diritto di procreare”, nonostante la nostra Costituzione non vi faccia espresso riferimento, si ritiene che esso possa dedursi dal combinato disposto dell’articolo 2, che tutela i diritti inviolabili del singolo anche “nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità” (tra cui la famiglia, che include la prole), e degli articoli 29, 30 e 31, in quanto la procreazione costituisce il presupposto logico della filiazione (18).
Inoltre, sul piano internazionale, il nostro ordinamento recepisce numerose norme che sanciscono il diritto di formare una famiglia ed il rispetto della vita privata e familiare, di cui agli articoli 8 e 12 della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’uomo e delle Libertà fondamentali del 1950; nonché, da ultimo, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in attesa di entrare in vigore.
Ma se la Costituzione implicitamente garantisce e tutela la libertà procreativa in relazione all’ “an” ed al “quantum”, si discute se tale diritto inviolabile della persona possa estendersi anche al “quomodo” della procreazione stessa, date le possibilità offerte oggi dalla scienza (19).
Parte della dottrina (20), infatti, si ferma al significato letterale del “diritto di procreare”, quale diritto ad avere figli in senso biologico-naturale; altri estendono tale diritto allo svolgimento della funzione genitoriale (right to riproduce and to parenting); la dottrina più recente, invece, è orientata verso un significato “sociale” di diritto ad assumere la funzione di genitore indipendentemente dal legame biologico, con un atto socialmente e giuridicamente rilevante di assunzione di responsabilità: ciò che aprirebbe la strada al riconoscimento di una tutela giuridica anche alla fecondazione c.d. eterologa, contemperando la tutela di tale diritto con quella del nascituro (21).
In particolare, è stato rilevato come il citato articolo 8 della Convenzione Europea del 1950 sancisca una vera e propria libertà ed è questa libertà, quale contenuto del diritto al rispetto della vita privata e familiare, che diventa esigibile, perciò “se è vero che le norme furono formulate presupponendo che i figli venissero concepiti in modo naturale nell’ambito di un rapporto di totale intimità della coppia, è pur vero che anche la scelta delle nuove opportunità si pone come momento di altrettanta intimità e libertà […]; inoltre l’articolo 8 si riferisce ad un concetto di famiglia che prescinde dal vincolo matrimoniale e fa proprie le attuali concezioni sulle famiglie di fatto” (22).
Tale orientamento non è stato recepito dalla Legge n. 40 del 2004 sopra citata, nella quale la procreazione medicalmente assistita omologa (la sola ammessa) viene concepita comestrumento per la soluzione dei problemi riproduttivi delle sole “coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi” (articolo 5), qualora non vi siano altri metodi terapeutici efficaci per rimuoverne le cause.
Non, dunque, una libera alternativa alla procreazione naturale, né uno strumento per consentire a soggetti portatori di patologie geneticamente trasmissibili di procreare figli sani mediante un intervento sul patrimonio genetico, essendo le pratiche di tipo eugenetico(diagnosi pre-impianto e conseguente intervento sull’embrione) espressamente vietate dal disposto normativo.
Nonostante, quindi, il pregio di questa legge, ad avviso di chi scrive, sia stato quello di costituire una prima regolamentazione di pratiche già da tempo utilizzate, le dure critiche mosse alla stessa da più parti ne evidenziano la debolezza, il carattere fortemente “ideologico” e, pertanto, contrario ad una concezione laica e pluralista di democrazia.
Rischio, questo, che era stato evidenziato già dall’On. Stefano Rodotà, nella proposta C. 3800 del 1989, in cui affermava che “il rischio di legiferare è nella pretesa di voler regolare tutto e subito, magari tenendo ferma proprio la logica giuridica ed il quadro culturale che le nuove tecnologie hanno revocato […]. Il rischio è quello di una legge doppiamente ideologica per i valori che vuole imporre, per i riferimenti giuridici che sceglie. Affiora la tentazione di ricorrere al diritto non per risolvere problemi concreti, ma come sostituto di un’etica che non c’è, come via per imporre un’inaccettabile etica di Stato”.
Si considerino, ad esempio, il divieto generale di crioconservazione e di soppressione degli embrioni (23), i divieti di diagnosi pre-impianto, di ricerca scientifica sugli embrioni soprannumerari e di fecondazione eterologa imposti dalla citata Legge n. 40: è evidente che il Legislatore si è posto come obiettivo primario la tutela dell’embrione come “soggetto debole”, ma è una tutela che, oltre a muovere da premesse relative ad uno “statuto ontologico” dell’embrione facenti capo ad una determinata e tutt’altro che maggioritaria corrente di pensiero, non risolve né regola di fatto esigenze sociali concrete.
Possiamo, infatti, sinteticamente riscontrare quattro diverse tesi, che ricollegano ad un determinato momento l’inizio della vita.
Quella “genetica”, accolta dall’attuale legge 40/2204, che individua tale momento nell’incontro dei due gameti, naturalmente o in provetta, perché darebbe potenzialmente inizio ad un continuum che porterà all’embrione, al feto e poi al nato.
Quella “embriologica”, che individua l’inizio della vita nella 14° giornata, quando si forma il corredo aploide (gastrulazione) ed avviene la c.d. “individuazione” dell’embrione.
La tesi “neurologica”, per la quale la vita inizia quando compare un tracciato elettroencefalografico (23° settimana), per simmetria al momento di cessazione della vita, che, ai fini del trapianto di organi, viene fatto coincidere con la morte cerebrale.
Ed infine quella “giuridica”, che ricollega l’inizio della soggettività giuridica all’evento nascita.
La prima delle sopra citate tesi, quella “genetica”, muove da una concezione morale del concepimento che, pur se degna di assoluto rispetto e pur se condivisa da una fascia di cittadini, non ha un vero supporto scientifico, tanto che appare contraddittoria rispetto alla tesi accolta dalla Legge sul trapianto degli organi. Se la vita cessa al momento della “morte cerebrale”, si afferma, come può iniziare nel momento in cui due cellule vengono artificialmente fatte incontrare in provetta? E’ una concezione che si scontra anche con la Legge sull’aborto e che, quindi, porta ad una contraddizione normativa interna.
Il principio di tolleranza, che dovrebbe, nei limiti del “danno rilevante” e del rispetto dell’ “altro”, permeare di sé anche le leggi dello Stato, sia stato sostituito da una legge fortemente sanzionatoria, frutto di una determinata scelta etica, che si scontra con “valori altrettanto forti” meritevoli, in quanto tali, di essere tutelati in uno Stato di diritto.
Il c.d. “turismo procreativo”, cioè la necessità di recarsi all’estero per ottenere ciò che in Italia è vietato, è un dato di fatto e comporta una sostanziale disuguaglianza tra gli individui, perché, dati i costi elevatissimi, possono ricorrere alle cliniche estere solo le fasce più abbienti dei cittadini.
E la ricerca scientifica è di fatto bloccata dagli innumerevoli divieti posti dal Legislatore italiano. Ciò che una buona legge dovrebbe evitare.
Questo non implica la necessità di tornare al c.d. “vuoto legislativo”, ma forse sarebbe auspicabile rendere la vigente normativa più conforme alle istanze concrete dei suoi destinatari, nel rispetto dell’autonomia privata, e della libertà della persona.
Note
1) Voce “Bioetica” in “Enciclopedia Treccani”.
2) Si è parlato al riguardo di una “seconda rivoluzione scientifica”, perché le nuove scoperte in campo bio-medico consentono l’intervento dell’uomo sulla propria natura.
3) Stefano Rodotà, “Questioni di bioetica”, ed. Laterza, 1997.
4) I “diritti dell’uomo” furono proclamati sul piano normativo per la prima volta in Inghilterra, nel “Bill of Rights” del 1689; successivamente furono sanciti nella “Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti” del 1776 e nella “Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino” francese del 1789.
5) In tal senso si esprime anche Rodotà, op. cit.
6) Si parla, quindi, di un “minimo comune etico” che rispetti le diversità, che consenta ad esse di convivere all’interno di una medesima collettività. Karl Popper, riguardo al “politeismo bioetico”, afferma: “dovremmo essere orgogliosi di non possedere un’unica idea, bensì molte idee, buone e cattive; di non avere una sola fede, un’unica religione, quanto piuttosto parecchie fedi, buone e cattive, segno che ce lo possiamo permettere[…]. L’unità dell’Occidente su un’unica idea, su un’unica fede, su un’unica religione, sarebbe la fine dell’Occidente, la nostra capitolazione, il nostro assoggettamento incondizionato all’idea totalitaria”. Pensiero, questo, che è alla base del laicismo, definito quale atteggiamento critico, antidogmatico e aconfessionale, che si ispira ai valori del pluralismo, della libertà e della tolleranza (così Abbagnano, Fornero).
7) Tale ripartizione è tratta da J. J. Israel, “Droit des libertés fondamentales”, ed.Dalloz, Paris, 2000. In particolare, i diritti dell’uomo di prima generazione assicurano l’autonomia e la sicurezza della persona umana nei confronti sia del potere statale che degli altri individui, garantendo altresì le libertà politiche (si parla di “libertà-autonomia” e di “libertà-partecipazione”); alla seconda generazione appartengono i diritti economici e sociali, tra i quali distinguiamo i “diritti-resistenza” (es., il diritto di sciopero) e i “diritti-esigenza” (es., il diritto alla salute, all’istruzione); alla terza generazione, infine, appartengono i diritti di “solidarietà sociale” e i c.d. “bio-diritti”, conseguenti, rispettivamente, al progresso dell’umanità e della scienza.
8) A partire dagli anni ’70, si elabora il concetto di genitorialità sociale, svincolata dal legame di sangue e basata sulla responsabilità, sulla scelta di volere un figlio.
9) Il metodo utilizzato è quello della “crioconservazione” degli embrioni.
10) La proposta C. 585, 25 nov. 1958, degli Onorevoli Gonella e Manco, era costituita da un solo articolo, che recitava così: “La donna che permette su di sé, con seme parzialmente o totalmente non del marito, pratiche inseminative è punita con la reclusione fino ad un anno. Con la stessa pena è punito il marito che vi abbia consentito, nonché il terzo donatore di seme e chiunque su donna coniugata consenziente, compie atti idonei alla inseminazione artificiale”.
11) Proposta di legge C. 1017 degli Onorevoli Riccio, Spena e Frunzio.
12) Proposta di legge S. 754, 2 luglio 1969, della senatrice Falcucci: si trattava di una proposta di riforma del diritto di famiglia, in cui, se da una parte si chiedeva l’equiparazione tra uomo e donna nel reato di adulterio, nell’articolo 159 si configurava come nuova fattispecie criminosa l’inseminazione “eterologa”, in quanto collegata al reato di incesto perché, pur in assenza di un rapporto sessuale, portava ad una confusio sanguinis contraria all’ordine pubblico.
13) A norma dell’abrogato articolo 559 c.p., “La moglie adultera è punita con la reclusione fino ad un anno. Con la stessa pena è punito il correo dell’adultera. La pena è della reclusione fino a due anni nel caso di relazione adulterina”. La fecondazione eterologa veniva fatta rientrare nell’ambito del reato di adulterio non tanto perché lesiva dell’onore del marito, costituendo secondo l’ideologia del tempo un “atto gravemente ingiurioso”, ma soprattutto perché violava l’ordine giuridico familiare (ovvero matrimoniale): veniva, dunque, accolta un’interpretazione letterale della parola “adulterio”, nel senso di “adulterare”, cioè introdurre un elemento estraneo nella famiglia (in tal senso v. Tribunale di Padova, 15 febbr.1959).
14) Sentenze della Corte Costituzionale n. 126/1968 (incostituzionalità dei primi due commi dell’articolo 559 c.p.) e n. 147/1969 (incostituzionalità degli altri due commi del medesimo articolo).
15) Le cause sono molteplici: da un lato, la denatalità e la riduzione della mortalità hanno determinato l’aumento progressivo in assoluto ed in percentuale delle persone anziane sul totale della popolazione, dall’altro, i fenomeni sociali e i cambiamenti di costume hanno spinto le coppie ad orientarsi sempre di più verso un controllo delle nascite. Ciò ha innalzato l’età media in cui la coppia decide di avere un figlio, determinando l’aumento dei problemi di sterilità ed infertilità della coppia stessa.
16) Tra i documenti inerenti alla materia qui trattata si ricordano la costituzione “Gaudium et Spes” del Concilio Vaticano II (1965), l’enciclica “Humanae Vitae” di Paolo VI (1968), l’esortazione apostolica “Familiaris consortio” di Giovanni Paolo II (1981), l’istituzione della Congregazione per la dottrina della fede “Donum Vitae”(1987) e il documento pastorale della Conferenza Episcopale Italiana “Evangelizzazione e cultura della vita umana”. Occorre dare atto, tuttavia, che nel documento “Donum Vitae”, cit., anche la Chiesa Cattolica si è mostrata aperta verso la fecondazione assistita omologa, a tre condizioni: a) deve svolgersi all’interno di una coppia legata dal vincolo stabile del matrimonio; b) deve svolgersi con un comune rapporto sessuale e non raccogliendo il seme attraverso masturbazione; c) non deve comportare interventi invasivi o rischi rilevanti per l’embrione.
17) Tutela espressamente richiamata dalla Convenzione Internazionale di Bioetica adottata dal Consiglio d’Europa, che all’art. 1 sancisce: “Le Parti della presente Convenzione tutelano l’essere umano nella sua dignità e integrità”.
18) Una dottrina assolutamente minoritaria ritiene, però, che “nessuna norma di livello costituzionale garantisce il diritto della persona a diventare genitore”, A. FINOCCHIARO in Guida al diritto, 11 marzo 2000, 9, p. 81.
19) Negli Stati Uniti si riconosce la libertà di scelta circa il modo di procreare, come necessaria conseguenza dei più ampi concetti di libertà e di privacy.
20) C. HEGNAUER, Human rights an Artificial Procreation by donor, London 1993, p. 207 ss.
21) C’è chi ritiene, infatti, che in relazione alla fecondazione eterologa l’unico limite dovrebbe essere dato dall’obiezione di coscienza di un medico e non da un divieto di legge.
22) I. CORTI, La maternità per sostituzione, Giuffrè, 2000.
23) Fermo restando quanto previsto dalla legge sull’interruzione di gravidanza n. 194/1978, una volta che l’embrione sia stato impiantato, e consentendo la crioconservazione temporanea degli embrioni nell’ipotesi in cui il loro impianto non sia possibile per grave e documentata causa di forza maggiore relativa allo stato di salute della donna.
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